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Editoriale

ALICI

MASSIMO LODI - 22/11/2019

le "sardine" in piazza a Bologna

le “sardine” in piazza a Bologna

Nella convention del Pd di Bologna, Nicola Zingaretti non ha sbroccato rimettendo in campo due cavalli di battagli del partito, lo ius soli e lo ius culturae. La meraviglia di Di Maio per la sortita (“Siamo alle prese con il caso dell’ex Ilva e con Venezia sommersa dall’acqua, c’era bisogno di tirar fuori simili questioni?) è pari alla sua irritazione. Fa bene a denunziarle entrambe. Perché Zingaretti, d’intesa con l’establishment Dem, ha deciso di cambiare strategia. Basta con l’overdose d’acquiescenza verso i Cinquestelle, d’ora in poi il Pd intende marcare la propria identità, invece di diluirla in quella indistinta del governo.

Il ragionamento è semplice. Se le elezioni in Emilia Romagna dovessero buttar male facendo da prodromo alle politiche, meglio presentarsi agl’italiani con il profilo netto d’una forza d’autentico riformismo. Se la consultazione regionale dovesse andar bene allontanando le urne nazionali, meglio ancora: sarebbe il momento d’imprimere al Conte2 una svolta progressista. Gli obiettivi sono evidenti: occupare lo spazio lasciato libero a sinistra dall’M5S e minare, per farla esplodere, la leadership di Di Maio. Screditato dai ‘clic’ di Rousseau e pur di non andare al voto temendo d’essere sopraffatto da Salvini che alle europee gli ha sfilato milioni d’elettori, il capo dei grillini insegue compromessi al ribasso, in particolare cercando d’adeguare alcune scelte al pensiero del rivale leghista. Spera, agendo in tal modo, di spostare in là il giorno del giudizio popolare; e di tamponare l’emorragia di consenso, quando quel giorno verrà.

Zingaretti, che all’altare con Di Maio s’è recato perché costrettovi, ritiene invece che tirare a campare per non tirare le cuoia sia un errore esiziale. Cioè l’anticamera della débacle del Pd, tanto più che Renzi lo va indebolendo graffiandone l’immagine non appena gli è possibile (e ora anche Calenda, con la sua ‘Azione’ di rigetto). Dunque appare urgente abbandonare la strada contorta e spesso oscura sinora battuta e sceglierne una lineare e costellata di chiari cartelli indicatori. Rimproverato di sostenere un premier senz’anima, Zingaretti s’è convinto di doverne mostrare una sua.

Non è detto peraltro che il voto anticipato sia sinonimo di sconfitta certa. In Italia gli umori dei rappresentati cambiano più rapidamente/più spesso di quelli dei rappresentanti, e le sorprese sono all’ordine del giorno. Basti pensare alla piazza Maggiore di Bologna e a quella Grande di Modena affollate di migliaia di cittadini-specialmente giovani- autoconvocatisi e contrari alla deriva sovranista del Paese. Qualcosa del genere potrebbe accadere su scala più vasta, qualora fossimo richiamati a scegliere il Parlamento. Per ottenere (1) la fiducia di queste piazze, immaginandone la moltiplicazione; e per convincere (2) la moltitudine degl’indifferenti a lasciare l’astensionismo, è indispensabile segnalare una cifra riconoscibile e non contraddittoria del proprio impegno al rinnovamento del Paese. Un rischio, di sicuro. Ma anche un atto di coraggio, altrettanto di sicuro. I primi ad apprezzare entrambi, sarebbero i molti cattolici impegnati nella rete dell’associazionismo solidale e disposti a un’alleanza civico-politica che coniugasse i loro valori con quelli dei potenziali partner. Non c’è bisogno d’un contratto notarile, è sufficiente il contatto con la realtà: quello perduto dal centrosinistra e che il favolistico popolo delle ‘sardine’ sta riattivando. Alici nel paese delle meraviglie, perché no?

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