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Attualità

CORRENTI GREEN

FABRIZIO MARONI - 15/11/2019

È stato indetto, per il 29 novembre, un nuovo sciopero globale per il clima.

L’ambientalismo contemporaneo, rivitalizzato dall’opera di Greta Thunberg, sembra però essere diviso in due macro correnti: una “individualista” e una, si potrebbe dire, “globalista”.

Questa differenza non si manifesta tanto nelle sigle, né nelle proteste di piazza (che coinvolgono ambientalisti dell’una e dell’altra corrente); sembra piuttosto avere una rilevanza nella vita quotidiana e, in un certo senso, nell’ideologia.

L’individualista si fa portatore di una dottrina radicale, secondo la quale la lotta ambientalista, pur dovendo necessariamente passare dalle piazze, non può prescindere da una rivoluzione prima di tutto domestica. Insomma, protestare è giusto, ma ha poco senso se all’atto pubblico non segue un cambiamento nello stile di vita, che significa, per esempio, ridurre consumi e sprechi personali e orientare le proprie scelte verso una spesa più critica.

Dall’altro lato, però, c’è la visione globalista, portata avanti con forza da Fridaysfor Future. Un concetto su cui ha insistito molto il giovane movimento è che i cittadini comuni (quelli, per esempio, che partecipano alle manifestazioni) non devono sentirsi al banco degli imputati nel processo ai cambiamenti climatici; la vera responsabilità è delle grandi società nazionali e multinazionali, e di una classe politica incapace di intervenire seriamente con misure di contrasto all’inquinamento. L’individuazione del nemico è fondamentale nella dottrina di Fridays for Future e tendenzialmente il nemico è sempre qualcun altro.

Questa divisione non ha nulla di formale né di dichiarato, ma è utile per comprendere il successo dei nuovi movimenti green. Il grande merito della recente onda ambientalista è di aver saputo portare in piazza una gran quantità di persone e ciò è stato possibile proprio grazie all’ottima intuizione di innalzare l’ambientalismo a una lotta contro i potenti, contro le industrie, perché poche cose riescono a serrare le fila di uno schieramento come un nemico comune. Le centinaia di migliaia di persone che hanno sfilato per le strade delle grandi città non si sono sentite rimproverare perché usano troppo la macchina, o mangiano troppa carne (nonostante la ragazza simbolo di questa lotta sia vegana e abbia utilizzato un catamarano per il suo viaggio negli Stati Uniti).

Non bisogna però giudicare negativamente, né gli organizzatori né i partecipanti: stiamo finalmente assistendo a una meravigliosa mobilitazione, la più grande nella storia dell’ambientalismo, che è destinata a lasciare il segno e in parte lo ha già lasciato.

Tuttavia, un’obiezione che spesso viene sollevata da chi potrebbe essere annoverato fra i “globalisti”, o “ambientalisti rivoluzionari”, è che il comportamento dell’individuo ha ben poca influenza nel mare magnum dei cambiamenti climatici.

Quest’argomentazione solleva diverse questioni di carattere etico: è giusto ritenere che i colpevoli dell’inquinamento siano solo le grandi industrie, e che i consumatori finali non abbiano alcuna responsabilità? Sebbene sia chiaro che l’incidenza dei miei personali comportamenti sui cambiamenti climatici sia bassa, cosa significa condannare in piazza il sistema, per poi goderne nel privato delle mura domestiche?

Queste omissioni, forse, sono strumentali e persino necessarie per dare una voce forte al nuovo ambientalismo, e come detto non dovrebbero essere considerate con severità.

Occorre, però, un’ulteriore considerazione. L’universale e il particolare non sono due rette parallele: la protesta pubblica e i comportamenti privati sono destinati inevitabilmente a intrecciarsi. I successi di questa lotta ambientalista (nella speranza che ce ne saranno in abbondanza) andranno inevitabilmente a incidere anche sui consumi domestici, sulle nostre scelte. In che modo e in quale misura avverrà, sarà il tempo a dirlo. Nel frattempo, il 29 si scende in piazza.

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