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Apologie Paradossali

RICONOSCERE I SEGNI

COSTANTE PORTATADINO - 20/09/2019

bianchiporro(S) Buttiamoci anche noi sulla scissione del PD. Renzi risuscitato, che manna per i giornalisti!

(O) Come scissione non è niente di che, paragonata alla minaccia di scisma nella Chiesa, se addirittura il Papa dice: “Lo scisma non mi fa paura”. Ma non vi pare che l’unità, nella Chiesa come in politica, sia il valore da perseguire come scopo principale?

(C) Invece vi propongo una pausa di riflessione; lasciamo per una volta la rincorsa frettolosa dell’attualità, che troppo spesso ci spinge a mettere in mostra i nostri pregiudizi insieme alle stentate analisi prese a prestito dalla cultura laica. Occupiamoci piuttosto di qualcosa di veramente essenziale: vi invito a percorrere un tratto di cammino insieme con una nuova beata: Benedetta Bianchi Porro, che sabato mattina, 14 settembre, proprio nella festa dell’esaltazione della Croce, è stata beatificata nella cattedrale di Forlì. A presiedere il rito è il cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, in rappresentanza di Papa Francesco. Traggo la biografia dall’Osservatore Romano.

Benedetta nasce a Dovadola, in provincia di Forlì, l’8 agosto 1936. Viene battezzata subito dopo un difficile parto dalla madre. Il 13 agosto, All’età di tre mesi viene colpita dalla poliomielite, che la renderà zoppa per tutta la vita. Ma le sofferenze non finiscono qui: è veramente impressionante l’elenco delle malattie e degli interventi chirurgici che deve affrontare. Dal 1945 è costretta a usare scarpe ortopediche pesanti che le provocano grandi dolori. A tredici anni è costretta a indossare un busto ortopedico. A 16 anni si accorge di non udire più bene. Nel suo diario annota: «Ma sentirò sempre la voce dell’anima mia: è questa la vera guida che devo seguire» Nonostante i sospetti che la sua crescente paralisi e sordità fossero di origine psicosomatica, si autodiagnosticò correttamente la malattia di Von Recklinghausen, patologia genetica progressiva che attacca il sistema nervoso. Malgrado i molteplici interventi chirurgici fu costretta sulla sedia a rotelle e, infine, confinata alla propria stanza. Nel 1959 viene colpita da una iniziale paresi bilaterale agli arti inferiori. Rimane quasi totalmente paralizzata, perdendo anche la sensibilità in tutto il corpo a eccezione di una parte della faccia e del braccio destro. Alla fine di febbraio del 1963 resta totalmente cieca. Alle apparenze la vita di Benedetta è quasi vegetativa. Dal punto di vista spirituale, invece, la donna è diventata un gigante.

L’ultima sua parola fu un «grazie» rivolto a Dio per averla voluta con lui inchiodata sulla Croce. Dopo la confessione, il sacramento dell’unzione degli infermi e la Comunione, morì la mattina del 23 gennaio 1964, a Sirmione. Erano le 11 del mattino, poco prima un uccellino si era posato sul davanzale della finestra. La madre lo trasmise a Benedetta che, invasa da ineffabile dolcezza, cominciò a cantare con voce d’angelo ‘Rondinella Pellegrina’. Da vari mesi la sua voce si era spenta in un tenue balbettio. La madre seguì l’uccellino che dopo un trillo festoso, con volo sicuro, si andò a posare su una pianta di rose nel giardino. Su quella pianta era fiorita una rosa, era il 23 gennaio. Alla mamma, stupita e commossa per quella fioritura, Benedetta rispose: “Per coloro che credono, tutto è segno”

(O) Che cosa vuoi dirci, con questo racconto?

(C) Che l’unità tra gli uomini e ancor più tra i cristiani è possibile se sappiamo riconoscere i segni. Questo è quello che oggi fanno i santi: ci aiutano a riconoscere i segni e sono segno essi stessi. Benedetta non ha fatto nulla di notevole, di eroico nella vita; non ha avuto un premio Nobel, non migliaia o milioni di like e di followers, ma ha saputo leggere nella sua vita i segni dell’amore di Dio, a partire da quello decisivo: la croce.

(S) Capisco il tuo entusiasmo di credente, ma oggi il mondo ha bisogno di altre guide spirituali, più concrete, una Greta Thunberg e Carola Rackete, per esempio, o Falcone e Borsellino. Senza dimenticare i vari Che Guevara, Martin Luther King, Camilo Torres, Oscar Romero, Nelson Mandela e tutti gli altri beatificati dalle lotte di liberazione.

(C) C’è proprio da rimarcare non solo una specie d’imitazione del mondo a crearsi i suoi ‘santi’, ma da tempo il concetto stesso di santità è stato stravolto dalla cultura dominante. Vi leggo un passo non recente, tratto dall’Enciclopedia Einaudi, che così riassume il lungo e dotto articolo dedicato alla santità: ”Il santo e la santità si rivelano una forza d’integrazione in grado di eliminare conflitti, di dare significato alla marginalità di certi gruppi, di rendere tollerabili la povertà o la differenza tra le classi, di procurare spesso, direttamente o meno, consenso alle istituzioni e di risolvere la dicotomia ordine-disordine. In altre parole, le società bloccate come quella odierna, sentono il bisogno di mediatori indipendenti e liberi da qualsiasi vincolo, in grado di sedare i conflitti tra gli Stati e di obbligare le parti sociali a guardare oltre i loro interessi immediati e di categoria. I poteri pubblici cercano oggi di colmare questa lacuna creando organismi specializzati, ma se non bastano a riassorbire l’angoscia e il senso di oppressione suscitato dal potere crescente dello Stato e della sua burocrazia, gli uomini di Dio, segno efficace del sacro nel mondo, hanno ancora un avvenire…”

(O) Ma non è questo che fa la Chiesa, non per questo che sono santi i ‘nostri’ santi!

È perché hanno accettato fino in fondo la loro vocazione, così come le circostanze reali gliel’hanno presentata. La santità può essere vissuta e riconosciuta sia nei grandi pastori, come Gregorio Magno o Giovanni Paolo II, nei teologi come Agostino o Tommaso d’Aquino o in chi ha aderito alla propria chiamata alla santità secondo la modalità della sofferenza accolta come croce e anticipo di resurrezione come Maria Goretti, Gianna Beretta Molla e Benedetta Bianchi Porro.

(C) Date le circostanze che segnano il tempo presente nel suo aspetto politico, vorrei ricordare almeno san Tommaso Moro e san Massimiliano Kolbe e soprattutto i processi di canonizzazione in corso di Alcide De Gasperi e di Giorgio La Pira. Ma torniamo a Benedetta. Quello che ci insegna la sua particolare santità è ben evidenziato da alcuni passi dell’omelia del card. Becciu, nella messa di beatificazione: “Da quando scoprì in profondità il mistero della sofferenza, della Croce, si aprì alla intimità con Gesù, realizzando un’esperienza di luce e di amore che la trasformò, un cammino di vera ascesi. Il suo spirito appare tanto più rigoglioso e limpido quanto più vanno in diminuzione le energie e le possibilità corporali. In questo stato, frammisto di debolezza umana e di fortezza divina, la sua principale caratteristica sarà la gioia da diffondere agli altri; i suoi rapporti di amicizia divennero confidenze e messaggi di quello che lei sta vivendo internamente. Così è arrivata ad accettare la malattia come vocazione e come vero apostolato … … Risuonano cariche di profezia le parole con le quali la mamma di Benedetta fa il riassunto della vita della propria figlia: «È morta accanto a noi perché noi imparassimo a vivere». Sì, Benedetta insegna a noi oggi, a porre saldamente l’edificio della nostra esistenza non sulla sabbia di ciò che è effimero e passeggero, ma su Gesù Cristo, la roccia che non viene scalfita dall’usura del tempo”.

Dichiarata venerabile da Giovanni Paolo II, oggi, beata, Benedetta Bianchi Porro riposa in un sarcofago nell’abbazia di Sant’Andrea, a Dovadola nei pressi di Forlì.

(S) Sebastiano Conformi (O) Onirio Desti (C) Costante

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