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Attualità

RICORDANDO PROMETEO

EDOARDO ZIN - 06/03/2020

prometeoIn questi giorni di spasmodica concitazione molti sono andati col pensiero a Boccaccio e alle sue novelle, a Manzoni e alla peste (anche se questa epidemia è trasmessa da un batterio e non da un virus!), alla epidemia di “spagnola” del 1918, all’ “asiatica”.

Vorrei confidare ai miei lettori che io ho preferito pensare al mito di Prometeo così come lo spiegavo quando insegnavo. Zeus, dopo aver dato vita a tutte le creature viventi, incaricò il fratello di Prometeo, un titano buono, amante dell’uomo, di dare un dono specifico a tutte le creature: le zanne e gli artigli ai leoni, il veleno ai serpenti e agli insetti, le ali agli uccelli, ad alcuni animali quattro zampe, ai pesci la capacità di respirare sott’acqua. Solo allora si accorse che aveva dimenticato l’uomo. Prometeo rubò allora agli dei l’intelligenza, la memoria e il fuoco, che era sacro, per illuminare e per riscaldare e li diede agli uomini. Zeus s’infuriò e decise di punire Prometeo, che fu incatenato sulla cima di una montagna, completamente nudo. Ogni giorno un’aquila piombava su di lui, gli squarciava il petto con i suoi artigli, gli divorava il fegato – rappresentazione dei principi vitali dell’uomo – ma che di notte si rimarginava. Il mito, che ho dovuto riassumere per non tediare chi legge, ci ammaestra che Prometeo rappresenta la conoscenza, la ragione, la razionalità. Prometeo, inoltre, ruba a Zeus il fuoco sacro per metterlo a disposizione degli uomini perché li possa illuminare nelle tenebre e riscaldarsi. Inoltre, Prometeo vive la condizione agonica ogni giorno, ma la sua umanità, non muore, anzi si rinnova.

L’epidemia che stiamo vivendo ci insegna che dobbiamo valorizzare la ragione, anche quando la paura sembra dominarci e trasformarsi in panico, psicosi collettiva, quando ci assale l’angoscia alimentata non dalla conoscenza dei virologi, degli immunologi e dagli epidemiologi, ma dai tuttologi, dalle chiacchiere del bar, dalle false notizie trasmesse da una comunicazione desiderosa solo di avere audience o da politici smaniosi di comparire sullo schermo annunciatori spesso di restrizioni che possono sembrare eccessive. Il virus che percepivamo lontano o portato dai barconi era già in mezzo a noi e si sta diffondendo non per infezione virale, ma psicologica. Abbiamo allontanato come per incanto la paura dei migranti e l’abbiamo sostituita con quella di un invisibile virus. La strategia governativa, anche se complessa e discutibile, deve essere osservata e non deve innescare contrapposizioni tra stato centrale e regioni “sovraniste”. Stiamo esperimentando qualcosa di nuovo ed inatteso e la ragione ci impone di restare tutti uniti, di remare tutti dalla stessa parte, non di chiedere un governissimo d’emergenza. Il Paese non ha bisogno di un governo con “tutti dentro”, ma di un Parlamento coeso. Sono patetici gli ultimatum lanciati da coloro che vorrebbero abusare di questo momento doloroso per provocare una crisi di governo. In questi giorni abbiamo provato la grande amnesia della razionalità, che rende l’uomo capace di misurare tutta la realtà e il senso assoluto – come diceva Mounier – della persona, che si realizza nel rapporto con gli altri e con chi lo trascende.

L’epidemia che stiamo vivendo ci insegna, infatti, che abbiamo bisogno degli altri. Ci manca oggi un Prometeo che ci insegni la solidarietà, la forza del legame sociale, che illumini le nostre paure con il fuoco della solidarietà: in questi giorni l’accaparramento dei generi alimentari, l’incetta di mascherine e di disinfettanti sono la prova del dilagare di egocentrismi, di malesseri, di individualismi che si degradano nella perdita del senso del bene comune e nell’esasperata sete di profitto, proprio nel momento in cui la recessione è alle porte. I treni che saltano le stazioni dei centri contaminati, le scuole, i negozi, i musei, i cinema chiusi non ci fanno forse sentire la mancanza di un contatto con gli altri? E questo necessario isolamento non è un virus che si espande con quello della tristezza? È di questa mancanza di contatto – e non di contagio – di cui dobbiamo avere paura. Si saranno accorti coloro che vogliono essere “padroni in casa propria” o che alzano muri che, per tutelarsi hanno bisogno degli altri? Si saranno accorti che la difesa del proprio “io” porta all’aggressività, alla rabbia, se non alla fuga? L’epidemia, al contrario, dovrebbe farci entrare in maniera forte con chi soffre, aiutarci a risanare i mali che abbiamo incontrato, sentire compassione e ritrovarci dalle parti delle vittime

L’epidemia che stiamo vivendo ci insegna che dobbiamo avere il senso del nostro limite. Il virus ha indebolito le nostre certezze. “Nulla di troppo” era scritto sul frontone del tempio di Apollo di Delfi, Orazio chiedeva “mai nulla di eccessivo”, mentre gli amici britannici ci insegnano il “self control”, cioè l’autocontrollo. È l’uomo la misura di tutte le cose. Il virus di nuova conformazione che ci ha invasi ci ha fatto riscoprire i nostri limiti che credevamo scomparsi. I doni della nuova tecnica e della nuova scienza non portano al tanto decantato progresso se questo non è accompagnato dalla conoscenza del senso del limite umano. La visione cristiana accoglie questa visione della prometeizzazione dell’uomo onorandola di un supplemento d’anima. Questa crisi può diventare un’occasione per rinnovare la nostra umanità, ci provoca a disporsi verso Dio secondo una reciprocità che risponde all’Incarnazione: l’uomo si faccia Dio così come Lui si è fatto uomo. Aver fede, provando il digiuno eucaristico e sostituendolo con la preghiera, il silenzio, l’ascolto della Parola, non comporta innescare una contrapposizione con la prudenza imposta dalle circostanze. Al contrario, questa virtù ci sprona a trovare il tempo per riflettere sulla complessità del reale, sul senso della finitudine, anche della non comprensibilità del male. Ce lo insegna un twitter di Enzo Bianchi: “Un’epidemia ci è giunta inaspettata come tutte, dando occasione agli stolti di parlare: chi grida che è un ammonimento di Dio, chi dice che è giunta l’apocalisse, chi invoca una cultura della morte: Invece, occorre combatterla insieme per impegnarci a vivere assieme, bene e in salute.”

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