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Editoriale

REFERENDUM

MASSIMO LODI - 17/05/2019

europaMa sì, la votazione per le europee sarà un referendum. Non banale, tuttavia: pro o contro Salvini. E invece epocale: pro o contro la solidarietà. A ogni livello, in ogni occasione, su ogni tema. Mica solo verso i migranti: è da ingenui accusare chi li accoglie di buonismo tout court. Il ricovero, l’assistenza, le cure appartengono ai fondamentali della civiltà/carità, il resto dell’argomentare figura alla voce propaganda. È falso che adoperandosi per lo straniero in ambasce si danneggi il proprio Paese. Ne si arricchisce da subito il profilo umano, e a seguire la consistenza economica. Il richiedente asilo domanderà, in seconda istanza, lavoro. Se glieli concediamo tutt’e due, perché, dove, come ci facciamo del male?

La solidarietà va oltre uno sbarco. Si ormeggia nelle concrete sfumature della vita quotidiana. È la carezza ai poveri, alle sfortune, alle diseguaglianze, agli sperduti nei gorghi delle solitudini. Non necessariamente richiama una spesa in denaro. Allerta un’attenzione prima spirituale che sociale. Si declina con l’armonia, che soltanto lo spegnimento dell’indifferenza sa accendere. Quando parliamo d’Europa unita, siamo nella sostanza a questo: valorizzare lo stare insieme, abbattere gli steccati, mettere al bando le esclusioni, ricordarci di cos’eravamo prima d’una spaventosa guerra e cosa siamo diventati poi. Al netto d’errori, supponenze, burocratismi, miopie, eccetera.

La solidarietà è antinazionalista. Riconosce l’uomo in quanto tale, non controllandogli il passaporto. Ne agevola l’esistenza, lo soccorre, promuove la sua integrazione con gli altri uomini. Non per accidente è un caposaldo cristiano, il bastione sul quale insiste ab ovo l’Europa dei popoli. Dei popoli non significa sovranista. Vuol dire l’Europa della ragione e del sentimento, tenuti insieme dal collante chiamato bene comune. Direte: ecco la retorica. Non lo è. È il riconoscimento del buonsenso che ci anima naturalmente, e del quale talvolta perdiamo la cognizione.

Ben venga, il referendum. Non bisogna scegliere tra vecchio e nuovo, conservatori e progressisti, destra e sinistra, spocchie e pacchie. Ma tra un’idea di partecipazione/comunità e un’altra: semplice, a pensarci un attimo. O vuoi che le diversità si compongano in un mosaico d’accettabile e perfino virtuosa cittadinanza; o vuoi che si estremizzino nell’alzata di muri dalla prevedibile durata breve, e dal successivo rovinoso crollo. Non c’è terza opzione, e perciò risultano senza credibilità quelli che il reciproco interesse unisce nello spartirsi il potere a Roma e al medesimo scopo divide nella conquista dei seggi parlamentari a Strasburgo.

Superato di recente un logoro concetto di frontiera, ci tocca affrontare le insidie d’un altro. Il secondo più insidioso del primo. È il confine fra l’universalità e i particolarismi: l’una, se bene intesa, rappresenta il felice rassemblement degli altri; gli altri, se non bene interpretati, portano alla dissoluzione dell’una. La partita è tra due squadre che indossano maglie dai colori perfettamente riconoscibili. Non ci si può sbagliare, nello scegliere per chi fare il tifo.

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