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Parole

RIDERE SUL NAZISMO

MARGHERITA GIROMINI - 24/01/2020

jojoSe esistono modalità innovative per raccontare gli eventi legati al nazismo e alla Shoah con un film, queste possono arrivarci solo da lontano. Da oltreoceano, addirittura dall’altro emisfero del mondo, dalla Nuova Zelanda.

Abituata alle narrazioni costruite in Occidente, prevalentemente basate su strutture classiche, sono rimasta colpita dalla regia del neozelandese Taika Waititi, figlio di madre ebrea e di padre maori.

Waititi è un regista ben inserito nel mondo del cinema. Con il film “JoJo Rabbit” si è avventurato nel territorio inesplorato, o quasi, dell’ironia sulla figura di Hitler e sull’antisemitismo.

Solo Charlie Chaplin aveva osato giocare sull’aperta irrisione di Hitler, raffigurato come un ridicolo omino dai baffetti a spazzola. Ma a farlo era, non dimentichiamolo, l’inarrivabile Charlot de “Il grande dittatore”.

C’è spazio dunque per uno sguardo diverso: come quello di “JoJo Rabbit”, presentato in una multisala affollata di ragazzi e ragazzini che, non ho dubbi, sono stati convinti dai professori a spendere un pomeriggio di sabato a documentarsi con un film in prossimità della Giornata della Memoria.

Il film avrebbe dovuto far ridere di più secondo le recensioni, ma nella sala dove ho assistito alla proiezione, io ho udito ben poche risate.

L’orrore della Shoah, comunque la si racconti, anche con l’arma del ridicolo, finisce sempre per metterci davanti le ineludibili conseguenze del male

Germania nazista, anno 1943. JoJo Betzler, è un bambino tedesco di dieci anni a cui viene affibbiato il nomignolo di Rabbit, “coniglio”.

È membro entusiasta della gioventù hitleriana, fanatico di divise, svastiche, magliette della gioventù hitleriana, anche se la sua passione appare da subito più simile al tifo sportivo, dove prevale l’orgoglio per l’appartenenza al gruppo.

Al campo di addestramento consegue risultati così disastrosi che il suo rito di iniziazione va a pallino. Qui si guadagna l’appellativo di “coniglio”.

Gli addestratori in divisa nazi sono comiche macchiette, al limite del tragicomico, sia quando declamano “Heil Hitler” sia quando descrivono le fattezze dell’ebreo, il nemico da sterminare.

Bambino esaltato, tollerato ma non condiviso dalla giovane madre di cui si scoprirà l’impegno nella resistenza, ha una particolare allucinazione: vede e parla con un Hitler immaginario che appare nei momenti più impensati e gli dispensa perentori ordini.

Però questo Hitler, baffetti compatti e ciuffo nero scomposto, ha però la faccia paffuta e simpatica del regista stesso, Waititi.

Anche JoJo è un nazista per sbaglio: un diverso, come una “diversa” è la ragazza ebrea, novella Anna Frank, che sua madre nasconde in soffitta.

Si chiama Elsa e non possiede nessuno dei tratti mostruosi attribuiti dai nazisti agli ebrei.

Sveglia e intuitiva, sentenzia: “Tu non sei nazista, sei solo un bambino di dieci anni che ha bisogno di sentirsi parte di un club”.

I due, JoJo ed Elsa, si salveranno dalla tragedia dopo aver vagato tra le macerie fumanti di una Berlino spettrale.

Il film di Taika Waititi va letto come un romanzo di formazione, una favola nera che da una parte sbeffeggia i supereroi nazisti e dall’altra apre gli occhi all’ingenuo JoJo che perderà la sua innocenza riconoscendo gli orrori del nazismo e della guerra.

Un film ben lontano da “La vita è bella” di Benigni.

Siamo piuttosto di fronte, lo dice Mel Brooks, a “una gioiosa commedia nazista”.

Adatta soprattutto ai bambini e ai ragazzi, il film ha collezionato un numero impressionante di riconoscimenti: il Premio del pubblico al Festival di Toronto e sei nomination agli Oscar, tra cui miglior film e miglior attrice non protagonista.

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