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In Confidenza

DUE MODI

Don ERMINIO VILLA - 15/11/2019

duemodiIl fariseo e il pubblicano hanno modi di dire e di fare diversi, pur trovandosi nel tempio davanti a Dio, per pregare…

Due uomini, due storie, due stili di vita, due modi di pregare. Ed un solo attualissimo insegnamento per coloro che “hanno l’intima presunzione di essere giusti e disprezzano gli altri”.

L’insegnamento viene proprio dalla bocca del pubblicano, il meno rispettabile dei due: “O Dio, abbi pietà di me peccatore!”.

Non un invito alla perfezione, non una sottolineatura del “fare” bene, non un elogio della legalità, ma una preghiera di cuore, una preghiera di sincerità, una preghiera che volge gli occhi a sé, solo per riconoscere il volto splendente di Dio, e non per trovare tratti di magnificenza nei propri meriti.

Questa è la preghiera gradita al Signore, la preghiera che rimanda “a casa giustificati”, la preghiera per Colui che “riscatta la vita dei suoi servi e non condanna chi in lui si rifugia”.

Pietà: vuol dire benevolenza, affetto, misericordia, carità, amore, comprensione. Questa è la relazione che il Signore si aspetta che gli chiedano i suoi fedeli. Questi i sentimenti che “regolano” senza contabilizzare, che guidano senza imporre, che insegnano a parlare persino a “chi ha il cuore spezzato”.

In questi due uomini che dialogano con Dio, riconosciamo l’altalenare dei nostri rapporti con Lui come dei nostri nostri colloqui con l’Uomo. Riconosciamo che la preghiera è quella voce profonda, capace di svelare e ritmare ogni movimento dell’anima. Una preghiera che cerca “salvezza per un cuore affranto”, che cerca “rifugio dalle angosce” è una preghiera che insegna ad amare, che porta a scoprire l’amore ricevuto, e che ne scandisce la lode in ogni tempo.

Invece un dialogo che racconta la fierezza di “non essere come gli altri” è una preghiera che allontana, che separa, che calcola e distingue. È una preghiera che diventa sguardo rivolto alla terra, anziché diretto al cielo.

Se anche noi imparassimo a pregare come il pubblicano, se lasciassimo la sua preghiera scendere in profondità nel nostro cuore, quasi fosse una voce sicura nella notte dell’anima; se imparassimo a pregare abbandonati, fiduciosi, assetati di Dio, verrebbero a galla tutte quelle volte che non abbiamo amato abbastanza e che abbiamo risparmiato il nostro cuore…

E capiremmo che parlare, comunicare, pregare, amare sono atti che non richiedono uno sforzo intellettivo, rifuggono da comandi autoritari, per piegarsi invece alla cura fiduciosa del Padre verso il proprio figlio carissimo.

Se ci aprissimo a Lui, confidando nella sua misericordia che è perdono per amore, ne saremmo giustificati…

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