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Attualità

IL SOGNO DI ANTONIA

LAURA PANTALEO LUCCHETTI - 17/05/2019

casa-penny-2All’indomani della prematura scomparsa di Paoletta Cellini, la testimonial di Varese in Maglia il cui indimenticabile e contagioso sorriso si spense improvvisamente sul finire d’ottobre del 2016, lasciando sgomenta la città, Antonia Calabrese rivelò di voler fare qualcosa in suo ricordo. “Dovrà essere qualcosa di importante – si ripromise – e che faccia leva sui valori che erano cari a Penny”.

Antonia Calabrese, varesina, pensava all’amicizia, alla solidarietà, alla positività nonostante tutte le prove che la vita aveva riservato alla piccola fioraia biumensina affetta sin dalla nascita da una rara malformazione cardiaca, e che prestava servizio di volontariato nella Caritas: detto fatto, in una manciata di giorni le avrebbe intitolato l’avventura errante, legata di progetto in progetto a una location assegnata dalla generosità del mecenate di turno, delle solerti sacerdotesse del punto dritto e del rovescio.

Così Casa Penny nasceva con una sede itinerante per vocazione, come duttile al vento del destino è l’animo muliebre, e con una missione all’altezza del suo nome: quella di divenire il tempio della sollecitudine declinata al femminile nei confronti dei più sfortunati, a suon di battaglie di sferruzzo e di manufatti destinati a scaldare cuori e corpi di senzatetto, terremotati e tanta altra indigenza, nel capoluogo dei sette laghi. E come Penny si era consacrata con il suo leggendario entusiasmo alla causa della lana da quando le era stato proibito per ragioni di salute di praticare attività sportiva (militava nella squadra di bocce del Vharese), allo stesso modo le sue colleghe, nel segno del suo impegno sociale, si impegnavano a sublimare le loro infinite solitudini, i vuoti, i pozzi ginzburghiani dell’eterno femminino nella costruzione di una rete di cure verso il prossimo facendo della loro creatività un bene utile e prezioso.

Ed ecco il colpo di scena. L’altra settimana in un tripudio di colori e di allegria, un arazzo lunghissimo ha inondato corso Matteotti a Varese: un lavoro confezionato con pazienza certosina in due lunghi mesi dalle Penny Girls, che dal 13 marzo scorso si danno appuntamento in uno spazio commerciale ceduto da un privato pro tempore nel centro commerciale le Corti di piazza della Repubblica.

“In questo periodo – spiega la vulcanica fondatrice – lo spazio che occupiamo ci è servito per realizzare il Tappeto dei Colori della Solidarietà: un progetto patrocinato dal Comune e da ConfCommercio Ascom e legato all’evento della Varese Solidale, che ha voluto riunire in un’unica rete tutte le associazioni cittadine, più di un centinaio, per la tutela delle famiglie varesine disagiate”.

L’idea di concretare l’immagine della solidarietà in un’enorme coperta policroma e semovente è nata da un recente colloquio fra Antonia e don Marco Casale, responsabile della Caritas provinciale, che da diversi anni in occasione della festa patronale di San Vittore catalizza l’anelito caritatevole dei suoi concittadini in una cena – “Aggiungi un pasto a tavola” – cucinata dagli alpini e servita dagli studenti del Collegio alberghiero De Filippi. Il ricavato della serata è sempre totalmente devoluto in beneficenza. Nell’occasione, dunque, si è unita l’esposizione lungo il centralissimo Corso Matteotti degli stand a cura delle associazioni impegnate nel sociale.

In una splendida e luminosa mattinata ha preso avvio il lungo corteo che procedendo componeva il tappeto, ospitato dal primo mattino nei suoi elementi nei vari gazebo delle associazioni; i quadrotti di misura standard, un metro per un metro, sono stati poi messi in vendita per contribuire alla causa della solidarietà cittadina. Ad animare l’allegra marcia, il primo cittadino Galimberti e don Casale in testa, c’erano tutte le magliaie che – lavorando ai manufatti al lungo tavolo ovale di Casa Penny oppure dalla propria sede esterna – avevano composto la tela attraverso un colloquio di anime predestinate alla gentilezza e alla carità cristiana.

La magia di Casa Penny è un via vai continuo di signore di tutte le età e di tutte le etnie che nei giorni stabiliti – lunedì, mercoledì e giovedì – si siedono assieme al grande tavolo di lavoro: tassello per tassello hanno prodotto migliaia di mattonelle di filato in un’opera di aggregazione sociale unica nel suo genere. Qualche giorno prima dell’evento sono andata a trovarle nel backstage: “Lo stile e la lavorazione sono liberi” precisa la statuaria condottiera mostrando una stola quadrata di ben 144 cuori rossi all’uncinetto, idealmente legata al tema della violenza sulle donne. E mentre andavano definendosi le tessere, la lana si impregnava delle storie raccolte durante le ore di lavoro, e nell’arazzo prendeva vita l’anima femminile di Varese connettendo in un unico filo creativo e fecondo le personalità, le estrazioni, le vicende umane più disparate. “Ho comperato una copertina fatta da mia figlia” sussurrato Milvia dalla sua sedia a rotelle, pregustando la sfilata cui avrebbe voluto partecipare con la sua parte di drappo sulle ginocchia.

Un’altra signora non vedente ha eseguito un’ampia, celeste piastrella di mohair tanto lieve che pareva rubata al cielo: “Vuole restare anonima” ha spiegato la mattatrice del progetto, salutando il piccolo gruppo delle pazienti del reparto di psichiatria e quelle del centro diurno dell’azienda ospedaliera dei Sette Laghi che concludevano il turno di lavoro: un raggio di sole potersi aprire alle relazioni sociali attraverso i colori e l’artigianato della tradizione, per tante anime segnate dai repentini blackout dell’esistenza.

La poliforme e inclusiva maestranza delle Penelopi proviene anche da scuole, case di riposo, Rsa, istituti religiosi (le salesiane di Maria Ausiliatrice con le loro ex allieve e le suore anziane di sant’Ambrogio), l’associazione sportiva per le disabilità Vharese cui aderiva Penny, l’associazione Caos delle amazzoni operate al seno, le richiedenti asilo di Casa San Luigi della Caritas, le ospiti della Cooperativa Ballafon, le vittime di maltrattamenti e violenze e – dulcis in fundo –- le campionesse del Varese Basket Femminile, testimonial del progetto.

Punto dopo punto, intrecciando amicizie impensabili prima che Casa Penny fornisse loro l’occasione di un incontro, sono state un centinaio le performers che hanno partecipato alla realizzazione di quest’opera d’arte collettiva, comprese casalinghe, nonne e nipoti, badanti nelle ore libere e pure qualche insegnante in pensione, come la novantaduenne Licia, profuga istriana, studi di matematica compiuti in quel di Trieste e storia personale avventurosa del tutto compatibile con il nomadismo nostalgico della “casa”.

E mentre i colori dell’eterno femminino – “Verde river’a lei rasembro e l’are/tutti color di fior’, giano e vermiglio/oro ed azzurro e ricche gioi per dare” –, scriveva il cantore della gentilezza Guido Guinizzelli –, tingono ancora la vetrina, campeggia già il cartello “Affittasi”. Ma nello sguardo intrepido di Antonia, inesauribile, strepitosa dispensatrice di felicità, armonia e luce, si intuisce che una prossima deliziosa battaglia delle “majere” bosine potrebbe decollare presto.

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