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Attualità

UN PIANTONE PER AMICO

CESARE CHIERICATI - 28/06/2019

Il “piantone” negli anni Venti del ‘900

Il “piantone” negli anni Venti del ‘900

Esce di scena il mitico “piantone” di via Veratti, un cedro di maestosa bellezza, una sorta di campanile botanico nel cuore della città vecchia. Per la sua dipartita una buona fetta delle cittadinanza – quelli un po’ più in là con gli anni come è normale che sia – ne ha celebrato in una pubblica assemblea, sulla stampa e sui social, il ruolo di testimone silente di tante vicende pubbliche e private. Non sempre e non solo liete, come suggeriscono le indulgenze della memoria, visto che proprio lì di fronte gli spazi occupati oggi dal grande caffè Pirola ospitarono, per decenni, l’Esattoria Comunale dove si pagavano imposte, tasse e tributi vari poi cancellati o ridefiniti dalla riforma fiscale del ministro repubblicano Bruno Visentini all’inizio degli anni settanta. Imposta di famiglia, sulla Ricchezza mobile, IGE (Imposta generale sulle entrate), imposta complementare, nomi che evocano una fiscalità remota, approssimativa e assai più elusiva dell’attuale. Si facevano lunghe file ai pochi sportelli in un ambiente fumoso e inospitale. All’uscita un’occhiata alle fronde opulente e protettive del cedro dava respiro e conforto al rassegnato contribuente. Dispensava ombra protettiva invece il “piantone” nelle affollate operazioni di vigilia della Tre Valli che proprio lì e in una corte adiacente celebrarono il rito dell’assegnazione dei numeri di partenza ( punzunatura) in diverse edizioni della corsa. Del resto pochi metri più avanti, all’inizio di via Broggi di fronte al ristorante Bologna, primeggiava il garage Ambrosetti, sede della Società ciclistica Binda, inventata (1929), coltivata e promossa a livello nazionale da quel genio organizzativo che fu Antonio Ambrosetti, “Togn” per gli amici, padre del celebre Alfredo, manager planetario della consulenza. Il primo decisivo, con il concorso di Alfredo Binda, nell’organizzazione dei mondiali di ciclismo del 1951 e il secondo nel 2008 discretamente al fianco del presidente Renzo Oldani. Insomma con la scomparsa del grande cedro viene meno uno degli elementi costitutivi ed eterni – si pensava illusoriamente – del centro storico. Un assenza destinata a pesare come pesa, nel cuore antico della città, la scomparsa delle trattorie, delle librerie; come pesa quella dei salumieri, dell’ortolano Lancini, dell’oreficeria Buzzetti, del fiorista Pellegrini che rallegrava l’estremo lembo di Corso Matteotti proprio di fronte alla drogheria Bianchi e di fianco all’ingresso dello splendido chiostro di S. Antonino. La geografia dei luoghi cambia inesorabile e con lei inevitabilmente anche quella delle persone. Come non ricordare la composta affabilità della famiglia Ghezzi dentro il loro caffè pasticceria, nato un secolo fa, rassicurante e pregiato. È sempre lì al suo posto ma, non ce ne vogliano gli eredi, il garbo della signora Anna e di sua cognata Luciana, come la vitalità di Martino, restano ineguagliati. Passatismo? Niente affatto solo consapevolezza che la città è, piaccia o meno, un corpo in continua trasformazione che archivia e rigenera la propria storia a velocità variabile, comunque più in fretta dei suoi alberi monumentali. Certo le vicende urbane, nel bene e nel male, possono essere subite in negativo – molto spesso nel dopoguerra – oppure orientate in positivo dalle scelte della politica. Per questa ragione è opportuno guardare con favore alla possibile pedonalizzazione della Motta, quartiere storico consacrato dalla devozione popolare a S. Antonio, delimitato a destra e a sinistra dai parchi superbi Montalbano-Esengrini e Mirabello. Nel tempo ha conservato una sua identità mercantile e culturale messa peraltro sempre più a rischio dal traffico e dal degrado notturno di piazza Ragazzi del ’99. Urgente dunque intervenire nella consapevolezza che Varese, per la sua complessità urbanistica e viabilistica, può essere sottratta al traffico veicolare solo per porzioni omogenee come appunto la Motta e un domani, chissà, anche Biumo Inferiore.

Ps. Il Comune sta chiedendo ai cittadini qualche suggerimento per perpetuare la memoria del mitico” piantone” che altro non era che l’avanguardia botanica urbana dei tantissimi cedri diffusi in molti giardini di Varese, una meraviglia di cui abbiamo ancora scarsa consapevolezza. Perché non censire i più belli, fotografarli e creare li ai piedi del tronco reciso una mappa di dove e come è possibile ammirarli. I cedri come risorsa turistica da valorizzare e rispettare più di quanto si sia fatto finora.

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