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Cultura

DOPO DAGUERRE E NIÉPCE

ROSALBA FERRERO - 22/11/2019

 

Quando nel gennaio del 1839 venne presentata all’Accademia delle scienze di Parigi la nuova invenzione di Niépce e Daguerre, la macchina fotografica, mezzo votato a fissare nel tempo emozioni scene figure paesaggi, la pittura deteneva il primato della riproduzione della realtà: il nuovo strumento fu esaltato da alcuni come risolutivo per la ‘copia dal vero’ e da altri come destinato all’oblio per la sua inutilità.

Ma fu subito chiaro che occorreva definire la relazione intercorrente tra pittura e fotografia: quali relazioni si potevano realizzare tra le due arti? A quale di esse spettava il primato della riproduzione della realtà?

È questo il tema che la mostra ‘Arte e arti. Pittura, grafica e fotografia nell’Ottocento’ da poco inaugurata e in essere sino al 2 febbraio 2020 alla Pinacoteca cantonale Giovanni Züst, di Rancate indaga, illuminando i termini della querelle che si sviluppò da subito, schierando da una parte gli intransigenti come il pittore Gauguin: “…Sono lontano dal pensare che la fotografia possa esserci utile…”, convinto che la vera arte, la pittura, non abbia bisogno di alcun supporto, alcuna meccanica vile invenzione perché con l’arte si crea, con la fotografia si riproduce solo meccanicamente con un ‘vile strumento(!)’; dall’altra i possibilisti come il fotografo, gallerista, pittore incisore caricaturista Nadar che definisce la macchina fotografica come ‘vecchia signora che cerca di entrare in una mostra di quadri’ e la ritrae nel cesto di un pallone aerostatico in volo su Parigi.

La mostra curata da Matteo Bianchi con la collaborazione di Elisabetta Chiodini e Mariangela Agliati Ruggia racconta sia l’iter percorso dalla fotografia per affermarsi come forma d’arte sia il rapporto tra la fotografia e la pittura.

Lo scopo di ‘eternare’ l’attimo fuggente, lo sforzo di fissare ‘per sempre’, appagando la sete di eternità che è insita nell’essere umano, un elemento qualsiasi, liberandolo dalle pastoie delle coordinate spazio-temporali, è la missione dell’artista, sia esso un pittore che si avvale di tela e pennello, sia esso un ‘fotografo’ che fa uso di una macchina.

Per gli artisti più innovativi la macchina fotografica diviene così un mezzo per ridurre i tempi di posa dei modelli, uno ‘schizzo’ della realtà per studiare luci ombre e ogni particolare nella quiete dello studio.

Nella seconda metà dell’Ottocento inoltre è stato messo in discussione il concetto di arte che dominava da secoli e la pittura intesa come riproduzione della realtà il più possibile veritiera dà spazio a una visione soggettiva, in cui il pittore coglie ‘il momento’ ‘l’attimo fuggente’ l’aspetto, la situazione che subito si scioglie nel tempo.

 Spazi figure emozioni si temporalizzano e interiorizzano: fissarle sulla tela è il compito dell’artista che ‘vive’ e ‘crea’ la realtà. È la pittura en plein air che conduce all’Impressionismo, che si sviluppa di pari passo con la fotografia utilizzata dai pittori per studiare il soggetto con luci ed ombre.

È vicino a Parigi, nella foresta di Fontainebleau che giovani artisti studiano gli effetti della luce filtrare attraverso le fronde: medesimo è lo scorcio di bosco che due pittori immortalano sulla tela con immagini diverse; Corot affianca e ripete Cuvelier: le fronde degli alberi il vuoto del viottolo il lembo del cielo, il contenuto di una tela richiama il contenuto dell’altra, ma ognuna è unica: il quadro è una creazione irripetibile, assolutamente personale.

La mostra narra tutto ciò, illustrando il processo creativo seguito dagli artisti con i dipinti, numerosi inediti provenienti da collezioni private, e le fotografie originali; artisti del pennello e artisti dello scatto che spesso assommavano le due diverse tecniche nel proprio modus operandi.

La mostra espone i lavori di alcuni pittori attivi tra Arras e Barbizon, come Daubigny, Desavary, Dutilleux e Théodore Rousseau, cui si aggiunge Jean-Baptiste-Camille Corot, cui viene riservato un ampio spazio: dipinti, disegni, incisioni e una decina di cliché-verre, lastre di vetro, oggi rarissime, ricoperte da un materiale opaco: qui avveniva l’incisione dell’artista e la successiva stampa su carta fotosensibile fissava le immagini con risultati di grande fascino, a metà tra fotografia e arte figurativa. Per Corot l’uso della fotografia consentiva all’artista di cogliere i mutamenti cromatici e il differenziarsi della luce che nel realizzare i paesaggi consentiva una resa pittorica molto interessante.

Come sempre si coglie nella mostra l’attenzione al ‘territorio insubrico’ che la Pinacoteca Züst attua con encomiabile perseveranza da anni: sono esposte opere di pittori ticinesi accanto ad opere di pittori italiani.

Filippo Franzoni utilizza la nuova tecnica per ‘costruire’ paesaggi come documentano le ‘riproduzione di studi fotografici’ cui segue la tavola ‘La vela’; analogamente Luigi Rossi utilizza le foto come ‘schizzo’ per la ‘posa’ delle figure: le fotografie originali di studio per ‘Primi raggi’ sono la base del dipinto ‘Primi raggi’ e così procede per realizzare ‘Genzianella’. Alessandro Guardassoni si ritrae addirittura in un ‘Autoritratto con cavalletto e macchina fotografica’; Pompeo Mariani usa vari scatti fotografici come elementi di studio per realizzare il ritratto ‘ Mia madre in giardino’ e lo stesso fa Pietro Chiesa per ‘Quiete’.

Domenico Induno Federico Faruffini Achille Tominetti, Uberto dell’Orto, Pelizza da Volpedo, Angelo Morbelli utilizzano la fotografia come mezzo di indagine del vero.

La Züst riserva poi un’intera saletta ai Vela; di Lorenzo si può ammirare la scultura ‘Testa di leone’ per eseguire la quale lo scultore utilizzò come modello la foto di un leone in gabbia; di Spartaco è la tela ‘Nello specchio’, preceduta dal fotografia eseguita da Carlo Lose. La mostra che intende ricostruire il processo creativo seguito dagli artisti procedendo in un’analisi-confronto tra dipinti fotografie incisioni, ha il merito di far scoprire al pubblico un tema poco noto avvalendosi della esposizione di numerosi inediti giunti da collezioni private.

Un’intera sala a pianterreno è dedicata a tecniche e strumenti a supporto della riproduzione delle immagini macchine fotografiche e lastre d’epoca, stereoscopi, pietre litografiche, tavole silografiche, rami.

L’allestimento della mostra è lda tesi di bachelor in architettura d’interni, alla SUPSI di Giulia Brugnoli e Michela Di Fini Nardo.

Accompagna la mostra un ampio e bene articolato catalogo edito da Skira, che riporta saggi di Matteo Bianchi, il curatore, e di Elisabetta Chiodini, studiosa dell’Ottocento italiano, di Mélanie Lerat, Michel Melot e Dominique Horbez.

 

Arte e arti. Pittura, grafica e fotografia nell’Ottocento
Pinacoteca cantonale Giovanni Züst CH-6862 Rancate (Mendrisio)
20 ottobre 2019 – 2 febbraio 2020
Catalogo della mostra disponibile

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