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Il punto blu

LIBRO DI CHIFFON

DINO AZZALIN - 25/10/2019

azzalinCaro Dino,

Sappiamo poco lʼuno dellʼaltro, anzi praticamente niente, e lʼopportunità di commentare il tuo libro è unʼottima occasione per approfondire la nostra conoscenza.
Grazie intanto per avermene fatto conoscere lʼesistenza, attraverso di esso ci siamo ritrovati e questa mi pare già di per sé una bellissima cosa.

La premessa fondamentale è che io certamente non sono stata una lettrice ideale. La mia vita è stata spesso una cappa di piombo e la leggerezza necessaria per potersi immedesimare in protagonisti alle prese con una dimensione erotica/passionale mi è un poʼ mancata…

Tuttavia è innegabile che in ognuno di noi, anche se solo a tratti, esista una dimensione segreta, intima, inconfessabile.
Il tuo libro certamente induce a riflettere sul fatto che la dovremmo considerare un poʼ meno inconfessabile di quanto si faccia comunemente, questa dimensione segreta; ed in questo senso è introspettivo, giacché leggendolo non possiamo fare a meno di chiederci se ognuno di noi avrebbe potuto trovarsi nei panni di Philippe, o di Doris, e cosa avrebbe fatto al posto loro, quali sarebbero stati i passaggi, le reazioni, le decisioni.

Eʼ forse possibile cercare il significato più autentico della nostra vita indagando profondamente nei recessi più nascosti della passione amorosa?
 Affermi ad un certo punto che essenzialmente Philippe aveva un problema cronico di mancanza dʼaffetto. Eʼ forse tutto lì il senso della sua inquietudine?

Il merito più grande che ti assegno è di aver raccontato liberamente, senza ipocrisie, talvolta con allegria, candore perfino, la storia di una passione su cui “normalmente” si sarebbe portati a tacere.
Lanciarsi in unʼimpresa quale quella di scrivere un romanzo dʼesordio, è qualcosa che si riesce a fare se non si è troppo perfezionisti. Lʼossessione per la perfezione impedirebbe di giudicarlo degno per quanto lo si rifinisca, e si finirebbe per non scriverlo mai o quantomeno per non osare pubblicarlo mai.

Apprezzo anche la tua costante ricerca di poesia. La cerchi, la racconti, la infili ovunque e questo è senzʼaltro ammirevole.

Certo, a me pare di individuare un filino di eccesso sullʼerotismo. Per esempio citando il manuale “come scoparsele tutte senza sensi di colpa” si sconfina in un lessico adatto ad una serata al bar con gli amici?
O si tratta di un guizzo di perbenismo che, mio malgrado, fa capolino nella mia testa?

Oppure, talvolta si percepisce una poetica un poʼ verbosa… si legge e ci si chiede “ma cosa ha detto?” Io la snellirei, decisamente. La vena cʼè ed è buonissima ma va dragata di tutta una serie di materiali inutili.

A volte avrei anche evitato che si faccia largo la sensazione che Philippe sia un vitellone di provincia con orizzonti assai limitati. Ma in fondo è proprio vero che un personaggio di un romanzo debba essere per forza un eroe? O si può, invece, raccontarne anche la piccolezza?

Avrei calcato di più la mano sulle (potenzialmente infinite) suggestioni paesaggistiche della zona geografica in cui è ambientata la storia. Avrebbero potuto essere ancora più belle e

pittoresche di quanto le hai rese tu indugiando un poʼ di più su luoghi, flora, fauna, architettura ecc.
Stesso dicasi per la caratterizzazione dei personaggi. Non ti dico un novello Tolstoij che descrive perfino la quantità ed il colore dei baffetti del labbro superiore, o la forma esatta delle dita e via dicendo. Si potevano descrivere minuziosamente tutte le figure che compaiono nel romanzo e in parte lo fai col commissario… Ma non è forse possibile lasciare che sia il lettore che costruisca del tutto liberamente la figura di cui legge le avventure? E che faccia lo stesso con la personalità dei protagonisti? Possono essere considerati simpatici, antipatici, simili a noi o fortemente dissimili? Potrebbe esserci una precisa volontà perché accada questo nella testa di ogni singolo lettore!

Anche il tempo narrativo è un poʼ troppo dilatato. Fin verso la pagina 40 è troppo fermo, non succede nulla e si sente il bisogno di un ritmo più veloce e di aperture e chiusure di sipario, per così dire… Sai quando chiudi un paragrafo e si cambia proprio scenografia, situazione, tempo. Ecco, più zig zag con le digressioni. Avrei anche complicato un poʼ lʼarchitettura complessiva del romanzo che risulta come immersa in un liquido amniotico che attutisce i rumori e i movimenti esterni.

Ma forse è proprio la dilatazione estrema del tempo la cifra del tuo libro.

Infine alcune piccole pignolerie grammaticali (per esempio non si “coniugano” le parole ma solo i verbi: pag. 16) che nellʼeconomia complessiva del romanzo non infastidiscono e possono solo saltare allʼocchio di qualche precisina/o…

Nellʼinsieme bravissimo e complimenti giacché chi non risica non rosica ed è assai più facile criticare che creare!

Un abbraccio sperando che le mie osservazioni possano essere utili per qualche spunto scrivendo il sequel di Philippe.
 A proposito, cosa fa dopo il nostro Philippe?

Wilma Dionigi

Bella risposta Wilma,

centrata, critica, propositiva come piace a me. I protagonisti non devono per forza incarnare la virtù e il buon esempio, il bar ha le sue regole boccacesche bisogna saperle interpretare, e a volte i personaggi sono degli scellerati e omini riprovevoli, ma spesso sono proprio loro che suscitano interessi segreti nella curiositá del lettore. Pensa a Quilty e Humbert personaggi di Lolita, Nabokov, esecrabili eppure incarnano l’eterno desiderio peccaminoso e volgare di intere generazioni. O le sorelle usuraie uccise da Raskol’nikov, quella designata chiamata anche Dunja e, con diminutivo, D˙nečka di Delitto e Castigo. Non parliamo delle biografie appena accennate e così volute, mentre sul paesaggio non volevo patinare nulla, ho detto solo quel che vedono i personaggi, mia piaceva creare una piece teatrale o cinematografica che avviene in una cella, glabra, scarna, essenziale, ma che rievoca il fuori, la realtá, il male, attraverso un paesaggio interiore. Si, forse avrei potuto calcare la mano sul personaggio dell’Ispettore Argento con il bene e il male a confronto, ma così è. Chissá come hai detto tu sará per la prossima volta. L’erotismo è voluto come la cultura del desiderio mai volgare né ostentato, senza il quale ogni vita viene sprecata, anche quella mistica, l’anelito verso Dio deve essere desiderio profondo d’amore, un eros “mistico”basato sull’assenza e sulla invisibilitá dell’oggetto amato. Per i laici una vita sessuale soddisfacente porta alla salute psico-fisica (qui parla il medico) meravigliosa e aiuta la longevitá, sono poche le suore centenarie…Ti voglio bene.

Dino.

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