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Parole

TOLO NORD, TOLO SUD

MARGHERITA GIROMINI - 17/01/2020

tolotoloAnche stavolta Checco Zalone, all’anagrafe Luca Medici, ha azzeccato il film in cui esordisce come regista.

Con l’aiuto degli immancabili detrattori (è razzista, no, non lo è, forse è sovranista o forse no), il suo “Tolo tolo”, storpiatura delle parole “Solo, solo”, film, incassa cifre record sin dal primo giorno.

Le parole “Tolo tolo”, spiega Zalone in un’intervista, riguardano un bambino che non dovrebbe mai andare in giro per il mondo “solo solo”!

Nel film si narra di un italiano fuggito in Africa, inseguito dai debiti contatti al paesello dove ha fatto, tra l’altro, gli investimenti che lo hanno ridotto sul lastrico.

Nel resort del paese esotico si è inventato cameriere ma scoppia la guerra civile e lui tenta di rientrare in patria, unico bianco tra profughi che fuggono dagli orrori del terrorismo e della guerra alla ricerca di un futuro migliore in Europa.

Tra i suoi compagni di viaggio ci sono anche una bella donna e il piccolo Doudou, bambino che ha lo stesso nome del cane di Berlusconi.

Il film si maschera da commedia ma in realtà vuole raggiungere un obiettivo ben più importante: far riflettere lo spettatore su razzismo, ipocrisia, fascismo, falsità e mancata accoglienza, tematiche che attraversano l’intera storia.

Il protagonista è Zalone: uomo immaturo, egocentrico, incapace di capire il mondo circostante. Superficiale, sbruffone, narciso preoccupato di avere la crema – viso di qualità e di vestire abiti firmati mentre scappa dalle ex mogli, famiglia e collaboratori.

Checco è l’italiano “meravigliosamente mediocre”, ci spiega il critico cinematografico Mereghetti. Pieno di difetti ma simpatico, spavaldo e incosciente mentre intorno a lui succede il finimondo con esplosioni di bombe, rappresaglie e tradimenti.

Tolo Tolo mette in scena il doppio viaggio del Checco truffaldino e “politicamente scorretto”: un viaggio materiale, dall’Africa all’Europa, e uno interiore che da uomo inaffidabile lo aiuta a essere una persona più disponibile umanamente.

La chiave di volta è l’amore, come in ogni fiaba che si rispetti: Checco si infatua della bella migrante e si affeziona al suo bambino. Impara a comportarsi da padre preoccupato della sorte del figlio che porterà in salvo prima di tornare a sognare ad occhi aperti.

Nel film di Zalone trovo più di una morale: che non si può scappare per sempre dai problemi, per esempio; che si può migliorare, che la vita può essere bella.

Un cenno alle polemiche che hanno preceduto il film: la colpa è principalmente della canzone irriverente presente nel trailer e della raffica di stereotipi sugli stranieri infilati nel film.

Nelle due ore di film si ride davvero per le gag e le trovate originali.

Intanto lo spettatore partecipa a un viaggio che lo porta a misurarsi con problemi su cui tanti preferirebbero chiudere gli occhi.

La giornalista Natalia Aspesi pubblica su Repubblica una sorta di lettera al “Gentile signor Checco (Zalone)”. Secondo lei il regista/ attore “ha il dono democratico di far sorridere e di farci capire il film, a dispetto di coloro che ne avrebbero voluto fare un uso politico”.

Possiamo azzardare? Meno male che Checco c’è.

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