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Politica

REUNION

SERGIO REDAELLI - 05/12/2019

bergoglioÈ passato un secolo. Il 18 gennaio 1919 quando Luigi Sturzo fondò il Partito Popolare Italiano all’albergo Santa Chiara di Roma con altri personaggi del mondo della cultura e della politica, pensava a una forza laica, democratica e d’ispirazione cristiana. Il nuovo gruppo si proponeva tra l’altro di difendere la fa­miglia e la libertà d’insegnamento, di battersi per il diritto al lavoro, di realizzare il sistema elettorale proporzionale, di elaborare forme di previdenza sociale e garantire il voto alle donne, un miraggio in quei tempi lontani. Ci vorranno 27 anni, infatti, prima che le donne italiane votino per la prima volta alle amministrative del 1946 e al successivo referendum monarchia-repubblica del 2 giugno.

Cent’anni dopo si torna a parlare di voto cattolico e dell’ipotetica riedizione di una forza di centro che provi a rompere l’eterno dualismo destra-sinistra e renda l’Italia meno ingovernabile. È soltanto un’idea, un progetto che trae ispirazione da un partito dalla storia gloriosa, concepito nell’Italia condizionata dal non expedit di Pio IX che impediva l’impegno diretto in politica ai cattolici, nato, morto e risorto diverse volte in un secolo. Il Partito Popolare non parlava a nome della Chiesa, non era un’emanazione dell’Azione Cattolica e sosteneva un progetto laico per l’Italia del primo dopoguerra. Si batteva per allontanare il pericolo di nuovi conflitti, dare stabilità alle nazioni e attuare gli ideali di giustizia sociale.

Si sciolse nel 1926 con l’affermarsi del regime totalitario e la soppressione delle libertà civili. Risorse nel 1943 con un altro nome, Democrazia Cristiana, e di nuovo si spense sotto i colpi di Tangentopoli nei primi anni Novanta. Da allora, da un quarto di secolo a questa parte, il voto cattolico è disperso nell’intero arco politico e fa gola alle forze che si contendono la guida del Paese. “Pregare se non aiuta certamente non nuoce”, diceva Benito Mussolini esprimendo il suo ambiguo rapporto con il cattolicesimo: “Ateo convinto, si era conquistato il favore degli squadristi grazie alla veemente retorica anticlericale – ricorda il gesuita Giovanni Sale nel libro La Chiesa di Mussolini – Ma una volta salito al potere nel 1922 non esitò a cambiare rotta pur di assicurarsi il sostegno delle gerarchie vaticane”.

La Chiesa è la guida morale dei cattolici ed è logico che la politica la corteggi o la combatta in certi casi, che comunque manifesti un’interessata attenzione. Accade anche oggi. “Mai nella vita avrei pensato che proprio io, divorziato e peccatore, sarei diventato un punto di riferimento dei cattolici – confessa Matteo Salvini al Corriere della Sera – Ma io non mi vergogno di credere e presto andrò a Medjugorje”. La caccia al consenso elettorale giustifica l’uso strumentale di immagini devozionali, di crocifissi, rosari e pellegrinaggi? Evidentemente sì. Con il rischio calcolato “di offendere il sentimento dei credenti e di offuscare il principio di laicità dello Stato”, eccepisce il direttore di Civiltà Cattolica, Antonio Spadaro.

I rapporti tra fede e politica, i legami tra la Chiesa e il mondo moderno, il ruolo dei cattolici nella società e la loro autonomia di scelta sono temi delicati e complessi. Ma in concreto rappresentano milioni di voti che le forze elettorali cercano inevitabilmente di accaparrarsi, con la promessa di salvaguardare l’identità cristiana. Tentativi di avvicinamento, mani tese, atti di contrizione, tutto va bene, tutto è lecito e accettato. Negli anni d’oro di Forza Italia, il programma di Berlusconi fece propri gli impegni cari alla Chiesa come la difesa della scuola privata e della famiglia, l’opposizione alle coppie gay, l’insegnamento religioso nelle aule e l’adesione all’8 per mille.

Il problema è che, oggi, chi voglia assicurarsi il consenso dei cattolici deve affrontare una realtà più complessa e sfaccettata, una Chiesa sempre amata ma divisa e cangiante, che mette in discussione sé stessa ed è in continuo movimento con papa Francesco. E deve tenere conto dei sentimenti diffusi tra la gente che investono le sfere dell’identità nazionale, della sicurezza e dell’accoglienza. In ultima analisi, l’applicazione della parola del Vangelo, una parola scomoda che talvolta disorienta gli stessi fedeli. Se è vero ciò che dicono gli esperti dei sondaggi e cioè che l’astensione è il primo partito dei cattolici (52%), allora il loro ritorno alle urne potrebbe essere importante. Purché sappia riunire i sentimenti di un popolo frammentato.

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