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Società

GUIDA D’EMOZIONI

MARIO DIURNI E LAURA FORMENTI - 01/11/2019

scuolaIn un quadro sociale, economico e culturale in rapido mutamento, la scuola ha avuto lenti cambiamenti nel nostro Paese, avvenuti soprattutto per una spinta da parte delle nuove generazioni e delle famiglie, pur non essendo mancati negli ultimi anni gli interventi di riforma a livello istituzionale (riforma Gelmini 2008 e Buona scuola del 2015).

Sono rimasti irrisolti purtroppo i problemi storici, primo fra tutti quello di un adeguato raccordo tra scuola e lavoro che consenta una più rapida inclusione dei giovani nel mercato del lavoro e di conseguenza nella vita sociale, con la possibilità di formare una famiglia di elezione e di partecipare alla vita associativa attraverso forme diverse di partecipazione.

Già nel 1999 Ilvo Diamanti parlava di “generazione invisibile”, essendo i giovani considerati non più un “soggetto sociale” o meglio un capitale sociale, ma soltanto “un segmento di mercato”.

Come hanno reagito i giovani a questi mutamenti di scenario? Da un lato con un investimento di media/ lunga portata nell’istruzione e sono aumentate pertanto le iscrizioni ai licei; dall’altro lato si è avuta una diminuzione del passaggio dalla scuola superiore all’università, che oggi è nella percentuale del 50% (MIUR 2017) e dell’abbandono dei percorsi formativi prima di aver conseguito un diploma o una qualifica, cioè quella che viene definita “povertà educativa”.

Già Don Milani nel lontano 1960 affermava che “la scuola ha un unico problema: i ragazzi che perde”; ancora oggi l’abbandono della scuola costituisce una forma di grave disuguaglianza sociale, perché si intreccia con altre forme di povertà e disuguaglianza: condizione socio-economica, background familiare, genere e percorsi migratori.

Questo problema è stato affrontato anche a livello di Unione europea, prima con la strategia di Lisbona ed adesso con Europa 2020, facendo del contrasto alla dispersione scolastica un obiettivo prioritario, in modo da portare a valori inferiori al 10% l’indicatore dei cosiddetti ESL, earlyschoolleavers.

Nel nostro Paese i dati contrastano fortemente con quelli della media europea, con una percentuale del 25,1% nel 2000 a fronte del 17,6% negli altri Paesi europei, attestandosi ora (2017) intorno al 14%, con un trend positivo, pur rimanendo significative differenze geografiche, di genere e di cittadinanza.

Il rapporto tra istruzione ed educazione inoltre rimane ancora oggi uno dei problemi principali da risolvere e, se affrontato, consente uno sguardo di lettura più ampio della povertà educativa.; è la sintesi armonica di questi due moduli che permette la vera conoscenza, come valore personale da portare a compimento anche attraverso l’impegno sociale. Si educa mentre si istruisce, si educa distribuendo generosamente nozioni attraverso l’unicità della relazione con l’altro. Non può esistere educazione neutra e differita, perché la conoscenza passa anche attraverso la guida alle emozioni.

Spesso si interpreta la povertà educativa come una povertà strutturale dei servizi, delle istituzioni, dei luoghi di cultura, senza mai soffermarsi a riflettere su quanto questi luoghi siano realmente esperienze educative, troppo spesso ridotti a semplice fruizione di un servizio. I giovani d’oggi rappresentano la possibilità di generare sviluppo culturale ed economico, partendo principalmente dal riscatto di una delle tante povertà, forse la più importante, cioè quella dell’emergenza educativa.

Risulta pertanto necessario favorire un cambiamento culturale prima ancora che strutturale; da un lato sviluppare una piena coscienza di una povertà educativa che è multifattoriale e che è responsabilità sociale condivisa, dall’altro favorire una assunzione di responsabilità educativa da parte di chi, volente o nolente, rappresenta l’interlocutore primario nel processo educativo ed il trasmettitore di “senso, di ideale, di prospettiva “ (Rondoni Avvenire, ottobre 2019), cioè gli insegnanti.      (continua)

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