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Cultura

NIETZSCHE E MAZZINI IN SVIZZERA

ROMOLO VITELLI - 06/04/2012

Friedrich Nietzsche

Al fine di rendere il mio insegnamento della storia della filosofia meno arido, più motivante e vicino agli interessi dei giovani, ho sempre cercato di umanizzare i pensatori facendo riferimento anche alla loro vita privata, ricorrendo anche ad aneddoti, curiosità. A tal proposito vorrei raccontare uno di questi aneddoti, accaduto quando ero ancora in servizio al liceo classico Cairoli di Varese. Nel raccontarlo però sfrutterò ancora una volta, e di questo mi scuso, “la possibilità che appunto agli anziani si concede (o almeno, si concedeva un tempo) – come ama dire Tullio De Mauro – “di parlare delle cose del mondo, parlando anche di sé e di proprie personali esperienze e memorie”.

Con questo racconto, nel 151° anniversario dell’Unità d’Italia, vorrei anche rendere omaggio al grande patriota del Risorgimento Giuseppe Mazzini, narrando di un suo incontro con il filosofo Friedrich Nietzsche.

I due viaggiavano sullo stesso traghetto sul lago dei Quattro Cantoni: in Svizzera. L’esule italiano, proveniente da Londra, tornava in Italia, sotto mentite spoglie, mentre il filosofo andava in Italia per curarsi.

Ricordo che anni fa leggendo alcune significative pagine di un libro a cura di Claudio Pozzoli: “Nietzsche, nei ricordi e nelle testimonianze dei contemporanei” (Bur 1990), mi imbattei nella testimonianza della sorella di Nietzsche, Elisabeth, che raccontava di questo incontro tra Mazzini e il fratello. Quelle pagine mi sembrarono molto belle e così pensai di farne oggetto di una lezione di storia e di filosofia per gli alunni di una classe terza del liceo classico. Era una scolaresca che non aveva avuto me, come insegnante, nei due anni precedenti e in molti dei suoi studenti, nonostante i due anni d’insegnamento della storia della filosofia, la supponenza e l’arroganza, non erano state scalfite minimamente e si tagliavano con il coltello.

La mia lezione cominciò con il racconto che la sorella di Nietzsche, Elisabeth, fa nella sua testimonianza. Nietzsche era tornato molto malato dalla guerra e molto scosso dalle atrocità cui aveva assistito e il medico gli aveva consigliato di recarsi in un paese del sud e di portarsi dietro «la sua gaia sorellina». Allora la ferrovia del Gottardo non esisteva ancora, per raggiungere il sud bisognava valicare il Gottardo dopo un lungo viaggio di montagna, come da secoli si usava fare.

A Lucerna, sul lago dei Quattro Cantoni, si imbarcarono sul traghetto e il comandante organizzò subito per Nietzsche un angolo riparato dal vento con coperte e pellicce. Notarono però che il comandante si prendeva cura anche con molta solerzia di due altri passeggeri. Per soddisfare la loro curiosità, non ascoltato da nessuno, il comandante del traghetto sussurrò che il vecchio signore “era una persona molto particolare, si chiamava Mazzini, ma nessuno doveva venire a sapere chi fosse, perché era stato bandito dal suo paese come persona molto pericolosa e sulla sua testa c’era una taglia di molte migliaia di lire”.

“Mazzini sedeva un po’ in alto verso prua, avvolto in un ampio mantello grigio. La sua testa ben modellata con i capelli bianchi era visibile a tutti. Il dolore aveva scavato solchi profondi nel suo viso nobile e scarno, dal colorito degli uomini del sud”.

Il battello arrivò a Fluelen di sera con una bellissima luce e fecero sosta alla stazione di posta perché il servizio postale del Gottardo avrebbe ripreso a funzionare solo l’indomani mattina. A cena, Mazzini e il suo giovane accompagnatore erano gli unici ospiti insieme a Nietzsche e alla sorella. Sedevano lontani gli uni dagli altri, ciascuno al suo tavolino. Poi fratello e sorella si spostarono vicino al camino con il dessert e da lontano sentivano i due signori che conversavano animatamente in italiano. Mazzini aveva una voce dal tono particolarmente bello. Elisabeth non capiva la conversazione, ma il fratello le disse che Mazzini cercava di spiegare al suo accompagnatore la bellezza e la grandezza della poesia di Goethe.

Poi sentirono che Mazzini citava in tedesco: «Disavvezzarsi dalle mezze misure e vivere risolutamente il tutto, la pienezza, la bellezza». Il giorno seguente l’ostessa chiese se volevano fare colazione insieme agli altri signori. Con un cenno degli occhi cercò di far loro capire che il signore con cui dovevamo far colazione era una persona molto interessante. Sembrava che l’incognito di Mazzini fosse a tutti molto trasparente. Nel libro degli ospiti era riportato come Mr Brown. Con il batticuore presero posto al tavolo della colazione vicino al nobile cospiratore. Mazzini si rivolse alla sorella in un francese elegante, e dopo alcune occhiate interrogative di Mazzini, Nietzsche si scusò di non poter prendere parte attiva alla loro conversazione, perché era molto sofferente e inoltre parlava un francese così ricercato, che sua sorella soleva dire che il suo francese assomigliava a quello di Corneille o di Racine e che non si riusciva a capire nulla di quello che lui diceva. La colpa di tutto ciò secondo Nietzsche era che “nelle scuole tedesche le lingue moderne venivano insegnate in modo tale che nessuno era in grado di esprimersi nella vita normale”.

E Nietzsche, scherzando, aggiunse che gli sarebbe riuscito più facile farsi capire in greco o in latino. Ma Mazzini non volle sentire ragione contro le scuole tedesche e ripeté più volte che erano eccellenti. Infine Nietzsche pregò loro di continuare la loro conversazione, lui sarebbe stato a sentire volentieri e di tanto in tanto avrebbe detto qua e là una parola in latino. E così fece. Questo procurò molto piacere a Mazzini che dissi di capire bene il tedesco, ma di non essere in grado di sostenere una conversazione.

Presto giunse il momento della partenza. Era una giornata meravigliosa e fino ad Amsteg la natura si presentava in una veste primaverile. Due gigantesche carrozze postali trasportavano persone e bagaglio, nella prima presero posto Mazzini e il suo accompagnatore, nella seconda Nietzsche e sua sorella seduti nei posti con la vista migliore. Dopo Amsteg però la via diventava sempre più coperta di neve e per le carrozze postali divenne sempre più difficile avanzare, sicché salirono con gioia su delle minuscole slitte, con cui da quel momento compirono la traversata del Gottardo.

Dopo un incidente, per fortuna senza conseguenze per alcuni viaggiatori, precipitati, con la slitta e il cavallo, in una piccola scarpata, le piccole slitte vennero sostituite dalle grandi carrozze postali.

Ma i quattro viaggiatori preferirono però proseguire per un pezzetto a piedi, finché le vetture non li avessero raggiunto. Così arrivarono a un punto dove si offrì loro di scorcio una vista meravigliosa e remota. Il giovane accompagnatore di Mazzini guardando in lontananza gridò con gioia: «Italia». Erano ancora in Svizzera, ma si poteva vedere in lontananza il paese agognato dai tedeschi. Involontariamente ad Elisabeth vennero le parole di Corinna dal libro di Madame de Staèl: «Italia, impero del sole, culla delle lettere, maestra del mondo, io ti saluto! Quante volte la razza umana ti fu sottomessa, tributaria delle tue armi, delle tue arti e del tuo ciclo!». Mazzini afferrò strettamente la mano di Elisabeth e disse sottovoce con ardore religioso: «Patria mia». Nietzsche rimase commosso da questa scena e disse poi: «Beato il paese i cui figli dicono “patria mia” con tale ardore ed entusiasmo ».

Poi calò la sera, e in una camera in penombra ad Airolo giunse l’ora del commiato. Mazzini li salutò dicendo che il suo viaggio lo portava per altre strade, e chiese quale fosse la meta del loro.

«Lugano», rispose Elisabeth allegra, aggiungendo: “Pare che sia un paradiso”. «Per la gioventù il paradiso è ovunque », disse Mazzini, sorridendo malinconico. Promise loro che sarebbe andato a trovarli a Basilea o a Zurigo. Il loro addio fu difficile: avevano tutti gli occhi umidi, mentre ripete¬vano continuamente in tre lingue « arrivederci! ».

Non si sono più rivisti, “perché poco tempo dopo Mazzini si ammalò e appena un anno dopo il nobile e appassionato combattente posò il suo capo stanco per il riposo eterno”. Finii questa parte della lezione dicendo loro che a seguito di ricerche fatte, anche nella famiglia di mia moglie, svizzero-tedesca, di origine proprio del Cantone Uri, teatro di questa bella storia, con molta probabilità l’ostessa di Fluelen era la bisnonna di mia moglie, la cui famiglia da diverse generazioni gestiva la stazione di posta della corriera del Gottardo.

A Silenen, a pochi chilometri da Fluelen, c’era, proprio sulla vecchia strada del Gottardo, la casa patrizia degli antenati di mia moglie. Era una casa di legno, vecchia di trecento anni, dove abbiamo passato per moltissimi anni bellissime vacanze. E proprio durante una di quelle vacanze ero andato a spulciare tra le vecchie carte del comune e tra gli antiquari in cerca di stampe dell’epoca.

A Lucerna e ad Altdorf avevo trovato delle stampe di quel periodo, che ora sono appese in sala da pranzo. In conclusione, dopo aver fatto con gli studenti alcune considerazioni sul momento storico in cui era avvenuto l’incontro tra i nostri due famosi personaggi dissi che, sulla questione dell’ insegnamento delle lingue straniere in Germania e non solo, aveva torto Mazzini e ragione Nietzsche. Anche nell’apprendimento delle lingue il filosofo era inattuale rispetto al suo tempo. Del resto non era difficile trovare altri autori che su quella tematica davano ragione a Nietzsche. Un’esperienza negativa analoga in tal senso l’aveva fatta anche lo scrittore svizzero-tedesco Peter Bichsel, che nel suo gustoso e simpatico libretto, “Al mondo ci sono più zie che lettori” (Marcos y Marcos, 1990), racconta: “Il terzo ricordo è pietoso: alla prima lezione di francese l’insegnan¬te affermò immediatamente che in francese ci sono dei suoni molto difficili, per esempio «en ». (…)Non imparammo però soltanto quanto è difficile, incredibilmente difficile, dire «en ». Imparammo per così dire tutte le difficoltà della lingua francese — non il francese, solo le difficoltà. Credo di sospettare a ragione che anche il mio insegnante di francese conoscesse solo le difficoltà.

La questione non era di imparare qualche cosa, bensì di rendere qualche cosa valutabile per un esame”. Un’esperienza personale del resto l’avevo fatta anch’io a scuola con il francese: sapevo tutte le eccezioni dei nomi in “u”: bijoux, caillou, genoux; ma se avessi dovuto dire: “Scusi signore dov’è una toilette” in francese, probabilmente non ci sarei riuscito.

Analoga esperienza non felice la feci, come insegnante di italiano lingua straniera, alla Scuola Europea di Varese, dove l’italiano L2, veniva insegnato con un metodo grammaticale-traduttivo. Del resto bisognerà attendere un secolo da quel racconto perché il Consiglio d’Europa proponesse per l’Europa il “Progetto lingue moderne”, con l’ approccio linguistico “centrato sul discente”. Il progetto ribadiva che “non è più la lingua al centro dell’attenzione, ma l’allievo e i suoi bisogni di comunicazione e di uso della lingua straniera”. Avevo proprio voluto concludere quella mia lezione con quelle note sull’insegnamento della lingua straniera, cercando di far comprendere ai ragazzi le ragioni delle loro difficoltà ad esprimersi nelle altre lingue tutte le volte che ci recavamo in viaggio d’istruzione all’estero.

Un giorno, dopo l’esame di maturità, all’inizio del nuovo anno scolastico, venne a farmi visita un ex allievo di quella terza classe: aveva saputo al liceo che ero stato investito sulle strisce pedonali, sotto casa in pieno giorno, mentre ero uscito di casa, per la prima volta, dopo un intervento chirurgico, fatto in pieno torrido agosto, perché non avevo voluto abbandonare quella classe alla maturità, con grande sconcerto del professore che doveva operarmi a marzo!

Tommaso si chiama lo studente. Nei primi mesi, non aveva fatto altro che distrarsi e distrarre. Mentre parlavamo in sala, seduti sul divano, vedevo che era stranamente attratto dalle stampe che erano appese; vidi che il suo sguardo, si concentrava verso la parete dove erano appese quelle che riguardavano il lago dei Quattro Cantoni, Silenen, il passo del Gottardo, Airolo. Mi stavo avvicinando a lui per commentargliele allorché squillò il telefono, e mia moglie, passandomi il cordless disse: “È tua sorella, vai di là a parlare”; e mentre mi stavo dirigendo nello studio sentii Tommaso, rivolto a mia moglie che gli stava spiegando la questione della sua bisnonna, che gestiva la stazione della posta, di Mazzini e di Nietzsche,, dirle: “Ma allora è tutto vero quello che ci ha raccontato il professore!”

Finito di parlare al telefono, sono tornato in sala da pranzo e ho chiesto all’allievo: ”Ma che cosa è vero, Tommaso?” “Pensavo che questa storia di Mazzini e Nietzsche se la fosse inventata lei per farsi bello con noi; nelle classi terze delle altre sezioni del liceo nessuna la conosceva!”. Non dissi niente, abituato com’ero a sentirmene dire di tutti i colori, da quei suoi compagni, allora così tanto pieni di sé. Ho pensato in cuor mio che il nostro caro allievo, come il santo da cui aveva preso il nome, doveva toccare con le sue mani e vedere con i suoi occhi, per credere.

Dopo un po’ Tommaso mi salutò molto affettuosamente e prima di lasciarmi mi diede una lettera l’aprii e lessi: “Il suo ricordo è sempre vivo in me e sempre più spesso io la ricordo come un maestro di vita; solo lei, in un breve anno scolastico è riuscito a risvegliare in me l’amore per lo studio e per la scuola, che credevo non avesse più nulla da darmi. È stato un onore per me essermi trovato tra i suoi alunni e il ricordo del “Maestro” resterà vivo in me . Il mondo della scuola ha un bisogno estremo di persone come lei, continui con la sua costante non rassegnazione a risvegliare animi poco speranzosi”. E pensare che lui era stato un “casinista” irriducibile, che aveva messo più volte a dura prova la mia pazienza!

Oggi è laureato e occupato, padre felice di una bella bambina avuta da Francesca, sua moglie, una brava, educata e studiosa ex mia allieva, anche lei del Cairoli, ma di un’altra sezione, laureata e impiegata in una nota azienda internazionale.

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