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Attualità

PAURA DEI LIBRI

SERGIO REDAELLI - 17/05/2019

Bella Ciao contro il libro dell’editore Altaforte

Bella Ciao contro il libro dell’editore Altaforte

È giusto avere paura dei libri? Temere le parole, censurare il pensiero di chi esalta idee antidemocratiche? Che fare del Mein Kampf di Hitler? È meglio leggerlo o bruciarlo come si usava una volta con i libri proibiti dall’Indice? E come la mettiamo con il Manifesto degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile? Lo conserviamo nelle biblioteche pubbliche o mandiamo al macero le copie? La querelle esplosa al Salone del Libro di Torino ripropone antichi dilemmi e vecchie tentazioni. Passano i secoli ma il concetto di libertà di espressione è quanto mai controverso, anche in un luogo deputato al confronto delle idee.

La presenza in fiera della casa editrice Altaforte vicina a Casapound (l’editore Francesco Polacchi si presenta senza peli sulla lingua: “Sono fascista”) getta Torino nel caos. Alcuni scrittori e intellettuali si rifiutano di partecipare alla rassegna, il sindaco e il governatore del Piemonte chiedono di sloggiare lo stand e la direzione del Salone risolve il contratto con Altaforte, escludendo di fatto il libro-intervista a Matteo Salvini che, grazie al clamore suscitato sui media, schizza in testa alle classifiche dei libri più venduti. Uno sfratto politico e una pubblicità involontaria. Un regalo alla Lega che ora chiede la testa del direttore del Salone, Nicola Lagioia.

La risposta dell’editore non si fa attendere: “Faremo causa”, promette. Salvini grida alla censura e ricorda che in passato il Salone di Torino ha ospitato la presentazione dei libri di ex brigatisti. Vittorio Sgarbi denuncia che il vero scandalo è la presenza in fiera degli Emirati Arabi dove vige la pena di morte e si violano i diritti umani. L’autrice del libro-intervista Chiara Giannini annuncia che chiederà i danni e minaccia di querelare chiunque accosti la sua immagine al fascismo. E avvicinandosi al padiglione Feltrinelli scortata dagli agenti della Digos, brandendo il suo libro, è accolta dal coro di Bella Ciao.

Sorprende la retromarcia del governatore Chiamparino che prima dell’inizio della rassegna aveva assicurato che “non ci sono elementi per negare l’accesso ad Altaforte. Il libro è per definizione un elemento di apertura e nulla è peggio di utilizzare argomenti amministrativi per impedire una presenza, per quanto discutibile”. Nessuno, è ovvio, vuole opporre Faccetta Nera a Bella Ciao, ma il dibattito s’infiamma. L’apparente conflitto è tra la Legge Scelba del 20 giugno 1952 che punisce l’apologia del disciolto partito fascista in attuazione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione e l’art. 21 della stessa carta costituzionale, che afferma la libertà di espressione.

“Un principio cardine della democrazia liberale – scrive Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera – è che tutte le opinioni devono essere libere di esprimersi, anche le più sciocche, crudeli e antidemocratiche. Solo le azioni che incarnano una fattispecie penale vanno perseguite e sanzionate”. Il direttore della Buchmesse di Francoforte Jurgen Boos, ospite a Torino, concorda: “Io avrei escluso qualcuno solo dopo che la magistratura avesse verificato una violazione della legge”. L’editrice Einaudi commenta: “Le parole, le idee e la presenza sono le armi più efficaci per la cultura e la democrazia contro qualsiasi oscurantismo”. E il presidente del Salone, notaio Giulio Biino, annuncia per il futuro un codice etico di partecipazione per evitare che si ripetano situazioni imbarazzanti.

Lo storico Carlo Ginzburg difende invece lo sfratto della casa editrice vicina a Casapound: “Oggi c’è bisogno di prese di posizione. È come se si fosse lanciato un segnale che si può arginare e contenere una deriva che sembrava inarrestabile”. Esiste dunque in Italia un pericolo di autoritarismo? Umberto Eco spiegò nel libro “Il fascismo eterno” che i germi dell’intolleranza sono nell’aria che respiriamo, nella rabbia del popolo di fronte alle difficoltà economiche, nella convinzione che gli stranieri minaccino la patria, nella scarsa cultura. E il germe dell’estremismo sembra essere oggi nei comportamenti di politici eletti democraticamente con il voto. Lo si sente negli insulti alla famiglia rom che prende possesso della casa a cui ha diritto.

È nel chiudere i porti ai disperati in fuga dalla guerra, nei discorsi pronunciati dai balconi del duce, nella condiscendenza verso l’uso delle armi per difesa personale, nella ricerca di alleati nazionalisti e sovranisti in Europa. Lo scrittore ed ex magistrato Gianrico Carofiglio osserva: “Io vedo lo sdoganamento di modi e linguaggi che prima non erano accettati nel discorso politico. Non credo si tornerà alla dittatura con l’olio di ricino e il manganello, ma sono già in atto forme di intolleranza, di razzismo, di violenza e di negazione della storia”. Un quadro inquietante. Come fronteggiarlo?

Si poteva magari discuterne a Torino, quale posto è più indicato di una fiera del libro? Invitando ospiti qualificati e mettendo a confronto le idee liberali con gli slogan della dittatura. Affidandosi in definitiva alle “armi” della democrazia. Le idee si combattono con le idee, ammoniscono i filosofi e ricordano che proprio la tolleranza distingue la democrazia dal totalitarismo. Torna alla mente la celebre frase attribuita a Voltaire: “Disapprovo quello che dici ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo”. Un’asserzione che la satira scettica e irriverente demolisce: contro i bastoni, la parola soccombe.

Come si difende la democrazia dall’autoritarismo? Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella interviene sulla vicenda del Salone di Torino esortandoci a non dimenticare “ciò che è avvenuto negli anni della seconda guerra mondiale come conseguenza del disprezzo dei diritti di ogni persona”. E ci rammenta la figura di Primo Levi, ebreo e partigiano sopravvissuto al campo di prigionia di Auschwitz che “ha proposto alla coscienza comune ideali di comprensione e di tolleranza fra gli uomini e i popoli”.

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