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Noterelle

IL “BURN OUT” SANITARIO

EMILIO CORBETTA - 13/09/2019

ospedaleTra i grandi problemi della nostra società spicca quello riguardante la sanità, circondata da tante difficoltà che ne intralciano il funzionamento. Agli occhi degli utenti la sanità appare ingiusta, lenta, oberata dalla burocrazia, incapace di risolvere le necessità, oppressa dalla farmaceutica, dal costo delle tecnologie necessarie per la diagnostica e le terapie, e altro.

Considerando i bilanci delle varie Regioni, l’impegno economico riguardante la Sanità risulta essere il 70% del globale, con poche variazioni l’una dall’altra. Altri inevitabili problemi sorgono nei rapporti con il personale sanitario, amministrativo e tecnico. È cosa ovvia e non può non esserci, ma molto frequenti sono anche le tensioni sindacali che impegnano la dirigenza ospedaliera locale, regionale, nazionale, come pure i sindacalisti stessi. Il personale ospedaliero è composto da lavoratori particolari con i quali le trattative dovrebbero essere condotte in maniera diversa rispetto a quelle dei lavoratori di altri settori. Ci si trova di fronte a figure professionali dedicate alla cura delle sofferenze delle persone per cui, ad esempio, l’arma dello sciopero (manovra comunissima usata ai nostri giorni nei contenziosi tra lavoratori e datori di lavoro) va a pesare sui malati che diventano le ingiustificate vittime della diatriba. In questo caso si dovrebbe saper elaborare strategie diverse in modo da non creare danni, anche indiretti, a chi già si trova in condizioni di disagio. Disagio che appare immorale se usato dalle varie parti come metodo di negoziato.

La gestione del personale è talmente problematica che recentemente l’Organizzazione Mondiale della Sanità si è spesa in profondi studi e ha puntualizzato il fenomeno definito “burn-out” (traducibile con bruciato, scoppiato, sfinito) che coinvolge particolarmente il personale sanitario di tutti i livelli, ma specialmente i medici impegnati già da alcuni decenni nella loro fatica professionale, cioè non i neo assunti e nemmeno i prossimi alla pensione.

Non è una sindrome che colpisce solo addetti alla sanità. Compare anche in altre professioni, ma sembra essere più frequente in medici, infermieri, tecnici sanitari, forse un po’ meno negli amministrativi.

Molte le cause: non più soddisfazione dell’attività professionale, via l’orgoglio dei risultati ottenuti, non più gioia di essere utili ai pazienti, delusione in generale delle aspettative, scomparsa di gratificazione. Il lavoro diventa pesante, ossessivo, un muro insuperabile, e sorge desiderio di fuga, sogno di arrivare velocemente alla pensione, perdita della stima nei confronti della struttura gerarchica che viene giudicata inadeguata (spesso, troppo spesso lo è veramente), i pazienti vengono sentiti come persecutori, si perde empatia nei loro confronti, non si è più utili e va a finire che si abbandona anticipatamente la struttura, cercando altrove ciò che negli ospedali viene a mancare.

Tutto ciò comporta un grande spreco di professionalità, di conoscenze, di esperienza accumulata in tanti anni, e va a finire che si buttano via cervelli: questo spreco di potenzialità danneggia gli stessi professionisti e tantissimo i pazienti, la sanità nel suo intero complesso. In Italia appare poi che chi ne trae vantaggio è la Sanità privata che accoglie queste figure, ritrovando al suo interno personale altamente qualificato alla cui preparazione non ha contribuito.

Abbiamo quindi puntualizzato che le difficoltà della sanità sorgono senz’altro da problemi economici ma tantissimo anche dalle risorse umane che devono essere condotte con molta intelligenza, vanno gratificate, stimolate, invitate all’efficienza riducendo gli ostacoli burocratici e non costantemente minacciate dalla spada di Damocle di provvedimenti medico legali.

Questo burn-out c’è anche nel nostro Ospedale? Senz’altro, ma viene da domandarsi: più che in altri Ospedali? Dai discorsi che vengono fatti, dalla fuga di molti sanitari, dall’amarezza che li pervade viene da pensare che il problema sia davvero molto presente, riducendo purtroppo l’efficienza dei servizi; fatto che viene evidenziato dal numero di varesini che si rivolgono altrove per alleviare o risolvere le loro sofferenze. Al contrario fa molto piacere ed è consolante la gratitudine che viene espressa da pazienti che riescono ad essere curati qui, nel nostro Ospedale.

Perché uso il termine “riescono”? Perché le liste d’attesa sono veramente infinite, ma questo è tutto un altro discorso.

È naturale che la popolazione varesina desideri sempre maggiore efficienza, specialmente nel Pronto Soccorso ed in altri reparti, e che sia gratificata da quelli più validi. Come mai queste differenze? È risposta che richiede profonda riflessione perché ci si trova di fronte ad una realtà dalle infinite sfaccettature.

 

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