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Divagando

EL DURA MINGA? MAH

AMBROGIO VAGHI - 04/10/2019

zingarettidimaioCol nuovo governo giallo-rosso una cosa pare sicura, sono scomparse tante certezze. Anche coloro che esercitano la professione di attenti interpreti di fatti politici, i cosiddetti politologi o presunti tali, appaiono fortemente sconcertati. Immaginiamo quanto lo stesso sentimento investirà i cittadini, gli elettori che in definitiva sono coloro cui spetta ogni scelta, al momento che fossero chiamati ad un voto. Siamo tutti assai ancorati a visioni del passato. Eccole domande più ricorrenti.

Come possono convivere a lungo forze politiche tanto lontane che per di più si sono pesantemente scontrate nel passato? Vogliono “discontinuità” ma come giudicare quel Presidente del Consiglio Giuseppe Conte che invece impersona una continuità, prima esercitata con la Lega di Salvini e i 5 stelle di Di Maio, ed ora nuovamente portata avanti coi 5 stellati ma con i rossi dem di Zingaretti e compagni? Può ben giustificarsi la battuta in buon dialetto milanese “el dura minga…”.

Tuttavia molte volte in passato, anche non lontano, si sono verificate convergenze tra forze anche contrastanti. Hanno giocato vantaggi immediati di parte e talvolta a l’interesse più generale per l’intero Paese. Senza farne un elenco esaustivo, un poco di ripasso non farebbe male.

Capiremmo anche certi giochi della politica talvolta non certo criptici. Come la richiesta di ricorrere subito al voto. Lo voleva a gran voce Salvini per prendersi la leadership del centro destra spolpando come un avvoltoio i resti di Forza Italia. Desiderio comune alla battagliera e destrissima Meloni.

Il prudente Zingaretti non poteva sottrarsi per non dare l’impressione di temere il voto immediato pur avendo il suo PD in fibrillazione e ancora depresso dalla disfatta del marzo dello scorso anno.

 Chi segue la politica guardando fuori dalle finestre di casa nostra sa benissimo quanto i ripetuti ricorsi al voto non risolvano di sovente le crisi e mentre talvolta non pochi incontri di forze conflittuali riescono a trovare convergenze positive (vedasi. Israele, Grecia, Spagna, Portogallo, Austria e perché no anche la Repubblica Federale Tedesca). Che poi la richiesta del voto a brevissimo termine fosse impossibile per il rispetto Costituzionale delle prerogative del Parlamento rappresentava anche una richiesta velleitaria di un Salvini inebriato dal successo europeo e certo di essere lui stesso il dominus della campagna elettorale come Ministro dell’Interno.

Aggiungiamo poi che un ricorso anticipato alle urne può comportare anche la variabile non trascurabile delle sorprese. Dell’uomo nuovo che appare sulla scena politica, che si affaccia alla ribalta con ottime promesse, ottimo comunicatore, buon venditore delle sue merci come fossero tappati orientali (ogni riferimento ai Renzi, ai Salvini e Di Maio è puramente casuale…).

Ogni epoca ha avuto il suo trascinatore di folle o arruffa popoli. Dai Ciceruacchio ai Giannini dell’Uomo Qualunque passando ovviamente anche dai Benito Mussolini.

Ecco quindi quanto numerose appaiono le difficoltà nella navigazione dell’attuale Governo che si evidenziano ragionando coi vecchi canoni della politica.

Non un favorevole incontro astrale ma ben radicati interessi di bottega suggerivano di fare a meno di elezioni. Nel campo del centrodestra Berlusconi non aveva alcun interesse a modificare la sua rappresentanza elettorale ancora solida. Altrettanto Matteo Renzi, interessato a non ribaltare la composizione dei gruppi parlamentari creati a sua immagine e somiglianza ai tempi della sua segreteria. Un interesse esteso anche a gruppi e gruppuscoli propensi a tirare avanti per godersi un altro buon biennio di vita tranquilla. E Giuseppe Conte poteva rappresentare il momentaneo uomo della provvidenza, ruolo che ha assunto con favore e che sta portando avanti pare egregiamente.

 I due gruppi politici dei gialli e dei rossi hanno costruito e concordato tra loro dei possibili atti di governo hanno offerto rose di nomi di ministri e sottosegretari e anziche dividersi nella complessa ricerca di un uomo nuovo hanno invitato Giuseppe Conte a dimostrarsi capace di tirare avanti la baracca.

E siamo al dunque, d’ora in avanti conteranno i fatti, il sostegno c’è. Vedremo come si parte per creare lavoro, favorire investimenti, correggere le ingiustizie sociali più drammatiche, trovare soluzioni che evitino l’incombente massiccio aumento dell’IVA e per risolvere le tante urgenze presenti nell’agenda governativa. Non esclusa la riduzione del numero dei parlamentari di imminente scadenza. Argomento ostico se slegato da una riforma della legge elettorale che ormai appare destinata a tornare ad sistema proporzionale puro o corretto quanto basti per rappresentare equamente gli elettori di ogni angolo del Paese.

Basti fare accenno a qualcuno di tali problemi per giustificare il partito del “ el dura minga”.

Infatti chi dovrebbe garantire sul piano parlamentare l’approvazione dei vari provvedimenti governativi? I due partiti dell’attuale maggioranza. Ovvio. Ma gli scontri del passato contano ancora tra i penta stellati ancorati alle consultazioni dei Guru del WEB e alle interferenze dei vari Beppe Grillo. Così come non vanno nascoste le fibrillazioni nel PD con l’ultima scissione del vulcanico Matteo Renzi che se ne va creando una personale Italia Viva da rimpolpare con la prossima raccolta dei fans alla Leopolda. Renzi ha assicurato il premier Conte che non creerà problemi al governo ma è chiaro che intende unirsi al tavolo per dire la sua. Ci manderà altri, lui tirerà le fila. Un brutto inizio presentando consunti personaggi dell’ex cerchio magico come la Maria Elena Boschi.

Questa ultima trovata Renzi poteva risparmiarsela ma il personaggio nel bene e nel male è quello che è, avvolto da protagonismo. Oggi è come una sigaretta che si riaccende dimenticando in questi casi che il fumo sa di veleno. Poteva rimanere nel PD, riconosciuto nel suo valore, non andare a caccia di farfalle tra i fiori del centro destra con la prospettiva di portarsi a casa un magro 5 % di voti o anche solo un 3% secondo altri. Anche il protagonismo dell’ultimo arrivato e primo uscito Carlo Calenda non pare avere avvenire.

Avere cercato di indebolire il PD si rivelerà un errore? Saranno i fatti a dare risposta. Intanto ai vertici il PD ha avuto entrate significative di persone che credono ad un Partito plurale, inclusivo, non clientelare e di larghi orizzonti. Ne fanno fede nomi come quelli della ex presidente della Camera dei Deputati on. Laura Boldrini e della on. Beatrice Lorenzin ex Ministra della Sanità coi Governi Letta, Renzi e Gentiloni. Anche alla periferia il desiderio di unità risulta più forte della conferma di precedenti scelte. Renziani convinti non hanno lasciato il partito, compresi amici toscani come il Sindaco di Firenze Nardella. E Zingaretti ha confermato che i fuori usciti non sanno mai considerati traditori ma collaboratori necessari. Staremo a vedere.

In questo frangente il PD ha voluto essere chiaro: provvedimenti anche importanti calati dall’alto non creano consensi ed adesioni. Dovrà il PD cambiare metodo, interpretare le esigenze popolari, sostenerle a mandarle avanti. I Circoli del Partito Zingaretti li vuole aperti a tutti in permanenza sul territorio dove si vive ogni giorno. Non più esigenze lasciate ad un Partito rottamato, vivente solo saltuariamente nei gazebo. Vuole invece un Partito da rinnovarsi presto e profondamente. Cambiando Statuto, organi decisionali e norme organizzative, eliminando organismi pletorici di rappresentanza. Con un rapido recupero dei ritardi sia degli strumenti informatici di comunicazione sia di quelli inerenti il coinvolgimento degli iscritti. Ci sta lavorando.

Sicuramente problemi interni di partito ma tutti determinanti per l’attuale esperienza di governo se varrà la pena di coltivarla e sostenerla nell’interesse del Paese.

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