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Libriamo

LA CHIESA, LA SOCIETÀ

DEDO ROSSI - 21/02/2020

breve-storia-dei-movimenti-cattoliciIl tema ha radici antiche, che partono da lontano. Chiesa del territorio o chiesa dei movimenti? La domanda non è né nuova né originale. Eppure questo argomento non è stato sempre adeguatamente studiato dal punto di vista storico ma spesso solo letto emotivamente secondo la personale appartenenza.

Per questo può essere interessante riprendere in mano un libro del 2008: “Breve storia dei movimenti cattolici” di Massimo Faggioli, editore Carocci, una sorta di bigino che ha il dono della sintesi e che offre una bibliografica ampia e dettagliata su tutti i maggiori movimenti.

Massimo Faggioli è professore di teologia e studi religiosi alla Villanova University di Filadelfia, dopo essere stato per anni docente alla Università di St. Thomas nel Minnesota. Dallo scorso anno è professore presso il Broken Bay Institute of Theological Education a Sydney in Australia.

Il suo libro presenta la storia dei movimenti ecclesiali, storia che nasce dopo il Concilio Vaticano I, attraversa il Concilio Vaticano II e percorre tutto il Novecento, fino all’esplosione sotto il pontificato di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI.

Faggioli, attraverso un documentato percorso storico, si interroga sul significato di questo fenomeno. In altre parole: i movimenti sono le nuove “divisioni militanti del nuovo cattolicesimo lanciato alla riconquista della società” oppure al contrario “l’esuberanza dei movimenti costituisce un elemento di divisione e dissimula la debolezza della Chiesa Cattolica”?

Studiare e analizzare il fenomeno è un modo per comprendere il complesso e controverso tema del rapporto tra Chiesa e società contemporanea. Per questo la riproposta di questo libro ci è sembrata interessante.

Qualcuno giudica negativamente i movimenti ecclesiali nella loro totalità – scrive Faggioli – altri si limitano a soppesare la pericolosità di questo o quel gruppo. Rari sono coloro che intendono osservarli senza essere mossi da intenti denigratori o apologetici”. Se non si sgombra il campo dai pregiudizi, sostiene in più parti Faggioli, si rischia di non comprendere il fenomeno, di non saperlo leggere. Diventa fondamentale, per prima cosa, conoscerlo.

L’analisi parte da lontano, da Pio IX e dal tentativo di “rispondere sul piano sociale all’offensiva politica e culturale del liberalismo e del socialismo in Europa, etichettati come eredi degli attacchi contro la Chiesa portati da Lutero prima e dalla Rivoluzione Francese poi.” Siamo negli anni i cui il movimento di laici è alla stretta e diretta dipendenza dal Papa, “votato all’azione sociale politica avulso da ogni riflessione e tematizzazione di tipo ecclesiale, spirituale, teologica o liturgica”.

E sarà così per molti anni. Il libro di Faggioli arriva quindi ad analizzare il movimento cattolico e il rapporto con le ideologie dagli anni venti agli anni cinquanta. Fondamentali in questo periodo il ruolo affidato in Italia all’ Azione Cattolica che diventa “parte attiva del disegno della Chiesa nella “restaurazione del Regno di Cristo” in una società moderna che veniva giudicata come corrotta e lacerata nella lotta tra le classi, tra i partiti e all’interno delle famiglie”. L’Azione Cattolica rappresentava per i laici praticamente l’unica “forma di apostolato, in tutto dipendente dalla autorità ecclesiastica”. Per comprendere l’imponenza del fenomeno basti pensare che l’Azione Cattolica, dopo aver attraversato il fascismo, nel 1948 contava due milioni di iscritti.

Fondamentale per comprendere come il fenomeno dei movimenti non fosse solo italiano sono le pagine dedicate alla nascita in particolare dell’Opus Dei, dei Cursillos, dei Legionari di Cristo.

Ma, tornando all’Italia, il dopoguerra vede la progressiva perdita di attrazione da parte dell’Azione Cattolica e la nascita dei primi movimenti di tipo, diciamo così, contemporaneo. Nel 1944 era nato il Movimento Rinascita Cristiana, nel 1947 l’ Opera di Maria (poi Focolarini). Nel 1954 il professore di liceo don Giussani dà vita ad una “compagnia nuova” chiamata Gioventù Studentesca (poi Comunione e Liberazione) e si pone presto il problema della relazione tra la nascita del suo gruppo e l’Azione Cattolica in profonda crisi.

Nelle “autobiografie autorizzate” dei movimenti, il Concilio Vaticano II rappresenta il certificato di nascita o meglio di sdoganamento dei movimenti. In realtà, sostiene Faggioli “i movimenti organizzati non giocarono alcun ruolo in Concilio, né tra i protagonisti né tra i temi in discussione. (…) La “primavera” dei movimenti nel post Concilio fu un effetto del clima del Concilio più che un effetto diretto dei dibattiti e dei documenti del Vaticano II”. E prosegue: “Un secondo fattore, diverso ma sempre dipendente dalla svolta ecclesiologica del Vaticano II, fu la crisi dell’Azione Cattolica e del suo modello unico, contenitore e raccoglitore di tutte le esperienze laicali sotto il diretto controllo del papato e dei vescovi”.

Sono gli anni in cui si sviluppano decine di movimenti, dal Rinnovamento nello Spirito alla Comunità di Sant’Egidio, per citarne qualcuno. E il libro di Faggioli non dimentica le esperienze più radicali nate attorno al rapporto tra fede e politica (come Cristiani per il Socialismo o Gruppi di base o i nuovi fermenti degli scout) o verso il fenomeno delle “comunità non movimenti”, come Taizè e Bose.

Il papato di Paolo VI nel rapporto con i movimenti va letto in una prospettiva di spinte contrastanti, maggiormente complesse e contraddittorie sia rispetto all’odierna propaganda della “primavera dei movimenti” sia rispetto all’entusiasmo del suo successore Giovanni Paolo II verso il fenomeno”, scrive Faggioli. “Se è vero che Paolo VI ebbe una attenzione previlegiata per l’Azione Cattolica (…) è non meno vero che alla fine del suo pontificato vi furono le prime aperture verso i movimenti “altri”. Altri non solo perché diversi dall’Azione Cattolica ma perché si presentavano con una divisa spirituale, una lettura della situazione ecclesiale e una spregiudicatezza politica in netta contrapposizione rispetto alle travagliate prudenze dell’Azione Cattolica”.

L’atteggiamento di Paolo VI verso Comunione e Liberazione era “paradigmatico di un percorso in direzione di un riconoscimento, fino alla fine sospettoso ma sempre più inequivoco del carisma della nuova aggregazione (…) giudicata esposta al “tarlo dell’integralismo”.

Ma svolta decisiva nel magistero papale sui movimenti avverrà con il pontificato di Giovanni Paolo II che afferma “la grande fioritura di questi movimenti e le manifestazioni di energia e di vitalità ecclesiale che li caratterizzano sono da considerare certamente uno dei frutti più belli del vasto rinnovamento spirituale promosso dall’ultimo Concilio”. Giovanni Paolo II vedeva nei movimenti gli “attori specializzati e più avanzati della nuova evangelizzazione”.

La crescita di influenza dei movimenti sotto Giovanni Paolo II “ non fu condivisa da tutti i vescovi pastori delle chiese locali e dagli attori all’interno della Chiesa Cattolica”, prosegue Faggioli, ricordando come al Sinodo dei Vescovi del 1987 vi furono interventi problematici dei cardinali Martini, Lorscheider e Tomasekm che parlarono del rischio di “chiese parallele”.

Attraverso le reiterate accuse di settarismo ai movimenti, restava aperto e non risolto il complesso problema dei rapporti con la Chiesa sul territorio, cioè le parrocchie.” I rischi di unilateralità della vita di gruppo, di sentirsi “la” chiesa, di diventare rifugio o ghetto, vennero sottolineati dal cardinale tedesco Karl Lehmann” che esprimeva la sensibilità tedesca più legata alla Chiesa sul territorio che a quella dei movimenti.

Un tema particolare diventa, in questo contesto, il rapporto tra movimenti e quelli che Faggioli chiama “i laici sfusi”, quelli cioè non appartenenti ad alcuna associazione o gruppo, e il “logoramento della comunione all’interno della Chiesa Cattolica”. “Non a caso – prosegue Faggioli – che la problematicità del fenomeno dei movimenti sia percepita specialmente da quanti non ne fanno parte e sperimentano così il ritorno nella negletta classe dei cattolici non aggregati a nessuna sigla se non alla loro parrocchia come chiesa locale”. In altre parole, i movimenti rischiano di relegare le parrocchie a luoghi di distribuzione di servizi e soprattutto di ridurre il ruolo pastorale del proprio vescovo a quello di marginale consulente. Faggioli scrive: “Nella Chiesa di Wojtyla le chiese locali hanno visto diminuita la possibilità di far udire la loro voce. La voce dei laici è stata ascoltata solo all’interno dei movimenti e le obiezioni dei vescovi e teologi su alcuni aspetti problematici di queste aggregazioni sono state archiviate e superate”. In sostanza: “i vescovi e il laicato sfuso sembrano essere i veri sconfitti nella chiesa post-conciliare di fronte alla primavera dei movimenti”. La potenziale ricchezza delle parrocchie (dove convivono persone diverse per età, per possibilità economiche, per stato sociale, per cultura, per posizioni politiche, per sensibilità e per percorso nella fede) rischia di essere banalizzata e non valorizzata e soprattutto non letta come il terreno in cui ci è stato dato di essere.

Chi attendeva da Benedetto XVI un cambio di rotta sui movimenti, stando ad alcuni interventi che lasciavano intuire una diversità di approccio, potrebbe essere stato deluso. Ma successivamente il programma di Benedetto XVI può essere riassunto nella formula “meno organizzazione e più Spirito Santo”.

E qui il libro di Faggioli si ferma, perchè pubblicato nel 2008. Cinque anni dopo il cardinale Bergoglio diventerà Papa. E su questo tema si apriranno nuovi dibattiti. Lo stesso Faggioli riprenderà l’argomento in alcuni libri successivi come “I laici in aumento. Movimenti ecclesiali dal Vaticano II” (Stampa Paulista, 2016, New York), “Cattolicesimo, nazionalismo e cosmopolitismo. Chiesa e società e politica dal Vaticano II” (Armando Editore, 2018).

Resta di fatto che sull’argomento “vige una sorta di tabù – conclude Faggioli – E’ un complesso che spinge chi appartiene ai movimenti a parlarne perlopiù in un atteggiamento di esaltazione e di conseguente rimozione delle questioni aperte, e che muove molti di coloro che non appartengono ai movimenti a parlarne in termini di complotto e in ultima analisi della causa di molti dei mali che affliggono la Chiesa contemporanea”. In altre parole i movimenti, secondo i “laici sciolti” sono passati, sintetizza Fagioli, dal “noi siamo Chiesa” all’orgoglio di affermare “Siamo noi LA Chiesa”.

E su tutto questo una nuova riflessione non sarebbe poi male. Purché serena e realmente aperta.

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