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Società

SLOW NEWS

FABRIZIO MARONI - 28/02/2020

scomodoLa frenesia è un tema che ricorre sempre quando si discute di società e cultura nell’occidente contemporaneo. Lo sappiamo: viviamo vite frenetiche, mossi su e giù per le città da mille incombenze quotidiane, stanchi e stressati. Perciò cerchiamo nuovi espedienti per rilassarci, per “avere un momento per noi stessi”, per fare una pausa da questo flusso costante e travolgente che è la quotidianità.

La frenesia è però solo un sintomo, forse il più evidente ma non il più grave, di un virus molto più invasivo di quanto non appaia: la velocità. Il rapido ritmo che scandisce le nostre vite influenza non solo i nostri impegni, ma anche il nostro modo di pensare, di interagire con l’ambiente circostante. E poiché la produzione materiale e culturale dev’essere funzionale ai paradigmi che dominano una società, nel ventunesimo secolo molto di ciò che viene destinato al consumo è letteralmente creato per la velocità: cibo precotto che necessita di scarsa preparazione, informazioni superficiali e facilmente fruibili, ma anche la scarsa propensione a muoversi a piedi, in bicicletta, o con i mezzi pubblici, preferendo lo spostamento più rapido in automobile.

La velocità è una piaga che, forse, condiziona più facilmente chi è nato e cresciuto in una società ad alta velocità e non ha sperimentato altri stili di vita. Il sintomo più grave di questa epidemia non è, tuttavia, la frenesia, ma la superficialità: abbiamo poco tempo per approfondire e abbiamo così iniziato ad accettare senza riluttanza qualsiasi cosa che soddisfi il nostro insano bisogno di rapidità, senza porci alcuna domanda al riguardo; se poi abbiamo lavorato tutto il giorno e siamo stanchi, la buona volontà di interrogarci sulla qualità di un prodotto. La tirannia della velocità non si combatte semplicemente prendendosi cinque minuti di pausa: è necessario ribaltare il paradigma e abbandonarsi invece alla lentezza e alla profondità.

L’informazione, così come la letteratura, è fra i settori più colpiti dal morbo. Ci accontentiamo di notizie lampo, a volte persino titoli, che non danno al lettore alcunché di utile o prezioso; ma abbiamo anche perso la voglia di approfondire. La bellezza di un’opera, di un libro, è molto spesso profonda: significa che per essere scovata nella sua magnificenza non basta un rapido sguardo o una lettura veloce, ma richiede tempo. Tempo che purtroppo non siamo più disposti a spendere in questo modo; così spesso prolifera una letteratura superficiale, a basso impegno.

In molti, negli anni, si sono assurti a veri e propri paladini della lentezza. Primo fra tutti fu Slow Food, che fa della sua attività una vera e propria resistenza (molto evocativa l’espressione militaresca “presidio slow food”) alla dittatura del fast food e della grande distribuzione organizzata.

È più recente, invece, l’iniziativa di un folto gruppo di studenti romani: un’esperienza editoriale nata dal bisogno di un’informazione sana, costruttiva, che non si adatti ai canoni di comodità e rapida fruibilità delle notizie. È nato così Scomodo, un giornale disponibile solo e unicamente in versione cartacea, gratuito, così grande nel formato da essere appunto “scomodo” da leggere.

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