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Quella volta che

CINECITTÀ

MAURO DELLA PORTA RAFFO E MASSIMO LODI - 05/12/2019

cinema-Caro Mauro, quella volta che…

“Caro Massimo, quella volta che Varese cominciò a proiettare una nuova immagine di sé stessa. E che immagine”.

-Nazionale?

“Internazionale. Immagine per dire schermo. Schermo per dire film. Film per dire grandi registi, meravigliosi attori, strepitosi successi Nel 1953 si cominciò a organizzare il Festival del cinema. Ideatore Manlio Raffo, direttore dell’ente provinciale per il turismo, mio padre. Un vulcano di proposte, un principe dell’organizzazione, un uomo di cultura versatile o poliedrico. Anzi, tutt’e due le cose insieme”.

-Perché Varese e il cinema?

“Perché Varese, scrollatasi di dosso le polveri del primo dopoguerra, doveva fare il salto di qualità. E perché il cinema, quello vero, assicurava attraverso fotogrammi indimenticabili una non dimenticabile fotogrande, se così posso dire, della città”.

-Immaginazione al servizio dell’immagine. Venne il meglio, tra di noi?

“Venne. Episodi da citazione: millanta. Uno per tutti: qui si vide per la prima volta “La strada” di Federico Fellini, poi premiato a Venezia e quindi con l’Oscar. Incessante la sfilata di ospiti illustri. Tipo, pescando tra le donne: Lollobrigida, Loren, Masina, Pampanini. O, tra gli uomini, l’eccezionale Ernest Borgnine, lo straordinario Pablito Calvo. A questo proposito…”.

-A questo proposito?

“C’è una foto del protagonista di ‘Marcellino pane e vino’ che lo ritrae alla stazione delle Ferrovie Nord, accolto da mio padre. Ce n’è un’altra di me che gioco con lui. Ho un archivio infinito, di quell’epoca. Contrassegnata da una curiosità, tra le tante”.

-Ovvero?

“I premiandi non alloggiavano negli alberghi, ma venivano ospitati dalle famiglie più illustri della città. Ad esempio i Cattaneo Babini, che abitavano a Villa Mylius”.

-Premiandi che diventavano premiati dove?

“Al cinema teatro Impero. Lì si svolgeva la cerimonia. In precedenza, svariate iniziative di contorno. In particolare, dibattiti d’alto livello fra i migliori critici del settore e gl’intellettuali di maggior richiamo. Che so, Guido Aristarco, esponente di punta della sinistra. O padre Luigi Rosa, gesuita di fama”.

-Poi l’altolà nel ’56. Motivo?

“I motivi. Due. Il primo: la Dc pensò che di questa manifestazione beneficiasse troppo la sinistra. Il secondo: sempre la Dc ritenne che dar troppa pubblicità a quel mondo fosse moralmente sconveniente”.

-Però Manlio Raffo si rifece subito…

“Credeva fortemente nel traino turistico dello spettacolo per un territorio. E s’inventò, con la collaborazione geniale di Eugenio Tacchini, le Noci d’oro Valceresio. Ogni anno in località diverse -Marzio piuttosto che Duno, Porto Ceresio piuttosto che Viggiù, eccetera- venivano premiati gli attori emergenti di cinema, teatro, televisione. Si succedettero nuove sfilate di personaggi famosi, dato che erano le star del momento a consegnare i riconoscimenti ai giovani. A latere, fantasiosi contorni. Ricordo un rally sulle strade provinciali con al volante delle auto i protagonisti della manifestazione. Presentata molte volte da Mike Bongiorno. Per noi Raffo era diventato uno di casa”.

-Allegria…

“Allegria sempre”.

-L’eco mediatica fu pari alle aspettative?

“Pari e forse superiore. Il Corriere della Sera dedicava ogni giorno due, tre quattro pagine all’evento, in un’epoca in cui il giornale ne contava meno di trenta”.

-Poi, anche in questo caso, giù il sipario…

“Vennero meno i finanziamenti. E infine si concluse la parabola di Manlio Raffo all’Ept”.

-Parabola leggendaria…

“È il caso di dire: da film”.

-Noci d’oro alla memoria?

“Lingotto d’oro. Lingotto. E che lingotto”.

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