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Quella volta che

IL CAMERIERE, IL PORTINAIO

MAURO DELLA PORTA RAFFO E MASSIMO LODI - 06/03/2020

bernasconi-Caro Mauro, quella volta che…

“Caro Massimo, quella volta che intravidi nelle movenze d’un cameriere il suo passato di pugile”.

-Epoca del fatto?

“Inizio anni Settanta, ristorante ‘Il Passatore’ sul lago di Varese. Ci andavo spesso per convivi di rappresentanza dell’Azienda di Soggiorno, che dirigevo”.

-Cosa t’intrigò del girovago di sala?

“La postura ingobbita, un atteggiarsi come di difesa, quasi che fosse pronto per replicare con un jab al colpo dell’avversario. È tipico dei boxeur esser tali, nella gestualità comportamentale, anche al di fuori del ring”.

-Dunque, chi era il personaggio?

“Domenico Bernasconi, detto Pasqualino mica a caso: perché faceva sentire le campane agli avversari. Comasco di Laglio, il paese dove ha la villa George Clooney e dove gli han dedicato una via, fu il primo italiano a vincere un titolo mondiale. Ma per pochi minuti”.

-Cioè?

“Bernasconi incontrò il panamense naturalizzato francese Al Brown nel marzo del ’33 a Milano. In palio la corona dei pesi gallo. Alla quarta ripresa il match venne interrotto per evidente scorrettezza dell’avversario, e seguì la squalifica. Ma solo e incredibilmente momentanea. L’arbitro, dopo una lunga pausa, decise di proseguire tra lo stupore generale. Vinse ai punti Al Brown. Fischi del pubblico e delusione di Bernasconi”.

-È vero che il regime fascista tifò contro?

“Lo si raccontò, ma sull’attendibilità è lecito dubitare. La storia o storiella era che un gerarca si sarebbe opposto al successo per squalifica di Pasqualino. Gl’italiani dovevano vincere in altro modo, se no che italiani erano?”.

-Conclusa la carriera, Bernasconi dovette arrangiarsi…

“Allora la boxe non rendeva quanto avrebbe reso in futuro. Solo pochi fecero i soldi, molti dovettero cercarsi un’occupazione. O più occupazioni. Ne ebbi conferma in un’altra circostanza”.

-Quale?

“Successe nell’81, a Milano, dove ogni mattina mi recavo sul presto per lavoro. Prima d’infilarmi in ufficio sostavo in una latteria. In fondo allo spoglio locale stava un tizio singolare. Meticcio all’aspetto, con davanti un bicchiere di latte, curiosava sulla Gazzetta dello Sport, seguendo l’articolo riga per riga col dito e pronunziando le parole. Quasi che avesse difficoltà a leggere. Un giorno chiesi al proprietario chi fosse, e seppi che faceva il portinaio in uno stabile lì vicino”.

-Naturalmente andasti a trovarlo…

“Naturalmente. E scoprii che era Leone Jacovacci, ex campione europeo dei medi, celebre rivale a suo tempo del milanese Mario Bosisio. Figlio d’un ingegnere italiano, era nato in Congo, oggi Angola, e poi s’era trasferito a Roma, città che l’adottò affettuosamente quando si diede alla boxe. Mio papà Manlio me ne parlava con entusiasmo. Il big match con Bosisio si tenne nel giugno del ’28, vittoria di Jacovacci. Poi, sembra anche per qualche ostracismo politico, iniziò il declino. Leone fece lavori diversi, l’ultimo il portinaio in quel condominio milanese”.

-Dove ti portano i pugni…

“Mondo ricco d’umanità. L’ultimo, bellissimo ricordo è una lunga chiacchierata con Vladimir Klitschko, ucraino, campione mondiale dei massimi. Passammo qualche ora insieme all’Hotel Camin di Luino, luglio 2010”.

-Motivo?

“L’idea era di fargli incontrare l’omologo campione olimpionico della sua specialità, Roberto Cammarelle. Che in tal modo avrebbe esordito alla grande nel professionismo. Klitschko si disse d’accordo, ma bisognava trovare i soldi”.

-Che non si trovarono…

“No. Ma trovai di grande interesse il colloquio con quel gigante che aveva un braccio pari al mio torace. Intelligente, arguto, simpatico”.

-Guarda cosa c’è dentro i guantoni…

“A saperli aprire, vi si trovano dei tesori. D’umanità”.

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