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Società

GLI ALPINI, UN ORGOGLIO

ROSALBA FERRERO - 31/05/2019

Un tripudio di bandiere italiane, un inno all’Italia che non può essere ignorato. A Milano sono tornati di recente gli Alpini per l’Adunata Nazionale del Centenario. 500.000 tra gli effettivi le famiglie gli amici: una città nella città, per ricordare che sono passati cento anni dalla costituzione della Associazione Nazionale Alpini, cento anni in cui i principi ispiratori hanno guidato ogni intervento operato ‘ aiutando i vivi, per ricordare i morti’.

La pacifica invasione ha regalato valori inestimabili, senso di solidarietà, di coesione, di compostezza alla città. La presentazione della cittadella Alpina, dell’Ospedale da campo, la mostra ‘Alpini uno stile di vita’ al Castello Sforzesco, l’esposizione dei mezzi militari e di soccorso, la presenza della Protezione civile con le unità cinofile, la cerimonia di commemorazione di Don Gnocchi, la S. Messa in suffragio di chi ‘è andato avanti’ le esibizioni di fanfare e di cori nei teatri- in primis quello applauditissimo alla Scala- negli oratori, nei circoli culturali e poi gli annulli postali, la pulizia del Parco Leonardo e di Rogoredo, l’alzabandiera in Piazza Duomo, momenti che hanno scandito la vita di Milano.

Il clou è stata la sfilata della domenica: un lungo ininterrotto cordone umano si è snodato dalle 9 del mattino alle 21 della sera tra corso Venezia e piazza Castello: 90 mila Alpini- 90 mila sono più di tutti gli abitanti di Varese che si ferma poco sopra 82.000; Alpini in armi e in congedo non c’è differenza, tutti indossano il cappello con la penna, perché ‘si è Alpini per sempre’ perché ‘Alpini in congedo e alpini in servizio sono due facce della stessa medaglia’- come ricorda il Generale di Corpo d’Armata Claudio Berto- Sono accompagnati dalle bande, avanzano col ritmo cadenzato, proprio del camminare in montagna.

Uno spettacolo di ordine e compattezza, -garantito dall’aver fatti propri questi valori durante la ferma e da un S.O.N. che fa invidia ad ogni amministrazione-  uomini e tricolori, a migliaia, perché gli alpini hanno radicato il senso della ‘Patria’ e l’inno di Mameli non manca mai nei raduni, come il ‘Trentatrè’, l’inno identificativo del corpo. Nessuno è stato ‘lasciato indietro’: chi non può stare al passo per l’età avanzata- tanti ‘veci’ ultranovantenni che mai e poi mai rinuncerebbero a questa ‘festa in famiglia’- sfila su mezzi militari; non è stato ‘lasciato a casa’ dal suo gruppo di Treviso neanche l’alpino sulla sedia a rotelle cui la malattia lo ha condannato: sfila con la moglie e il figlio a fianco e il corteo si ferma davanti alla tribuna d’onore perché scende il Presidente Nazionale ad abbracciarlo, a ringraziarlo di essere presente.

Il Labaro, su cui sono appuntate 2106 medaglie d’oro al valore militare e civile apre la sfilata, scortato dalla squadra del Servizio d’Ordine Nazionale, è il simbolo più significativo dell’Associazione, rappresenta la storia degli Alpini: ’su di esso, oltre alle medaglie d’oro- scrisse il Presidente ANA Corrado Perona- noi sentiamo la presenza di tutti i nostri Caduti, quasi ne percepiamo la voce’. Ma neppure un cenno di questo viene da parte dello speaker della Rai, durante una ripresa zeppa di servizi preconfezionati e povera di commenti adeguati, che è intento a trillare: ‘ecco si intravede il corpo delle crocerossine’(sic)!!!

 Secondo un protocollo consolidato, l’ordine di sfilata è inversamente proporzionale alla distanza delle sedi di provenienza, per rispetto, per attenzione ai tanti che si sono sobbarcati viaggi lunghi per essere presenti; davanti le sezioni estere, perché c’è chi arriva da Sud Africa Argentina, Australia, Brasile, Canada, USA, Cile, Uruguay… poi le sezioni presenti in Europa. Quest’anno sono le sezioni ‘martiri’ dell’Istria e della Dalmazia, di Fiume, Ragusa, Zara, dei fratelli italiani liberati dalla dominazione straniera nel 1918 e poi costretti all’esilio nel 1945, quando le loro case sono state occupate dagli Iugoslavi a marciare per prime, seguite dalle sezioni del Sud Italia.  E l’ultima è la Sezione di Milano, con in testa il sindaco Sala insieme alla giunta comunale al completo, che sfila dopo le 20:30 quando nell’ordine del giorno era previsto per le 19: ma l’affluenza dei partecipanti è stata talmente elevata che gli orari sono stati sforati da una fiumana di gente in un corteo h.12 e più.

Questa 92° Adunata ha un notevole valore storico: il 2019 segna il centesimo anniversario di costituzione dell’Associazione Nazionale Alpini, nata proprio a Milano nel 1919.  ‘Cento anni di coraggioso impegno ’ è il motto di quest’anno.

Leggendo uno dei tanti testi che raccontano la storia del Corpo degli Alpini e dell’ANA si apprende che alla fine della Prima Guerra Mondiale un buon numero reduci, per lo più ufficiali alpini milanesi frequentatori della birreria Spaten Bräu di via Ugo Foscolo, il cui proprietario, Angelo Colombo, era un alpino, decidono di continuare l’esperienza di vita solidale e coraggiosa vissuta in Guerra, di aiutare le famiglie di chi è ‘andato avanti nel Paradiso di Cantore’ e pongono le basi di quella che è diventata la più numerosa associazione di ex militari del nostro paese. Inizialmente viene accolta l’idea di Felice Pizzagalli, -futuro segretario generale del Comune di Milano- di costituire un gruppo radicato sul territorio, un ‘sodalizio a tempo’ riservato ai reduci della Prima guerra mondiale che hanno militato negli alpini, che si sarebbe chiuso con la scomparsa dell’ultimo degli ex-combattenti.

La solidarietà spontanea della gente di montagna, avvezza alla fatica, ai rischi, al freddo, alle privazioni, al vivere in condizioni ambientali spesso proibitive, all’aiuto vicendevole, era nel DNA di coloro che, reclutati su base regionale e valligiana nelle regioni del Nord Italia, avevano vesto la divisa degli Alpini; la provenienza comune e la base comune di tradizioni familiari e culturali, aveva contribuito a creare legami personali, che dopo il ritorno alla vita civile erano sopravvissuti. La solidarietà è uno dei valori-cardine dell’ ‘essere alpino’: in Piemonte esistevano già Società di Mutuo Soccorso tra Alpini in congedo, sorte sin dal 1848, all’indomani della concessione dello Statuto da parte di Re Carlo Alberto; tra gli Alpini congedati dopo il Conflitto Mondiale molti gruppi agivano in maniera spontanea, prestando aiuto agli orfani alle vedove alle madri di commilitoni caduti in guerra o resi inabili, per le ferite riportate, a sostenere col proprio lavoro la famiglia: non essendoci né previdenze né forme di sostentamento, gli ex commilitoni avevano deciso di provvedere di persona e in solido ad aiutare i familiari di coloro che non c’erano più.

Il 12 giugno del 1919 il capitano Arturo Andreoletti, da poco congedato, perfeziona l’idea iniziale e propone di costituire una ‘grande famiglia alpina’ rivolta ai reduci decisi a continuare un’esperienza nello spirito di solidarietà  vissuto  al fronte e a quanti nel futuro sarebbero stati chiamati al servizio di leva vestendo la divisa degli alpini. L’ associazione si apre così a chi aveva svolto il servizio militare negli Alpini a partire dal 1872, anno di nascita del Corpo, ai reduci delle Campagne d’Africa del 1887,1895,1911-12 e agli ex-combattenti della Guerra mondiale appena conclusa.  L’ 8 luglio 1919 nasce ufficialmente, con imprimatur notarile, l’Associazione Nazionale Alpini, durante un’assemblea in cui viene approvata la costituzione ufficiale, il primo Statuto Sociale ed il Consiglio Direttivo.

Tra i doveri associativi c’è quello di ritrovarsi ogni anno in una ‘Adunata’ – il termine riecheggia il momento in cui in caserma si interviene all’alza-bandiera- per ricordare e onorare i compagni caduti. I raduni spontanei in località di montagna che erano state teatro di battaglie degli alpini durante il Conflitto, confluiscono ora in raduni ‘ufficiali’: il primo convegno è fissato per il 5, 6, 7 settembre 1920 sull’Otrigara. 400 i soci previsti, ma giungono oltre duemila reduci alpini e l’Ortigara diviene ‘montagna sacra’ ‘locus-cordi’ di tutti luoghi in cui si commemorano i caduti in Guerra e la ‘Colonna Mozza’ che vi è eretta, diviene il monumento simbolo di tutte le ‘penne nere’ spezzate.

Il 1919 definisce anche il senso di appartenenza degli Alpini alla Patria Italia: infatti il 4 novembre, giorno del primo anniversario della Vittoria ‘alla finestra di una stanzetta dell’ammezzato della Galleria Vittorio Emanuele II di Milano venne esposto il Tricolore’.  Nonostante l’ordine prefettizio di ritirarlo, per evitare disordini in una Milano ‘scossa da fermenti anti-patriottici’, il Tricolore non viene ritirato, perché per gli Alpini è indice di fierezza e dell’orgoglio di ‘appartenenza al Paese per il quale avevano combattuto e per il quale tanti loro compagni, fratelli, amici, cugini, erano caduti’. È il segnale che gli Alpini non hanno paura e vanno dritti per la loro strada.

Sempre nel 1919- cent’anni fa- compare, per iniziativa del tenente degli alpini Italo Balbo, il primo numero de ‘L’alpino’, il giornale nazionale ancor oggi stampato e distribuito a ben 380.000 abbonati.

Dal giugno del 1919, dall’operare spontaneo ma generoso dei reduci della Grande Guerra, al 2019 continua la missione nel segno di quello che è diventato un mantra in questi cento anni: ‘ricordare i morti aiutando i vivi’. Lo ricorda l’attuale presidente Favero: ‘ Noi, penne… – siamo una -poderosa macchina da volontariato’… ‘Uomini del fare, cerchiamo di agire sempre in silenzio, con grande semplicità, ma anche con forte concretezza’. A Milano gli fa eco il presidente della Lombardia Fontana: gli Alpini ‘… da sempre sono in mezzo alla gente, insieme a chi ha bisogno…-ricordiamo-tutto il bene e la disponibilità che questi uomini mettono a disposizione della comunità quotidianamente’.

La prima ‘missione’ gli Alpini l’hanno compiuta come corpo militare, sbarcando in Sicilia e in Calabria all’indomani del terremoto del 28 dicembre 1908; Giovanni Giolitti, con acume e spiccato senso pragmatico li scelse come corpo ‘addestrato alle fatiche e con grande senso del dovere’ per aiutare le popolazioni di Reggio e Messina. Da allora, come appartenenti al corpo militare e come soci dell’ANA, gli Alpini sono intervenuti migliaia di volte, dopo catastrofi naturali: dopo il crollo della diga del Gleno nel 1923, e  del Vajont nel 1963 per aiutare il Friuli a riemergere dal catastrofico terremoto del 1976- per questo intervento all’ANA venne conferita la medaglia d’oro al merito civile e proprio sul loro modo di intervenire in modo organizzato e pragmatico, si plasmò la Protezione Civile, e poi gli interventi dopo i terremoti in Irpinia e in Armenia, in Molise, in Umbria e nelle marche e dopo le sconvolgenti alluvioni in Valtellina, in Piemonte nel 1994, in Val d’Aosta nel 2000.  Non solo nelle situazioni di emergenze tragiche, però. Gli interventi non mancano a favore di asili- basti pensare all’asilo a Rossosch, costruito per ricordare e onorare i caduti e i dispersi in Russia, all’istituto scolastico multietnico a Zenica in Bosnia, al collegio per ragazze in Mozambico, alla casa di riposo per anziani a Ripabottoni, alla comunità per disabili di Endine. L’ultima iniziativa, a seguito dell’alluvione nel Veneto è la campagna di rimboschimento ’L’Alpino adotta un pino’…

E per fare festa, per ritrovare i compagni di naja, per rinverdire le amicizie strette magari in occasione dell’intervento operativo in qualche luogo per calamità naturale…per sfilare insieme e dar via ad un altro concentramento numeroso e imponente di uomini e donne ‘con la penna sul cappello’  e di un numero sterminato di tricolori e striscioni in cui si ribadiscono  l’appartenenza alla Patria e i valori dell’alpinità, altro mantra delle Penne nere, ci si da appuntamento all’anno prossimo, a  Rimini-SanMarino 2020.

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