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Politica

REGIONALI/2 CHI LIBERA CHI

MANIGLIO BOTTI - 24/01/2020

elezioniPresto, tra qualche ora, espletati i riti di voto e di scrutinio, si conosceranno i nomi dei due nuovi presidenti delle giunte regionali di Calabria e Emilia-Romagna o, come pare secondo un’accezione che però non trova riscontro nei nostri ordinamenti, dei due nuovi “governatori” di quelle stesse regioni.

Non dovrebbe essere così ma questo risultato elettorale – specialmente quello riguardante la regione Emilia-Romagna – è divenuto strada facendo, nelle ultime settimane, il padre e la madre di tutti i risultati elettorali possibili con conseguenze inevitabili o presunte tali per quanto riguarda la permanenza a Palazzo Chigi del “famoso” Conte II, il governo giallorosso insediatosi nel settembre dello scorso anno, dopo l’autoeliminazione, determinata dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, dell’altrettanto famoso Conte I, o governo gialloverde: di Lega e Movimento Cinque Stelle.

Se, dunque, in Emilia-Romagna prevarranno le liste sostenute dal leader leghista Salvini – che candida nella regione una quasi ignota e assente Lucia Borgonzoni – anche il governo romano, più o meno obtorto collo dovrà subirne le conseguenze, aprendo le porte a una nuova tornata elettorale e a un probabile governo di centrodestra (Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia), di cui Matteo Salvini sarà magna pars.

Com’è noto non è stato possibile, secondo norma, in queste ultime settimane che hanno preceduto il voto, fare ricorso ai sondaggi: si parlava fino a pochi giorni fa di un testa a testa tra il candidato delle liste progressiste Stefano Bonaccini (Pd, Civiche e quant’altro) e la candidata leghista Borgonzoni. Il che, tenendo come riferimento le elezioni Europee del maggio 2019, quando la Lega sopravanzò di gran lunga ogni altra compagine politica, rappresenterebbe quasi un’anomalia, oltre a un fortissimo recupero del centrosinistra. Le ragioni di una controffensiva di tale portata – Bonaccini addirittura veniva indicato di un punto sopra la Borgonzoni – sono diverse, e la prima è determinata da un’innegabile, sembra anche a detta di molti leghisti, preparazione e efficienza del candidato uscente.

Viene però da chiedersi, allora, anche il perché in un confronto in cui preparazione e risultati acquisiti superano concretamente sul campo aleatorie e vaghe e inconsistenti promesse vengano messi in discussione. La risposta non può che essere una sola: una richiesta di cambiamento, non importa se magari anche in peggio… Da tempo immemorabile la regione Emilia-Romagna è considerata una “regione rossa” (nonostante negli ultimi anni molti e anche importanti Comuni abbiano passato di gestione, e non dimenticando nemmeno la parentesi bolognese di Guazzaloca di una quindicina di anni fa). Quest’aura di un centrosinistra “primo della classe” (con il conseguente seguito di clientele) ha creato evidentemente qualche problema.

Cambiamento, liberazione addirittura sono state alcune delle parole usate dal leader leghista Matteo Salvini per propagandare la sua battaglia e la sua eventuale conquista emiliano-romagnola, almeno fino a quando – proprio in Emilia-Romagna – non ha fatto apparizione il quieto movimento generalista delle giovani Sardine, che ha sorpreso Salvini e probabilmente anche lo stesso centrosinistra: come a dire, le Sardine non abboccano agli ami tesi della Lega.

Ma la Lega è davvero una novità? Lo sarebbe senza dubbio in una guida dell’Emilia-Romagna, regione rossa per antica tradizione, non lo sarebbe a livello nazionale, dove ha governato per una buona metà degli ultimi venti, venticinque anni con o senza apporti della destra berlusconiana. I risultati non sono stati esaltanti – nemmeno ci sono stati risultati –, checché se ne dica nei bar. Ecco perché si fanno fatica a capire certe traslazioni.

Ma il nostro, si sa, è un Paese strano. Un Paese il cui governo è difficile e forse, come sostenne qualcuno, anche inutile.

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