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Apologie Paradossali

L’IMPEGNO

COSTANTE PORTATADINO - 21/02/2020

Lorenzo Seminatore

Lorenzo Seminatore

L’apologia di settimana scorsa ci ha fatto toccare un tema, il nichilismo, che mi ha molto inquietato, sia perché, pensandoci, mi è sembrato un pericolo molto diffuso nella nostra società europea, sia perché non mi sembra che ne abbiamo dato una soluzione soddisfacente.
(C) Ne sono consapevole, ma le Apologie Paradossali non vogliono mai fornire soluzioni già pronte (non ne sarei capace), ma spingere a riflessioni personali e a confronti con voci autorevoli; anche il suggerimento positivo non pretende di essere definitivo. Accetto di tornare sull’argomento, proprio a partire dal titolo dato dal Direttore al pezzo della scorsa settimana: “Debolezza”. Pochi giorni dopo, ecco un caso da prendere in considerazione: la morte per anoressia di Lorenzo Seminatore. Colpisce il fatto che si tratti di un maschio maggiorenne, che ha esercitato il diritto di rifiutare le cure che gli venivano offerte dal ‘Sistema Sanitario’ (non importa se pubblico o privato, intendo il modo ‘normale’ di occuparsi della salute). Ai maschi non è concessa questa debolezza, (alle femmine sì, ne soffrono molto più dei maschi, ma non sembra fare scandalo, non meritano le prime pagine dei giornali). Non ci stupiamo di trovare il commento di Gramellini sulla prima del Corriere, nel suo quotidiano e autorevole ‘Caffè’, cui ha dato come titolo: “Amico fragile”. Ecco la parte principale: “Eppure soffriva, in mezzo allo stupore e ai pregiudizi di tanti, perché si fa ancora fatica ad ammettere che tra gli attributi di un maschio possa esservi la fragilità. I maschi dovrebbero essere sempre solidi, e le mamme sempre felici. (…) Chi assiste da vicino a questi vuoti d’aria dell’esistenza pensa, a ragione, che sarebbe stato possibile fare di più. Ma la verità è che quando si è dominati dall’istinto di sopravvivenza riesce difficile concepire che in qualcun altro – qualcuno che amiamo e che ci ama – sia più forte l’impulso di dissolvenza.”
(S) Anch’io penso che in questi casi sia sempre possibile fare di più.  Ma, a differenza dei genitori di Lorenzo,  non invoco trattamenti sanitari obbligatori, pur riconoscendo che in questi casi, libertà e volontà personali sono certamente indebolite  e rese fragili.  Fare di più, senza trascurare gli aspetti sanitari, vorrebbe essere una presenza che trasmetta significato  alla vita.
(O) Gramellini, che da qualche parola sembra essere stato vicino ad esperienze simili, parla di un istinto di dissolvenza, più forte di quello di sopravvivenza: “Un impulso talmente irresistibile da indurlo a evaporare in una nuvola rossa, come nella canzone di De Andrè, «in una delle molte feritoie della notte, con un bisogno di attenzione e di amore». O forse soltanto di pace.” Ma cos’è un istinto? Qualcosa di materiale che toglie libertà e giudizio? Una catena della mente, una rete di neuroni in corto circuito?
(C) Mi sento di fare due considerazioni, con una buona sicurezza di non dire sciocchezze. In primo luogo non colpevolizzare i genitori e nemmeno la società in generale. Quello che Gramellini ha chiamato “istinto di dissolvenza” e che Freud con maggiore franchezza chiamava “istinto di morte” è un interrogativo che nasce da uno sguardo particolarmente acuto, ma parziale, sulla realtà. Non è fragilità, ma intelligenza, l’intelligenza di una domanda tanto profonda da perforare l’apparenza, fino ad esigere risposte così esaurienti che nessun adolescente è in grado di costruire da se stesso e spesso nemmeno di recepire da altri.    Se uno sguardo così profondo non incontra una certezza, non c’è cura sanitaria che tenga. Anzi, temo che ogni insistenza, specialmente le costrizioni, allontanino sempre più il sofferente da una possibilità di ripresa.
(S) Non bastano nemmeno attenzione ed amore?
(C) Non lo so, non oso dire  né sì, né no. Se parliamo di terapie, non ne ho la competenza, non voglio essere frainteso. La seconda considerazione è che anche gli affetti più prossimi e concreti sembrano nullificarsi se non sono sostenuti da un significato della realtà, compreso e accettato. Il nichilismo passivo, come il fumo passivo, avvelena, inconsciamente e a caso, questa o quella persona, togliendo il gusto di vivere, la peggiore malattia che possa capitare ad una persona e la peggiore possibile catastrofe per l’umanità, se diventasse un’epidemia, altro che coronavirus.
(S) Direi che la crisi demografica è già un sintomo preoccupante.
(C) Le conseguenze materiali mi preoccupano meno di quelle culturali. Il nichilismo è l’affermazione non del dominio del nulla sull’essere, ma semplicemente dell’impossibilità della verità, della riduzione del linguaggio a puri segnali, non diversi dal grido d’allarme dei babbuini alla vista dei leoni o delle evoluzioni delle api per indicare la presenza di fiori in una certa direzione. Ripeto un giudizio già espresso in una precedente Apologia a proposito dell’assunto fondante di Eco ne “Il nome della rosa”: egli sostiene che non possiamo attribuire valore di verità a nessuna affermazione, perché “stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus (“la rosa primigenia esiste solo nel nome, possediamo soltanto nudi nomi”). Se possediamo solo i nomi delle cose, ma non il loro significato ultimo, dobbiamo inevitabilmente affidarci alla mediazione della tecnica, nel caso del nostro ‘fragile amico’  a quella sanitaria e ad essa ci deve costringere la legge, a prezzo della nostra stessa libertà.
(O) Amici, mi avete molto intristito. Seguendo i vostri argomenti arrivo a temere che possano essere in pericolo le persone a me più care e magari io stesso: pericolo non di morte fisica, ma di morte morale, di scivolare insensibilmente nell’insignificanza.  Molto peggio di qualche grado di riscaldamento globale, di qualche punto in meno di PIL, di un’epidemia d’influenza un po’ più aggressiva delle precedenti.
(C) Ripeto quello che ho detto all’inizio:  non ho nessuna soluzione pronta, ma l’Apologia può indicare almeno una direzione: non cedere al piagnisteo, forma sottile di nichilismo passivo, anticamera della fine del mondo, inteso come luogo della libertà. Sappi però che ne siamo circondati, che politici, intellettuali, comunicatori di ogni genere, artisti e filosofi alla moda, maestri di pensiero  e conduttori televisivi ne sono affetti. Si salva giusto qualche poeta e qualche teologo, nemmeno tutti. E qualche amico che scrive su RMFonline!
(O) OnirioDesti  (C) Costante  (S) Sebastiano Conformi

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