Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Attualità

VALORI

EDOARDO ZIN - 20/12/2019

presepe“E Natale è ritornato…”. C’è aria di Natale. L’inverno continua rigido o con giorni di neve o con giornate in cui l’alba indora i monti, e promette buon tempo, o con la pioggia uggiosa.

Sentiamo tutti il cuore immergersi nel Mistero di una luce che porta in sé una ragione, un baluginare per non essere costretti a disperare.

Vi è un ricordo ben impresso nella mia memoria: il giorno della Vigilia di Natale, mia mamma estraeva da un armadio una grossa scatola verde smeraldo e assieme allestivamo il presepio. In quel presepe bambinesco contemplavo le stelle tremolanti, la luna lenta a tramontare, le montagne fatte con pezzi di tronco, il muschio odorante ancora di fresco, le stradine con il ghiaino e la farina bianca che innevava le cime. E poi c’era tutto un popolo che dominava la scena: i pastori accampati in aperta campagna che vegliavano le pecore, quelli che si avviavano, con la gioia che mette ali ai piedi, verso la capanna portando i loro doni: latte, formaggio. E c’erano gli artigiani con gli utensili del loro lavoro. E le donne: chi con panni, chi con fastelli di legna, chi con brocche d’acqua. Sì, ammiravamo il Bambino nella stalla che dormiva splendente con i pugnetti chiusi tra il bue inginocchiato e l’asino che alitava il legno della greppia e spandeva il profumo del fieno. Sì, ci colpivano la Madre col suo sorriso vivente e San Giuseppe con la barba tutta bruciacchiata da una candela negli anni precedenti, ma non riuscivamo a comprendere che la stalla era il luogo della presenza di Dio fattosi uomo e che il mondo circostante era il luogo simbolo di Gesù che entra nella storia: quella ordinaria della famiglia e quella fragile di chi ha bisogno di aiuto: la comunità dei poveri, dei senza lavoro, degli esclusi.

La gioia esaltante del bambino che sono stato io, si è col tempo smorzata. Poi è ripresa con la nascita dei figli e dei nipoti e con essa la contentezza attenuatasi, ma non spentasi nel gelo del disamore. Era un presepio che “suscita[va] sempre stupore e meraviglia” e che richiama[va] “un esercizio di fantasia collettiva che impegna[va] i materiali più disparati per dare vita a piccoli capolavori di bellezza”: così papa Francesco nella sua recente lettera.

Negli ultimi anni, il mio presepio è più essenziale: sulla vecchia cassapanca, collochiamo la capanna intagliata da un artigiano delle Dolomiti, all’interno la mangiatoia (per il momento senza il Bambino che sarà posto, dopo la Messa della notte, dal più giovane dei miei nipoti!), la Vergine, Giuseppe, l’asino e il bue, l’Angelo, un pastore. Più tardi i re magi. Ma non mancano i piccoli animaletti di legno: i coniglietti, gli scoiattoli, le lepri, una volpe e alcune rocce: rappresentano tutto il cosmo che si rinnova per accogliere il Re del creato.

Il presepio ci ricorda le radici cristiane della nostra cultura. È lì, in una mangiatoia, che nasce Colui che invocherà dal Padre e predicherà l’amore universale, da cui deriva la libertà, l’uguaglianza di tutte le persone, la fratellanza. Si fa presto a dire che questi valori sono stati proclamati dall’illuminismo e fatti propri dalla rivoluzione francese, ma essi sono germogliati nel terreno fertile di Betlemme. Questi valori non possono diventare motivi di divisione o, peggio ancora, il presepio non può essere ostentato o rivendicato semplicemente come valore culturale da coloro che lo vedono come una pratica, piuttosto che come un’espressione di fede, e contemporaneamente disprezzano gli “scartati”: i pastori che vegliavano ed erano vigili, i derelitti di tutti i tempi, la povera gente. Sono costoro che invitano a metterci in cammino verso quel Dio che potevano capire e amare perché era entrato nel loro mondo.

Nel cuore del presepe c’è una famiglia: Giuseppe, che gli evangelisti ci descrivono taciturno, si pone domande alle quali non sa dare risposte e nel contempo si dimostra ostinato a compiere la volontà di Dio; c’è Maria, inginocchiata e orante, fresca di parto, che “avvolge in fasce il suo bambino” e ci fa capire con quale speranza, con quale gioia, con quale disponibilità abbia atteso il parto; e c’è lui, il Dio fattosi carne, un uomo, non un’astrazione teologica, con la sua eccezionale umanità che manifesta la pienezza della sua divinità. Quando contemplo il Bambino mi sovvengono le parole di Dietrich Bonhoeffer: “Essere cristiano non significa essere religioso in un determinato modo…Cristo crea in noi non un tipo d’uomo, ma un uomo”. Il Natale diventa, quindi, un cammino d’umanizzazione. Lo ripete papa Francesco nella sua lettera firmata a Greccio: “Il presepe racconta l’amore di Dio, il Dio che si è fatto bambino per dirci quanto è vicino ad ogni essere umano, in qualunque condizione si trovi…Il presepe fa parte del dolce ed esigente processo di trasmissione delle fede. A partire dall’infanzia e poi in ogni età della vita, ci educa a contemplare Gesù, a sentire l’amore di Dio per noi, a sentire e a credere che Dio è con noi e noi siamo con Lui, tutti figli e fratelli grazie a quel Bambino, figlio di Dio e della Vergine Maria”.

La stalla di Betlemme diventa luogo della presenza non solo di Dio, ma di tutti gli uomini, “con il bandolo della loro esistenza redenta, la festa da vivere, il gusto della sobrietà, il sapore delle cose semplici, la gioia del dialogo, il piacere della collaborazione, la voglia dell’impegno storico, la tenerezza della preghiera”.

E assieme all’umanità di Gesù non possiamo dimenticare la sua trascendenza che nessuno può provare se non mettendosi in relazione con chi gli sta attorno perché nessun individuo può viverla senza conquistarla in mezzo agli altri e possedere una sua scintilla dentro di lui. E anche il non credente deve almeno ricercare qualcosa che gli sta sopra, che lo supera se non vuole rischiare di privarsi dell’amore indispensabile per dare un senso alla sua vita.

Davanti al presepio vorremmo che il Natale cessasse di essere la fiera dei mondani arrivismi e diventasse l’adorazione umile della povertà di Dio che si fa uomo.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login