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Noterelle

ANDATI ALL’ESTERO

EMILIO CORBETTA - 25/10/2019

fugaMio figlio è andato all’estero. È andato via, oltre l’oceano. Ma anche l’altro figlio è andato via, meno lontano ma anche lui in un’altra Nazione.

La globalizzazione, il villaggio globale ha scalfito la mia famiglia, l’ha indebolita? No! L’ha rivoluzionata ma negli affetti l’ha rafforzata perché fortunatamente la tecnologia dei nostri giorni permette reali contatti importanti e l’affetto è più profondo, più vivo perché questo il risultato dello stimolo provocato dalle distanze. Con il figlio più lontano anni fa, appena partito, ci scambiavamo lettere quindicinali, vergate a mano su fogli di carta particolarmente sottili e leggeri per farli rientrare nel valore della spesa coperta dal francobollo. Si poteva anche allora telefonare, ma era “una botta” di dollari! Oggi si riesce a parlarci e vederci sui piccoli schermi, ma comunque la loro assenza concreta pesa.

Senti la loro mancanza e li pensi con maggior intensità, con maggior affetto. Fenomeno legato alle distanze? Forse. Quando ero bambino c’era la guerra. Ogni giorno avevo modo di ascoltare le conversazioni delle madri, amiche della mia, tutte aggrappate con angoscia al pensiero dei figli al fronte, o fuggiti sui monti o prigionieri a patire la fame nei campi di concentramento dove si lavorava faticosamente e si moriva facilmente. E nel contempo queste mamme (le famiglie allora erano numerose) quante tensioni avevano con i figli rimasti a casa! Contrastanti le reazioni legate alle distanze diverse, ma non dimentichiamo la precarietà dei quei tempi. Ero piccolo e non potevo capirne di psicologia, ma restavo sconcertato.

Come detto, adesso le distanze sembrano più corte rispetto al passato ma pesano ugualmente molto.

Perché tanti nostri figli se ne vanno all’estero? Veramente molti sono gli stimoli che influiscono sulle loro scelte

Sono andati via attratti da altre culture, da altri modi di vivere, da altre società pur sapendo che avrebbero dovuto faticare molto, che avrebbero incontrato difficoltà, ma forse meno che da noi e poi là non avrebbero dovuto ingoiare le offese intellettive e psicologiche che l’attuale società italiana infligge ai giovani impedendo loro di realizzarsi. Società dove “l’avere famiglia ” sembra essere la base per raggiungere una apparente autonomia, ma che in definitiva imbriglia la tua volontà e capacità di studiare, lavorare, affrontare e risolvere problemi senza sfuggirli, anzi amando d’esserne intrigato. E questa può essere una motivazione.

Studiare, leggere, sperimentare, affrontare l’influenza dell’ambiente, saper rielaborare il tutto dentro di te migliorando la realtà dovrebbero essere i moti dei nostri giovani che invece numerosi restano penalizzati, inibiti: scoraggiati non cercano il lavoro e rinunciano alla cultura, valori che invece altre società nostre concorrenti danno la possibilità di soddisfare. È questa la causa? O banalmente è il sogno d’avventura, di novità, il fascino di altri ambienti creduti più belli?

La storia ci dice che l’Italia era luogo dove si realizzavano grandi cose. Era vita feconda, più giusta e chi meritava veniva valorizzato (anche se molto spesso sfruttato). Poi le cose sono mutate; imperava la miseria e specialmente tra la fine e gli inizi del secolo scorso si andava in tanti all’estero per fame.

Questa “fuga di cervelli” diventa la cartina di tornasole che mostra quanto sia difettosa la nostra società incapace di correggersi e valorizzare il tesoro di intelligenze che possiede, veramente numerose e pronte a dare frutti positivi, che attualmente vanno ad arricchire altre società.

Errati modi di fare investimenti e usare le possibilità offerte dai capitali, il dare importanza a realtà effimere elevate falsamente a grandi valori piuttosto che alle reali necessità delle persone, la corruzione in troppe aree, l’esasperare la “paura” diffusa e il senso di insicurezza, l’illudere la gente con promesse irrealizzabili, il dare spazio agli ignoranti e ai supponenti, l’incubo della burocrazia : è lunghissimo l’elenco che scoraggia i giovani e più che giustificato appare il cercare altrove una realtà più equa, magari anche complicata e faticosa : resta il fatto che se vogliono realizzarsi devono andarsene. Questo è il dramma!

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