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Cultura

CAVEAU D’ARTE

LUISA NEGRI - 31/01/2020

 

Ci sono anche due sale dedicate ad artisti di casa nostra, come Enrico Baj e Renato Guttuso, nella mostra “Capolavori di carta. I grandi maestri del Novecento” curata da Odette d’Albo e allestita da Credem in occasione dell’ inaugurazione della nuova sede di Via Bernardino Luini, al 10.

Si tratta di una ventina di grafiche di grande formato, ora in mostra a Varese (fino al 9 febbraio) nella villa un tempo appartenuta a Paolo Grassi, detto Nani. Industriale di legname attivo tra Italia e Slovenia, abitava la ricca dimora che, a restauro compiuto per opera di Credem, si rivela ora in tutta la sua bellezza.

La banca emiliana, nata nel 1910, 500 filiali in Italia e più di un milione di clienti, presente in Varese da ormai vent’anni, vanta una consolidata passione per il collezionismo.

La storica sede di Reggio Emilia accoglie infatti nella sontuosa dimora di palazzo Spalletti Trivelli, già proprietà dei conti Guicciardi, produttori di sete e ambasciatori dei duchi d’Este, ben 750 opere di arte antica e moderna. Si tratta di un patrimonio storico-artistico di alto valore culturale del quale Credem fa giustamente vanto, custodito in un edificio sorto a sua volta su di un antico sito, il Forum dell’antica Regium Lepidi, di cui sono in vista nel piano interrato gli antichi ruderi.

La mostra varesina rientra dunque nel progetto Spazio Credem del 2016 -come sottolineato da Stefano Mansueto, responsabile della filiale di via Luini- che si pone l’obiettivo di valorizzare e tutelare i beni artistici, storici e architettonici del Gruppo.

La si può visitare in orario di lavoro per accostarsi, tra sala e sala, a importanti opere di grandi dimensioni di protagonisti del Novecento. Come i due Tadini che accompagnano i visitatori lungo le scale dal piano terra ai piani superiori dell’edificio: opere imponenti, che richiamano a particolari colori, temi (come la luna, la migrazione) e maestri noti all’artista per militanze e frequentazioni amicali (Picasso, Mirò, Kandinsky).

Piace ritrovare, nelle sale, lavori di Guttuso rievocativi di mostre varesine recenti e passate: quella appena conclusa, inaugurata nel 2019 a Villa Mirabello, curata da Serena Contini, dedicata a opere provenienti dalla collezione Pellin, ma anche la precedente, curata in anni piu lontani da Silvano Colombo e Giovanni Testori. Dove facevano bella mostra di sé i suoi solari limoni, tema preferito dal pittore di Bagheria. Ne adornò persino le pareti domestiche della casa di Marta Marzotto, la musa ispiratrice, che troviamo ritratta qui in un altro lavoro della collezione Credem. Una terza opera guttusiana “Studio” è significativamente proposta: rievocativa di temi e cromatismi cari al maestro che proprio a Varese lavorava nelle pause estive, a Villa Dotti, dimora di campagna della moglie Mimise. Si trattava del suo terzo studio, dopo quello di Bagheria, città natale, e l’altro romano di Palazzo del Grillo.

Racconta l’ormai consolidata biografia dell’artista che la silenziosa villa di Velate divenne per Renato un luogo dell’anima, tanto da spingerlo a dire che mai aveva dipinto felice come a Varese. E si riferiva anche alla pittura acrilica del grande affresco donato a Varese per la terza cappella della via sacromontina dedicata ai misteri del Rosario mariano, commissionatogli da monsignor Macchi, segretario di Papa Montini ma anche collezionista amante dell’arte e del suo eterno messaggio di bellezza.

L’ opera della “ Fuga in Egitto” valse a Guttuso la cittadinanza onoraria e l’ affetto perpetuo dei varesini.

Da segnalare la presenza dell’importante opera “Malinconia” di De Chirico”, realizzata nel 1972 per una mostra a New York.

Ma piace anche la bella sala dedicata a Schifano, nelle opere che raccontano la sua passione per la Pop art e per la scuola della Factory di Warhol, per le sbavature e gli schizzi alla Pollock e anche l’armonia pittorica della grande opera del “Verde Fisico”. Un verde smagliante e felice, tanto prezioso in un certo periodo della sua non facile -non solo per motivi professionali- parabola d’ artista.

L’attenta ricerca di Odette D’Albo, curatrice delle collezioni d’arte Credem, ha provveduto alla scelta di ancora tre opere di un altro artista prediletto a Varese: Enrico Baj. Milanese di nascita era approdato in una villa di Vergiate, anche qui un’antica dimora- abbandonata e poi recuperata con amore- che aveva incantato a prima vista Enrico e la sua giovane moglie, Roberta Cerini.

Ci mise studio e famiglia. Sarebbe felice oggi Baj di ritrovarsi a Villa Grassi, nella bella sala restaurata al piano terra, dove ardeva un tempo, e ancora c’è, un camino, dalla cornice marmorea decorata di piccole sculture simboleggianti la caccia. E con il suo lavoro “Top secret” accanto a una grande opera “Incontri ravvicinati”, tipica della sua fantasia narrativa: sempre popolata di personaggi strambi, un po’ mostri e un po’ cavalieri, a volte persino ruggenti generali, intagliati nel cartone o nella stoffa, decorati di metalli e lustrini, di passamanerie o bottoni e tanto altro.

Colpisce invece il visitatore la particolarità del terzo lavoro di Baj, “Madre e figlia”, un collage di tessuti, di rara dolcezza, intimo e probabilmente rievocativo di qualche momento di tenerezza domestica.

Sempre al piano terreno le “Damine”, nitide opere di Bueno, il famoso artista ispiratore dell’opera di Botero, arricchiscono le pareti della splendida, chiara cappella recuperata all’ interno della Villa, ornata da pavimenti in mosaico.

Al fondo della stessa é accolta su cavalletto una rara opera di Warhol, raccontata dalla bellezza di un misterioso viso femminile, parte di un noto ciclo “Ladies and Gentlemen” ispirato a Warhol da ragazze di vita.

Mimmo Rotella, con le sue opere di collage e strappi, fa buona compagnia a Warhol in un’altra sala. La sua Donna Jordan, famosa manniquin detta “Disco Marilyn”, è icona per la mostra varesina: la si ammira in un collage, su tessuto, di raffinata bellezza.

A scaldare il cuore è infine la gouache gioiosa di Alexander Calder “Il sole”. La ricordiamo per ultima, come segno beneaugurante. Siamo nel 1970 e le antiche simbologie ricordate dall’opera appaiono, agli estimatori dell’artista, pronostico di un radioso futuro.

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