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Società

VIOLINI

GIOIA GENTILE - 14/02/2020

violinoNei giorni scorsi sono stata conquistata da due storie che apparentemente non hanno niente in comune tranne il fatto che ambedue si sviluppano attorno alla bellezza. E ad uno strumento musicale che ha tutte le carte in regola per rappresentarla: il violino.

La prima l’ho ascoltata durante la trasmissione di RAI 3 “Le parole della settimana”, puntata del 25 gennaio. Seduto di fronte a Massimo Gramellini c’è un giovane di circa trent’anni. Si chiama Leonardo – un nome un destino? – e tiene tra le mani un violino completamente decorato. Ha tre passioni: il violino, il disegno e La Divina Commedia. Lavora a Londra come grafico, un lavoro che gli piace ma non gli basta. Così decide di mettere assieme tutte e tre le sue passioni e comincia ad illustrare La Divina Commedia sui violini, ogni violino un canto. Alla fine saranno 99 i violini, più un violoncello per il canto introduttivo. Saranno suonati nel mondo e porteranno ovunque la cultura italiana: nessuno può farlo meglio di Dante. È questo il suo sogno, ci spiega, con un pudore che tuttavia lascia trapelare il suo grande entusiasmo. Ma come? – mi chiedo stupita e commossa – È un giovane di talento che ha trovato lavoro all’estero e invece di lamentarsi per i difetti del nostro Paese – abitudine che a me pare diventata lo sport nazionale -, vuole diffonderne la bellezza e la creatività? Gramellini, alla fine dell’intervista, si dichiara orgoglioso di essere un suo connazionale. Ecco, anch’io. Credo che siano le persone come lui a fare onore all’Italia e a smentire il luogo comune secondo cui i giovani sarebbero tutti bamboccioni.

L’altra è una storia triste che, tuttavia, lascia spazio alla speranza e, come per un disegno imperscrutabile del destino, si dipana lungo più di ottant’anni. Protagonista, anche in questo caso, un violino, un Collin-Mézin che a volte suona ancora nel campo di sterminio di Birkenau. Apparteneva a Eva Maria Levy, una bambina ebrea torinese che aveva 9 anni appena quando lo ricevette in regalo dal padre, nel 1930. Fu amore a prima vista, gli esercizi con il fratello Enzo una gioia. Nel ’38, con le leggi razziali, la vita di Eva Maria cambia radicalmente. Nel ’43, mentre con il fratello cerca di fuggire in Svizzera, viene arrestata a Varese e deportata a Birkenau. Enzo finisce a Monowitz. Però Eva Maria riesce a portare con sé il violino e ciò le consente di sopravvivere, sia perché viene inserita nell’orchestra che diletta i carcerieri, sia, soprattutto, perché suonando dimentica dove si trova e può ancora credere che esista una dimensione umana. Un giorno il fratello riesce a farle avere un biglietto su cui ha scritto una breve melodia e la frase “la musica rende liberi” – che fa da controcanto a quell’”Arbeit macht frei” che campeggia sul cancello di Auschwitz – ed Eva Maria lo incolla all’interno della cassa del violino, sul retro del quale è incisa la stella di Davide. Ad un certo punto, però, il violino si rompe e lei viene rimandata tra le detenute comuni. Muore nel 1944, senza più la consolazione della sua musica.

Se finisse qui, questa sarebbe davvero solo una storia triste. Invece nel 2014 il violino riappare: un collezionista di strumenti musicali lo scopre nel negozio di un antiquario. La stella di Davide, incisa sul retro, lo incuriosisce; all’interno della cassa è ancora nascosto il biglietto con il rigo musicale e quella speranza di libertà affidata alla musica. Così la storia di Eva Maria e del suo strumento viene ricostruita e Anna Lavatelli la racconta nel libro per bambini Il violino di Auschwitz, affinché anche i più piccoli capiscano che la passione per il bello, per la vita, può vincere sull’orrore.

Io non so se la bellezza salverà il mondo, ma me lo fa sperare il fatto che le note di quel violino risuonino ancora in un luogo come Birkenau e che cento altri violini canteranno nel mondo la Commedia di Dante e il sogno del giovane Leonardo.

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