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Attualità

USCHI

EDOARDO ZIN - 19/07/2019

ursula-von-der-leyen“C’est un imbroglio…” mi dice un europeista convinto, usando un termine italiano, che ormai è entrato anche nel gergo francese. “Fix I Knew it” (dietro c’è un inciucio) aggiunge l’amico scozzese. Entrambi si riferiscono alla spartizione delle poltrone delle quattro importanti presidenze dell’Unione Europea, distribuzione avvenuta durante l’interminabile seduta del Consiglio Europeo, avvenuta tra la fine di giugno e i primi giorni di luglio.

E’ davvero un imbroglio? Un raggiro? Un intreccio? Insomma, un inciucio?

Ed è proprio vero che l’Unione Europea presenta un “deficit” di democrazia, che – secondo un’espressione attribuita a Winston Churchill – è “il peggiore di tutti i regimi, esclusi tutti gli altri”? Hanno forse ragione coloro che hanno affisso sulle colonne dei portici di rue de Rivoli a Parigi dei volantini che dicono:” Votare non è più un diritto, ma un’illusione”?

 A questa ondata di sovranismo, che assume spesso tratti dittatoriali, e che ha contagiato alcuni paesi d’Europa, si contrappone una sana democrazia che ha bisogno di essere rispettata e valorizzata oggi più che mai. La democrazia non è mai scontata. Va coltivata, amata. La democrazia va oltre la scheda depositata nell’urna, oltre il sistema in bilico sugli interessi di parti, di gruppi o di classi, ma deve assicurare all’elettore il potere di decidere. La democrazia non si attua solo con l’essere in molti, ma con il “dare” da parte di molti e il “ricevere” da parte di molti, è la democrazia che annulla le separazioni per portare, attraverso la mediazione, che non è compromesso, all’unità. Non basta, infatti, votare, occorre imparare a come vivere la democrazia, cercando di conoscere, di valutare, praticando la politica.

C’è poca democrazia nelle istituzioni europee? Prendiamone in esame due. Il nuovo Parlamento Europeo è stato appena eletto, ha formato i gruppi parlamentari, ha votato il suo presidente, si sono costituite le commissioni. Con il Consiglio Europeo esercita la funzione legislativa e su alcune materie ha potere anche d’iniziativa legislativa, che normalmente spetta alla Commissione: è la democrazia “in entrata”. Le decisioni che potrà e vorrà prendere sono quelle stabilite dai governi degli stati membri su materie di sua competenza o dalla Commissione: è questa la “democrazia in uscita”. Il deficit democratico s’annida, piuttosto, tra l’entrata e l’uscita, lungo l’”iter”, il cammino, proprio come dimostrano non poche democrazie parlamentari nazionali. A interrompere o ad ostacolare il lavoro legislativo del Parlamento Europeo possono essere sia la Commissione che il Consiglio Europeo che, per varie ragioni, hanno la facoltà di porre il veto sulle decisioni parlamentari. La democrazia c’è, dunque, ma non è totale e ciò irrita i cittadini soprattutto coloro che vedono in un’Europa unita un’opportunità per sconfiggere l’ondata di democrazia illiberale che sembra stia per sommergere il pianeta.

 Il Consiglio Europeo – composto dai capi di governo e di Stato (ce n’è uno solo: il francese Macron) – è indirettamente nominato dai cittadini e gode quindi della sovranità democratica. Ciò non dovrebbe essere un buon motivo per intralciare il processo legislativo di un parlamento sovranazionale che rappresenta tutti i cittadini dell’Unione. I cittadini di un ogni paese membro eleggono le assemblee parlamentari nazionali, le quali concedono la loro fiducia ad un governo nazionale. Il programma di un governo nazionale e i suoi interessi non sempre coincidono con quelli dell’Unione: sono i parlamentari di Strasburgo che rappresentano i cittadini dell’Unione ed è a Strasburgo che si possono proporre ideali e far nascere cambiamenti non trascurabili nelle singole situazioni politiche interne!

La maggior partecipazione al voto per il Parlamento Europeo e il significativo processo dei partiti che stanno sempre più avvicinandosi, attraverso la formazione di gruppi sempre più omogenei, sono sintomi positivi per far assumere al Parlamento Europeo maggiori responsabilità e per avviarlo verso una “sprovincializzazione” dei problemi ed avere una conseguente visione “europea” più coesa.

Con l’ “imbroglio” della designazione a presidente della Commissione Europea da parte dei governi e dei partiti che li sostengono, martedì scorso il Parlamento Europeo ha eletto a suo presidente della Commissione Ursula von der Leyen, tedesca della CDU, d’indubbio spirito europeista che l’ha intrisa fin dalla più tenera età frequentando la prima Scuola Europa di Uccle, medico, madre di sette figli, già ministro tedesco degli affari sociali e della difesa. Il blocco politico che doveva sostenerla poteva contare sulla carta di 443 voti (182 deputati del PPE + 153 deputati del gruppo socialista + 108 deputati liberali e del movimento di Macron). I verdi (che pur avevano eletto il presidente Sassoli) avevano dichiarato di votare contro. A questo blocco si sono uniti i 14 deputati dei 5 stelle e i deputati polacchi che fanno riferimento all’attuale maggioranza “sovranista”. Uschi – come gli amici chiamano la nuova presidente della Commissione – è stata eletta con 383 voti, con soli 9 suffragi in più della maggioranza richiesta (374). Voto contrario è stato espresso dai “sovranisti”, tra cui la Lega e Fratelli d’Italia.

E’ evidente il significato di tale maggioranza: molti deputati (quasi un’ottantina!) nel segreto dell’urna non l’hanno votata. E’ da pensare che i “franchi tiratori” si annidino tra i membri del suo stesso gruppo (i bavaresi della CSU) e tra i tedeschi del gruppo socialista, che vedono in lei una personalità scolorita.

Nel suo discorso programmatico, von der Leyen ha dichiarato che “la sua ragione d’essere è di lasciare fuori i sovranisti”, aggiungendo “ma non ad ogni costo” e che “sarà nemica di chi vuole un’Europa debole”: ecco la ragione del soccorso venutole dai polacchi!

Il suo impegno per estendere a tuti i cittadini europei il salario minimo le ha procurato il voto dei pentastellati, anche se questo loro atteggiamento procurerà maggiori tensioni all’interno del governo del nostro Paese, contrasti che potrebbero essere sanati con l’attribuzione al commissario designato dall’Italia un portafoglio di discreta importanza.

In merito al fenomeno migratorio, von der Leyen ha spiegato che “in mare c’è l’obbligo di salvare le vite” e che si adopererà per il superamento di Dublino. Ha accennato anche ad una maggiore flessibilità in materia di rispetto dei parametri di bilancio. Buone parole a cui aspettiamo seguano i fatti!

Non una parola la nuova presidente ha riservato al ristabilimento dello stato di diritto in quei paesi (Polonia, Ungheria) in cui è violato. E questo ci rammarica non poco.

Se finora è stato il Parlamento ad avere la spada di Damocle del Consiglio e della Commissione sospesa sulla sua testa, con la nuova legislatura la situazione si è ribaltata: saranno gli stati nazionali a temere gli interventi del Parlamento che potrà anche sfiduciare la Commissione. E’ già successo.

Forse il rilancio dell’Europa passerà attraverso la rivitalizzazione del Parlamento. Sarebbe un altro passo in avanti verso una vera unità, fondata sulla democrazia e non sugli “imbrogli”.

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