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Società

NUMERI, SOLO NUMERI

FABRIZIO MARONI - 24/01/2020

I resti dell’aereo ucraino abbattuto per errore in Iran

I resti dell’aereo ucraino abbattuto per errore in Iran

Dove vanno a finire i morti uccisi per sbaglio?

Se un Dante contemporaneo scrivesse una Commedia 2.0, sarebbe bello leggere di un limbo in cui trovare le anime di tutti quelli che sono stati uccisi per errore; attenderebbero di riprendersi la terra, o forse di vendicarsi. Un esercito sterminato contro un manipolo di pochi uomini.

Morire uccisi per sbaglio è la più assurda e desolante delle morti violente: il sacrificio di vite umane non è progettato, non è utile nemmeno al carnefice. È un errore. Una bomba caduta un po’ più in là, uno scambio di persona, un missile contro l’obiettivo sbagliato. Le 176 persone uccise a bordo del Boeing 737 della Ukraine Airlines si aggiungono a una lista infinita di nomi sconosciuti; così come le 298 vittime del Malaysia Airlines 17 che nel luglio 2014 venne abbattuto da un missile mentre sorvolava l’Ucraina, verso la Malesia.

Sono le vittime civili. Ogni conflitto porta con sé un fardello di persone già dimenticate, o destinate a esserlo. Non può essere altrimenti: possiamo sforzarci di immaginare il dolore di chi d’improvviso si è ritrovato senza madre, marito, amico; e persino fingerci a bordo di quel Boeing 737. Ciascun passeggero aveva una sua storia, ininfluente, virtuosa o riprovevole, triste o felice. Ma i nomi di chi è morto ci appaiono vuoti e facilmente li scordiamo. I libri di storia non possono scriverli tutti, non ci sarebbe più spazio per il resto: per capire, per i fatti, per segnare quei pochi nomi, gli unici che rimangono, di chi la storia l’ha fatta davvero.

Di quelle vittime, invece, rimarranno solo i numeri, come in questo articolo; saranno sempre ricordate in un unico blocco: le 176 dell’Ukraine Airlines, le 298 del Malaysia Airlines 17, i 184 della strage di Gorla. Vittime ignare della politica internazionale, della sbadataggine di un criminale, della distrazione di un militare, di decisioni prese a centinaia di chilometri di distanza, dove non arrivano i boati delle bombe.

La colpa del disastro aereo è attribuibile all’omuncolo che in qualche stanzino della base di Teheran ha fisicamente premuto il bottone che ha attivato i missili? Sì, ma capita; a tanti è capitato in passato e continuerà a capitare fino a quando ci saranno le condizioni perché accada. C’est la guerre. È facile dire “deve finire”, ben più difficile è anche solo pensare un mondo in cui non ci sia.

Può suonare banale, ma è vero che per chi sta nelle stanze dei bottoni la guerra appare come un videogioco. I personaggi che muoiono nei videogames scompaiono, non si sa dove vadano a finire e nemmeno importa, perché non esistono veramente. Così è per le vittime civili dei conflitti: non esistono veramente, se non per i figli, le mogli, gli amici.

La storia non se ne ricorderà, è inevitabile; ma concediamo loro almeno la dignità di una menzione.

«E dei caduti che facciamo? Perché sono morti?», scriveva Pavese. «Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero».

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