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Attualità

COME RICOSTRUIRE

GIANFRANCO FABI - 13/03/2020

schumpeter

Joseph Schumpeter

È ormai evidente che quella che stiamo combattendo è una guerra. Una guerra contro un nemico invisibile e quindi ancora più pericoloso. Una guerra che non sta lasciando sul campo solo morti e feriti, ed è il prezzo maggiore, ma che come tutte le guerre sta provocando distruzioni e macerie.

Si sta spezzando un mondo, e un modo di vivere, come lo abbiamo conosciuto e vissuto. Un mondo fatto di relazioni, di incontri, di scambi, di fiducia.

E una crisi ormai globale che rischia peraltro di essere affrontata con difficoltà se prevarrà la logica politica che si è affermata negli ultimi anni e che ha avuto i suoi punti più clamorosi nell’elezione di Donald Trump e nella decisione britannica di lasciare l’Unione europea. Una logica di nazionalismo, di protezionismo, di chiusure verso i rapporti internazionali non solo sotto il profilo del commercio.

Con in più il fatto che le tradizionali misure di politica economica e monetaria non hanno grandi margini di manovra e appaiono peraltro poco efficaci nel breve termine di fronte ad una crisi dell’offerta, cioè della produzione, della logistica, delle catene del valore.

Ma la teoria economica non appare disarmata. Anche se siamo di fronte a quella che è ormai una inevitabile marcia indietro di una globalizzazione che ha avuto certamente grandi difetti, ma che è stata comunque negli ultimi trent’anni il traino più significativo alla crescita dell’economia mondiale.

Oltre alla globalizzazione c’è un altro fattore che è stato e resta alla base dello sviluppo: è il fattore innovazione strettamente collegato con la capacità di tradurre il progresso tecnologico in prodotti e strategie.

Un fattore che trova la sua sintesi nella figura dell’imprenditore, una figura rappresentata dall’economista austriaco Joseph Schumpeter come il protagonista della “distruzione creativa”, cioè della capacità di superare il presente costruendo su quanto di positivo presenta la realtà.

Ecco quindi la doppia strada che potrebbe prendere una seria politica economica, possibilmente coordinata a livello se non globale, almeno europeo.

La prima necessità è quella di un accentuato ruolo degli Stati con una coraggiosa politica keynesiana, con le ricette che John Maynard Keynes negli anni ’30 proponeva per superare la grande crisi: una spinta della spesa pubblica per rilanciare investimenti e consumi. Certo, ci vorranno risorse. L’Unione europea dovrà avere il coraggio di mobilitare tutto il suo potenziale finanziario con quella logica della solidarietà che è stata alla base della volontà dei padri fondatori dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale. Si dovranno cercare strumenti nuovi, per esempio aprendo la strada al debito europeo, cioè all’emissione di prestiti garantiti dall’Unione e quindi fuori dai vincoli dei singoli stati.

La seconda necessità è quella di sostenere le imprese, aiutando quelle più in difficoltà (nel turismo, nei trasporti, nelle comunicazioni), e cercando di creare un clima ancora più favorevole allo sviluppo per sollecitare quei caratteri dell’imprenditore che ancora Schumpeter definiva il gusto per la competizione e la gioia espressiva di creare.

Proprio l’innovazione può infatti essere in questa fase fondamentale. Per costruire nuove forme di comunicazione e di lavoro, per dare una spinta alla ricerca anche in campo sanitario, per sollecitare soluzioni nuove in una situazione tanto difficile quanto imprevista. E soprattutto per ricostruire quella fiducia nelle persone e nelle istituzioni che ora un nemico venuto da lontano rischia di bloccare per troppo tempo.

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