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Libriamo

UN GUARITORE, TANTI MISTERI

DEDO ROSSI - 13/12/2019

ratanaUn curioso ed interessante libro di Francesco Ogliari sottolinea la figura di don Giuseppe Gervasini, prete guaritore che aveva ottenuto una enorme popolarità nei primi decenni del secolo scorso. Il libro si intitola “I rimedi del pret de Ratanà”, anno 2009, edito da Selecta. Francesco Ogliari è studioso di grande spicco nella cultura italiana: malnatese, storico presidente del Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, fondatore del Museo dei Trasporti, assessore a Varese e a Milano, candidato al premio Nobel. In questo libro indaga con rigore e insieme con curiosità la particolare figura di don Gervasini, passato alla storia con il nome di “Pret de Ratanà” (cioè prete di Retenate, suo luogo di residenza attorno a Milano).

Un gruppo di famiglie Gervasini, il cui primo ceppo si registra nel Bresciano e da lì poi nel Lecchese, si era trasferito a Varese nel Seicento, acquistando terreni agricoli tra l’attuale ippodromo e la zona di S.Ambrogio. A questo ceppo varesino appartengono numerosi Gervasini famosi in diversi campi: Pasquale Gervasini (floricoltura), Mauro Gervasini (scrittore, critico cinematografico e docente universitario), Roberto Gervasini (negli anni settanta atleta di livello europeo). A questo ultimo ceppo, alcuni ritengono possa appartenere anche don Giuseppe Gervasini, diventato famoso con il nome di “Pret de Ratanà”.

Il personaggio del “Pret de Ratanà” è sicuramente controverso e Ogliari ne mette bene in evidenza luci ed ombre: il carattere aspro e collerico, il disprezzo per le donne, i metodi di cura a dir poco non convenzionali ma anche le numerose guarigioni (alcune con metodi della tradizione erboristica, altre con metodi piuttosto strani e incomprensibili) confermate da testimonianze accertate.

Giuseppe Gervasini, nato a Robarello di Sant’Ambrogio nel 1867, si era poi trasferito a Milano dove la famiglia aveva preso in gestione una osteria. Alla morte del padre prima e della madre poi, nel 1880 Giuseppe Gervasini era entrato in collegio dai Salesiani, poi in seminario a Monza. Il primo contatto con la medicina era avvenuto negli anni di servizio militare a Caserta, dove era addetto all’Ufficio Sanità. Diventato sacerdote, Ogliari ricorda nel libro la sua prima messa proprio a S. Ambrogio.

Il primo periodo di sacerdozio dev’essere stato ben tormentato se in cinque anni egli subì sei trasferimenti, da Pogliano a Cabiate, a S.Vittore di Milano, a Dergano per poi vedersi assegnare due cappellanìe a Lesmo e infine a Retenate, a est di Milano nel comune di Vignate. Retenate è il paese in cui risiederà ma con incarichi in parrocchie diverse di Milano, sempre con contrasti e difficoltà nel trovare una sua collocazione all’interno della Chiesa Ambrosiana, imbarazzata da questo prete ”particolare”. E proprio da Retenate, come dicevamo sopra, viene il nome con cui diventerà noto: il “Pret de Ratanà”.

Qui cresce la sua fama di guaritore e, scrive Ogliari, “…la fama delle guarigioni ottenute con i suoi consigli e le sue ricette si divulga ben presto in modo che la sua casa diventa méta incessante di folle innumeri che a lui vengono da ogni parte del circondario”. E prosegue: “È certo che le mansioni assolte durante il servizio militare, sommate ai suoi personali ancorchè disordinati studi, gli avessero consentito di acquisire una solida preparazione se non medica almeno terapeutica”.

Le proteste dei medici della zona e la fama incontrollata e imbarazzante di eventi fantasiosi popolarmente definiti “miracoli” (ad esempio quello di aver “fatto fermare” un tram, per la rabbia contro il conducente che non lo aveva aspettato), aggiunte al suo carattere a dir poco spigoloso e ai suoi comportamenti non ortodossi, sono all’origini della sua temporanea sospensione a divinis da parte dell’arcivescovo cardinal Ferrari. Non si sapeva bene come “collocare” questo prete strano, di cui erano sì accertati molti risultati positivi di guarigione, ma che si temeva potesse diventare oggetto di fanatismi popolari. Dopo vari trasferimenti, finisce a Baggio in via Zoia 182, in una casa donatagli da un benefattore guarito, e qui continua la sua opera di guaritore sempre a titolo gratuito fino al 1941, anno della sua morte. La sua fama è negli anni diventata enorme e nonostante le sue stranezze e il suo carattere brusco è amatissimo, tanto che ancora oggi la sua tomba al Cimitero Monumentale di Milano è molto visitata e sempre ricoperta di fiori freschi.

Ogliari analizza con numerosi esempi i metodi e le cure di don Gervasini. “Le iniziative terapeutiche – scrive Ogliari – non si limitavano a prescrizioni di antichi rimedi naturalistici quali il “De Materia Medica” di Dioscoride”. Ma non solo: “Spesso le cure consigliate – è sempre Ogliari che scrive – consistevano in poco o per nulla ortodosse operazioni – per esempio il buttare un tizio nel fosso per fargli passare il singhiozzo – il cui scopo era creare uno shock, un’emozione improvvisa e violenta (…)”.

Sui metodi del “Pret de Ratanà” le pagine di Ogliari sono di interessante lettura: “Don Gervasini strapazzava i suoi affezionati pazienti trattandoli con insolenza e villania e somministrando loro impropéri, insulti, offese verbali ma non solo, di tutti i tipi”. E qui le interpretazioni di Ogliari sono benevole: “Visti da un punto di vista moderno gli atteggiamenti del pret rientravano in una precisa tecnica terapeutica, fondata sul tutt’altro che peregrino principio psicologico di creare nel paziente una reazione (…)”.

Sarà, ma la lettura delle testimonianze raccolte lascia qualche perplessità. “Un giorno gli si presentò un tale che aveva dolori di stomaco, come se si trattasse di un’ulcera e continui conati di vomito – riporta Ogliari – Il prete lo fece accomodare e lo obbligò a lavarsi i piedi in un catino e si ricavò un’acqua nera e densa”. Poi il pret fece uscire il paziente in giardino e lo richiamò poi per bere un decotto bollente. Terminato di bere, don Gervasini confidò che il liquido era proprio l’acqua di lavatura dei suoi piedi. E conclude Ogliari nel riportare questa testimonianza: “Per il ribrezzo il pover’uomo vomitò per mezz’ora, liberandosi a quanto pare di tutti i cattivi umori che il suo corpo aveva accumulato. E non soffrì più di disturbi di stomaco”.

C’è da restare perplessi. E le testimonianze di altri interventi terapeutici lasciano ancora più perplessi. Come quello di quella donna affetta da non so quale malanno, a cui don Gervasini fece scavare con il badile una buca nell’orto per ordinare in modo sgarbato (questo è nel testo ufficiale) “adess ti te se mettet in crosciòn sora la büsa e te la impieniset de pissa” (“ti metti a cavalcioni sulla buca e la riempi di pipì”). E passò il gonfiore e la paziente guarì. Mah. Va bene, ne prendiamo atto. Sta di fatto però che, stando alle documentate testimonianze, questi metodi pare funzionassero.

Più comprensibili per noi invece le terapie legate alle erbe. In questo campo gli studi del “pret de Ratanà” si fondano su un antico sapere contadino ed è proprio per il sapiente uso delle erbe che si diffonde la sua fama di guaritore.

Nella parte finale del suo libro, Ogliari riporta un curioso e interessante “manuale di pronto intervento” secondo il metodo del Pret de Ratanà.

Ecco qualche esempio, tanto per curiosità:

Abbassamento della voce: “Polentina di farina di semi di lino, inzuppata in abbondante aceto, da tenere sotto la pianta dei piedi fino a che non si sia raffreddata”.

Attacchi epilettici: “Mangiare un pezzo di pane di frumentone ammuffito con acqua calda”

Bronchite: “Fare un decotto con venti foglie di cavolo in mezzo litro d’acqua, bollire e verso con miele”

Mal di schiena: “Fare massaggi con sugna rancida

Sinusite: “Spianare e scaldare con un ferro da stiro caldo tre foglie verdi di cavolo e applicarle sulla fronte

Stitichezza: “Assumere quattro cucchiai al giorno di vino bianco aromatizzato lasciandovi macerare per otto giorni una manciata di foglie di basilico”

Ulcera duodenale: “Legarsi una tinca viva sullo stomaco e lasciarvela fino a che il pesce non sarà putrefatto”.

E potremmo proseguire. Ma diffidiamo chi ci legge dal provare questi rimedi, senza una accurata consulenza medica. In particolare l’ultimo rimedio, quello per l’ulcera, non ci sentiamo proprio di consigliarlo.

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