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Attualità

MONTANARI/1 GRAND’UOMO

ANNA MARIA BOTTELLI - 28/02/2020

Giancarlo Montanari con la nipote Daniela

Giancarlo Montanari con la figlia Daniela

Sentii per l’ultima volta la voce del carissimo dottor Giancarlo Montanari il 21 dicembre scorso, il giorno della chiusura della Mostra dedicata al padre – il pittore Giuseppe Montanari – presso la Galleria d’Arte di Via Veratti, dal titolo “La forza del segno e del colore”.

La sera stessa gli telefonai per complimentarmi di quella mostra particolare, piccola, raccolta, ma significativa, con ritratti suoi e dei fratelli in età infantile: pose intime di vita familiare, colte e fissate dal pittore in momenti fuggenti, ma ricche di quella capacità affettiva che solo un artista di talento riesce a trasmettere. In un angolo della mostra oggetti dell’infanzia di un tempo lontano, in particolare una scimmietta – una volta morbido peluche -, un mazzo di carte da gioco – osservate in un quadro esposto -, una tavolozza e matite colorate.

La sua voce, che mi sembrava piuttosto stanca e provata dai postumi di una frattura del femore, dopo i ricordi cambiò improvvisamente tono e mi permise di ritrovare quel suo timbro particolare di voce accomodante, accogliente, morbida. Probabilmente ritornò con la memoria alla sua infanzia, ai suoi giochi, alla sua famiglia, in particolare al grande padre Giuseppe cui lo legava una devozione profonda e di cui senz’altro respirò già in fasce gli odori dei pennelli intrisi di olii, di tempere, di diluenti; insieme al fratello e alla sorella, avrà senz’altro giocato con i carboncini colorati, nero o sanguigna, con cui il padre eseguiva gli abbozzi delle sue opere.

Il dottor Montanari nascondeva dietro un approccio a volte severo, un animo attento, sensibile, delicato, tipico di una persona che per lunghi anni ha svolto una professione, quale quella pediatrica, di cui incarnava tutte le caratteristiche. Era responsabile presso l’Ospedale Del Ponte, a partire dagli anni sessanta-settanta, di un duplice Reparto di Pediatria e di Assistenza Neonatale. Era orgoglioso di quelle sue “creature” e di quanto nel quotidiano riuscisse ad offrire per i bambini di Varese, soprattutto per i nati “pretermine” o “piccoli per la data”. Io lo conobbi nel 1974, l’anno successivo alla mia laurea, durante il periodo della specializzazione in Clinica Pediatrica presso l’Università degli Studi di Pavia. Quando rientravo a Varese, durante i fine settimana, il dottor Montanari mi permetteva di frequentare – in qualità di volontaria – il suo “mondo”.

Apprezzai di lui la serietà professionale, la capacità organizzativa in ogni settore, il rigore nell’applicazione delle regole con il personale, sempre accompagnato dalle buone maniere, il modo cordiale e comprensivo con i parenti dei piccoli degenti. Ciò che in quegli anni ho imparato mi è stato molto utile poi nella mia professione. E gliene sarò sempre grata. Mi accoglieva ogni volta con simpatia, desideroso di conoscere novità che io potevo riferirgli dal mondo accademico che allora frequentavo: gli piaceva confrontarsi e discutere circa gli sviluppi tecnico-assistenziali, diagnostici e terapeutici. Anagraficamente mi separavano da lui quattro lustri: da un lato la sua lunga esperienza, dall’altro il mio bisogno di pratica e di conoscenza, si incontravano in uno scambio utile e costruttivo.

Io fui poi assunta negli anni successivi presso l’Ospedale di Circolo, ma ritrovai il caro dottor Montanari alla fine del 1985, quando la Pediatria del “Circolo” fu trasferita al “Del Ponte”: il suo reparto, dove venivano curati i neonati, era diventato sempre più bello e accogliente, un” micromondo” dove aveva trasfuso con passione parecchie energie e per il quale il suo viso si illuminava di un sorriso radioso quando glielo si diceva.

L’ex ginecologo – perché Montanari acquisì la prima specialità in Ostetricia e Ginecologia e successivamente in Pediatria – è stato l’esempio perfetto dell’arte medica. In lui la genetica paterna fatta di amore per l’arte, di sensibilità, del culto per il bello, si fondeva con la scienza, quella medica, fatta di rigore, osservazione attenta, tenacia. I suoi capolavori non sono stati le grandi opere pittoriche o scultoree come quella paterne, ma la vita – le vite di tanti piccoli – quando per circostanze a volte misteriose, si affaccia e si presenta particolarmente fragile. Le sue mani abili e sicure hanno accolto e sostenuto numerosi flebili vagiti neonatali e accompagnato successivamente altrettanto numerosi bimbi lungo il loro percorso di crescita.

Amava i bambini da cui era contraccambiato, in particolare da quelli dell’Istituto Provinciale Infanzia (IPI dell’allora Amministrazione Provinciale di Varese) dove aveva ricoperto per un periodo il ruolo di pediatra. Lo seppi negli anni successivi quando anch’io ricoprii lo stesso ruolo. Si trattava di bambini con problematiche psico-socio-relazionali e il dottor Montanari sapeva gestirli con la sua consueta tenerezza.

In quanto appassionata d’arte, prevalentemente pittorica, mi piaceva “intervistarlo” sulle opere paterne – per cui spesso si coglieva in lui una certa commozione – o in genere su argomenti affini: era sempre piacevole ascoltarlo quando parlava dei colleghi del padre e di quanto tutti abbiano lasciato di bello. Negli ultimi anni mi piaceva fermarmi a scambiare due chiacchiere con lui, quando lo incontravo in centro mentre con passo spedito andava ad acquistare il giornale: con la sua innata cordialità nei miei confronti, si fermava volentieri a ricordare il comune passato ospedaliero, le immancabili fatiche ma anche le tante soddisfazioni.

Il Cini, come era familiarmente chiamato, amava la barca a vela: in qualche raro momento di relativa tranquillità ospedaliera ci parlava dei suoi viaggi. Con l’animo pediatrico, capace di comunicare con i bambini, ci affascinavano le sue avventure che sembravano tratte da un libro di Salgari. Un giorno ci parlò dell’incontro con un’orca marina, descrivendone i particolari con la minuziosa capacità di chi per professione compila quotidianamente un esame obiettivo. A tutti noi, presi dal racconto, sembrava di immaginare a poca distanza dalla scrivania questo animale dal ventre bianco, dal dorso nero con una pinna dorsale e una macchia bianca sull’occhio. Gli occhi azzurri di Cini, quando si immedesimava nel racconto, diventavano ancor più luminosi ed evocavano i grandi mari da lui solcati fino a qualche anno fa, cioè ben oltre gli ottanta.

Vorrei ricordarlo così ora, mentre in barca a vela, dopo aver superato le tempeste esistenziali, si sta allontanando da tutti noi per andare verso un mare calmo, al di là dell’orizzonte. Noi non vedremo più la sua vela, ma sappiamo che il suo spirito ora liberato dagli ormeggi, ha raggiunto la vera Luce, la vera Pace.Buon viaggio Cini! E arrivederci!

All’adorata figlia Daniela, medico, un pensiero di sincera condivisione.

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