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Cultura

NON SOLO ROCK

RENATA BALLERIO - 28/06/2019

rockDa maggio, dopo la prima al festival di Cannes, nelle sale cinematografiche si può vedere Rocket Man, l’uomo razzo, colui che ha reso vitale il rock anche per piano. Parliamo evidentemente di Elton John.

Il 6 giugno è scomparso Dr. John, musicista e cantautore dalla ricca esperienza musicale, anche rock.

L’8 giugno a Varese si è svolta una conferenza in cui si è lanciata, o meglio si rilanciata, la proposta, diremmo meglio la campagna per far sì che il rock venga riconosciuto patrimonio dell’umanità.

Possiamo continuare l’elenco, facendo un elogio agli studenti dell’Isiss di Bisuschio che hanno messo in scena un musical dedicato ai Queen. Anche se non dobbiamo pensare a coincidenze, riflettere su questo genere musicale sembra inevitabile. Le ragazze e i ragazzi di Bisuschio sul palco, con entusiasmo, con energia e – perché no – con speranza si sono chiesti che cosa sia il rock. La risposta: è quello che tu vuoi che sia. Forse hanno ragione.

Molti critici, musicali e no, l’hanno definita una musica che contiene tutto e il contrario di tutto. Soprattutto, dagli anni Sessanta, è stata sinonimo di libertà. Abbatté vecchie categorie e vecchi schemi. Sempre secondo i critici riuscì continuamente a mettere in discussione le sue stesse conquiste.

Dai suoni delle prime chitarre elettriche abbiamo ereditato una musica capace di essere nel presente e di reagire e far reagire agli eventi. Le radici di questa musica, fatta di intrecci e di feconde contaminazioni, si possono far risalire anche ai toni del blues. Struggenti domande di libertà dei neri d’America. Storia di forzata immigrazione. Bisogno di libertà da qualcosa, bisogno di libertà per qualcosa. E la libertà non si può barattare mai con niente, neppure con il diritto alla sicurezza, vera o presunta, come qualcuno ultimamente afferma.

Ben venga dunque la richiesta di far riconoscere questo genere musicale come patrimonio dell’umanità. A novembre del 2018 tale riconoscimento di bene immateriale e intangibile fu dato al reggae. Utile è leggere la motivazione. Avendo avuto origine in uno spazio culturale che ospitava gruppi emarginati, la musica reggae della Giamaica è un mix di numerose influenze musicali, incluse le prime forme giamaicane, nonché i ceppi caraibici, nordamericani e latini. Con il tempo, ha incorporato gli stili neo-afro, il soul e il rhythm and blues del Nord America e lo Ska si è trasformato gradualmente prima in Rock Steady e poi in Reggae.

 Mentre originariamente la musica reggae era la voce degli emarginati, la musica è ora ascoltata e condivisa da un’ampia sezione della società, da vari gruppi etnici e religiosi. Il suo contributo al discorso internazionale su questioni di ingiustizia, resistenza, amore e umanità sottolinea la portata socio-politica e spirituale del genere.

Le funzioni sociali di base della musica – intesa come veicolo per la critica sociale, come pratica catartica e anche come uno strumento per lodare Dio – non sono cambiate e la musica continua ad agire come una voce collettiva.

La motivazione potrebbe valere anche per il rock. Forse ci saranno le stesse obiezioni: le storie maledette di molti cantanti, le trasgressioni non tollerate dal potere e via di seguito.

La storia è vecchia e si ripete. Forse è giusto ricordare che esiste la realtà e la narrazione della realtà. Un esempio? Si sa che per il Festival di Woodstock, i famosi tre giorni di pace e di musica rock dell’agosto 1969 alcuni redattori incitarono Barnard Collier del New York Times a sottolineare i blocchi stradali, le sistemazioni improvvisate, l’uso di droghe fra i ragazzi e la presunta aggressività di alcuni di loro… Insomma raccontare soltanto i disagi.

Forse anche questo ricordo serve a capire perché sia importante apprezzare almeno la storia del Rock, uno stile di vita per la libertà. O per lo meno Varese nella mattinata di sabato 8 giugno ha tentato di sdoganare la musica rock. Sarà la musica a liberarci dalla banalizzazione culturale

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