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Politica

L’EGO DELLA BILANCIA

SERGIO REDAELLI - 31/01/2020

Le degustazioni romagnole di Salvini dal sito del Corriere della Sera

Le degustazioni romagnole di Salvini dal sito del Corriere della Sera

Che Matteo Salvini sia telegenico, che parli la stessa lingua dell’uomo della strada, che sia capace di dare voce alle paure della gente, che sappia passare con nonchalance dalle analisi politiche alla degustazione della coppa e del parmigiano-reggiano (“Senti che roba, senti che aroma! Qui avverti anche il profumo del lavoro, del sacrificio”) è fuori discussione. Qualcosa del genere accadeva a Mussolini, immortalato a torace nudo mentre trebbiava il grano a Sabaudia nel 1935. Che anche la sua vita privata, gli amori e gli hobbies appassionino i media e diventino subito di pubblico interesse e virali, come si dice oggi, è altrettanto vero.

Ma in Emilia-Romagna il culto della personalità evoca ricordi dolorosi. Va bene la simpatia e la giovanile energia con cui Matteo affronta km su km in campagna elettorale, la pazienza con cui si sottopone al rito acchiappavoti dei selfie, la disinvoltura con cui porta le sue idee in spiaggia e in discoteca. Ma quando si parla di democrazia i cittadini si fermano a riflettere. Soprattutto se arrivano segnali che, anziché tranquillizzare, inquietano. Non ha giovato al leader della Lega citofonare a una famiglia tunisina chiedendo se in casa qualcuno spaccia (Facebook ha rimosso il video perché non rispetta gli standard), portare una bimba sul palco di Pontida lasciando credere che fosse di Bibbiano e ironizzare su una “sardina” con problemi di pronuncia.

Non gli è stato utile parlare a braccio dai balconi strizzando l’occhio alla estrema destra, baciare platealmente il crocifisso affidandosi alla benevolenza della Madonna e degli elettori cattolici. E non gli porta bene cedere all’irrefrenabile impulso dell’One Man Show, fare tutto da solo, chiedere “ampi poteri” agli italiani e oscurare la candidata-fantasma Borgonzoni personalizzando lo scontro come fosse un referendum sulla sua persona. È un’esasperata tendenza all’egocentrismo che è già costata cara in passato al Matteo fiorentino. Salvini è inciampato anche nel convegno organizzato dalla Lega a Roma contro le nuove forme di antisemitismo.

Non che in Italia non ci sia un rigurgito antisemita e razzista, anzi, è un dato di fatto. Ma non basta organizzare un convegno all’ultimo momento alla vigilia del 75° anniversario della liberazione dei campi di sterminio di Auschwitz-Birkenau, per convincere della propria buona fede chi non gli riconosce il titolo di difensore di quei valori. La scritta antisemita Juden Hier (come i nazisti usavano segnalare le abitazioni degli ebrei), lasciata a Mondovì sull’uscio di casa di Aldo Rolfi, figlio di Lidia, partigiana deportata a Ravensbruck nel 1944, non può che indignare tutti coloro che conoscono la Storia e sanno cosa è stato l’Olocausto.

Il sindaco di Milano Giuseppe Sala ha risposto per tutti affiggendo un cartello alla porta di casa con la scritta Antifa Hier, qui abita un antifascista. Sempre a Milano il Museo della Shoah in occasione della Giornata della Memoria ha organizzato un open-day e l’Archivio Storico ha esposto alle Gallerie d’Italia i documenti del fondo Egeli sui beni confiscati arbitrariamente ai cittadini ebrei nell’Italia settentrionale ai tempi delle leggi razziali. Un penoso capitolo di prevaricazione. “La memoria è il vaccino contro l’indifferenza”, ripete spesso Liliana Segre, superstite di Auschwitz e senatrice a vita “per altissimi meriti nel campo sociale”.

La Segre è stata al centro delle cronache per il rifiuto di alcuni sindaci di conferirle la cittadinanza onoraria. Una decisione della quale uno di essi, il primo cittadino di Biella, si è poi pubblicamente scusato. La senatrice, invitata al convegno di Salvini, ha declinato l’offerta spiegando che “non si può separare la lotta all’antisemitismo dalla ripulsa del razzismo e del pregiudizio che cataloga le persone in base alle origini, alle caratteristiche fisiche, sessuali, culturali e religiose”. In passato il leader della Lega ha avuto un problema. Nel 2013 fu colpito da un decreto di condanna per violazione della legge Mancino che punisce chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico.

Sotto accusa un coro da stadio intonato a Pontida: “Senti che puzza, scappano anche i cani – cantava Salvini – stanno arrivando i napoletani, son colerosi e terremotati, con il sapone non si sono mai lavati”. Fu un errore di gioventù, oggi non pronuncerebbe quelle parole. Nel 2009 non aveva ancora abbracciato la strategia nazionalpopolare che sconfessa la parola d’ordine – secessione – del fondatore della Lega Umberto Bossi. E in Calabria la Destra ha raccolto una larga messe di voti. Intanto però la magistratura indaga su Gianluca Savoini, il giornalista di simpatie naziste, ex portavoce e presidente dell’associazione Lombardia-Russia coinvolto nell’inchiesta di Moscopoli.

Secondo le ipotesi di accusa, Savoini avrebbe avuto un ruolo nella trattativa svoltasi all’Hotel Metropol di Mosca per la presunta compravendita di petrolio – un affare da milioni di dollari – che avrebbe dovuto servire in parte a finanziare la campagna della Lega alle Europee 2019. L’inchiesta è in corso. Un paio di settimane fa i pm milanesi hanno sentito come testimone la giornalista della Tass Irina Aleksandrova che avrebbe organizzato l’incontro al Metropole il 18 ottobre 2018. Un’ipotesi da dimostrare, ma sufficiente per mettere sul chi va là l’elettore benpensante che, su certi argomenti, vuole vederci chiaro.

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