Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Storia

IL NOSTRO VACCINATORE

LUISA NEGRI - 20/03/2020

saccoL’attività di vaccinatore di Luigi Sacco, medico, nato a Varese il 9 marzo del 1769, in una casa a due passi dalla dimora di Francesco d’Este, duca di Modena e signore di Varese, s’iniziò in modo alquanto singolare. Già laureato in Medicina e Chirurgia nel 1792, a soli ventitré anni, dopo aver seguito i necessari studi a Milano e Pavia, entrato nel 1793 all’Ospedale Maggiore di Milano, in un giorno d’autunno del 1800 ebbe l’occasione di osservare, per una serie di circostanze fortuite, alcune giovenche di un fittaiolo cremonese che arrivavano dalla fiera di Lugano ed erano in transito sulla via del ritorno. Su due animali il medico aveva notato la presenza di papule, segno che erano affetti da vaiolo vaccino. Da convinto assertore della possibilità di combattere la malattia, pensò di tenere d’occhio la situazione. E, per assecondare tale necessità, decise di seguire la mandria nel successivo luogo di spostamento. Dove, dalle pustole ormai mature, poté inzuppare delle fila raccogliendo la materia infetta che tanto gl’importava.

L’operazione era di grande interesse perché gli consentiva di avere a disposizione un ceppo spontaneo con cui verificare personalmente la validità dell’esperimento di Jenner, il medico inglese che nel 1796 aveva utilizzato il pus vaccino (anziché quello umano, come altri in precedenza avevano fatto) per ottenere uno stato di immunità contro il vaiolo.

I primi pazienti di Sacco furono i cinque bambini di un contadino di Casbeno, il cui nome è entrato a far parte della storia della medicina, tale Giulio Pacini. Scrisse il Sacco che “(…) un panico timore aveva assalito questi fanciulli e non vi erano lusinghe, o promesse, che potessero indurli a lasciarsi operare”. Lui stesso allora si inoculò il vaccino alla presenza dei bambini, ottenendo lo scopo di persuaderli.

“La facilità con la quale io mi inoculai, il nessun sentimento di dolore che mostrai nell’operazione, indussero quei ragazzi ad aderire alle mie brame. E promesso un premio al primo che si offrisse all’innesto, due subito corsero nelle mie braccia, e fra di loro si disputavano la preferenza per ottenerlo, disputa che si conciliò ben presto promettendolo all’uno e all’altro”.

Sacco riuscì a vaccinare tutti i bambini del Pacini e l’esito fu favorevole. Verificò ben presto il risultato dopo aver inoculato di nuovo a sé stesso e ai cinque minori il pus prelevato a una bambina contagiata dal vaiolo. La malattia, come da lui previsto, non attecchì, fornendogli la prova definitiva. Da quel momento si impegnò totalmente nella lotta contro il vaiolo, prodigandosi ovunque per svolgere la sua opera. Eseguì nel giro di pochi mesi centinaia di vaccinazioni muovendosi da una città all’altra, di paese in paese. Si recò a Milano, Giussano, Sesto, Albusciago, poi fu di nuovo a Varese, quindi a Montonate e ancora a Milano, meritandosi la gratitudine della gente da lui beneficata. A Giussano e Sesto, dove aveva praticato diversi innesti, quando scoppiò una forte epidemia di vaiolo i vaccinati si dimostrarono immuni. Non mancarono naturalmente reazioni dei soliti sprovveduti supponenti, né maligne accuse di untore; che coinvolsero anche altri colleghi, come il medico Giuseppe Broggi (1753-1841) altro benemerito intestatario, come il Sacco, di una via varesina. Il Broggi fu per una vita medico condotto di Castiglione Olona. Incarico che ricoprì fino alla morte, avvenuta per una caduta da cavallo nel guadare l’Olona al rientro da una visita.

Naturalmente le critiche, frutto di invidia e ignoranza, non intaccarono la determinazione e neppure il morale del Sacco, che a Milano aveva peraltro avuto il conforto di proficui contatti col mondo illuministico milanese di Pietro Verri, Cesare Beccaria e del collega e amico Moscati. E che, durante i suoi studi, aveva avuto la fortuna di incontrare maestri come Spallanzani, Scarpa e Volta. La preparazione e la grandezza dell’uomo e la sua leale capacità di controbattere (”Negli occhi gli si leggeva aperto il pensiero”, scrisse un suo biografo) gli permisero dunque di affrontare con la dovuta serenità insinuazioni e cattiverie. Nel 1801 diede alle stampe un opuscolo di “Osservazioni pratiche sull’uso del vayuolo vaccino, come preservativo del vayuolo umano” pubblicazione in cui era contenuto anche un “Progetto di un piano per rendere generale l’uso, ed i vantaggi della vaccina”. Sarà poi il comitato governativo della Repubblica Cisalpina a decidere di ristampare più volte la pubblicazione, dopo aver nominato Sacco direttore generale della vaccinazione nel territorio della stessa, incarico che il nostro mantenne fino al 1809.

Nel medesimo anno, lasciato l’impegno, poteva annotare con orgoglio: “Attualmente si conta nel regno un milione e mezzo di vaccinati, cinquecentomila dei quali ho la soddisfazione di aver vaccinato io stesso”. Lo scriveva nell’opera “Trattato di vaccinazione con osservazioni sul giavardo e sul vayuolo pecorino” opera in cui aveva registrato tutte le esperienze della sua meravigliosa avventura di medico e di uomo. Tradotto in inglese, francese e tedesco, arriverà in tutto il mondo (anche Persia, Arabia, Indostan), paesi in cui il suo vaccino era giunto da tempo, prezioso aiuto ogniqualvolta scoppiava un’epidemia.

Il suo ingegno si applicò poi in altri campi. Creò una fabbrica per estrarre zucchero dalla barbabietola, che gli valse una medaglia d’oro da Napoleone e la nomina a cavaliere della Corona Ferrea. Inventò una macchina per la lavorazione della canapa e del lino senza macerazione, e si dedicò alla coltivazione della camelia, importandone ben 120 nuove specie. Esperto di mineralogia e astronomia, trasformò la piana di Colico, all’estremità Nord del lago di Como, da palude in terreno coltivabile. Creò una nuova specie di gelso (morus morettiana) e fu tra i primi a introdurre tra noi l’agopuntura. Nel 1832 ebbe un momento di gloria a Vienna per un congresso sulla vaccinazione cui intervennero rappresentanti varesini. Gli furono tributate calorose accoglienze. Morì quattro anni dopo. Nel 1858 l’Ospedale Maggiore di Milano gli dedicò un monumento.

La bella casa varesina di Sacco, poi passata ai Ghirlanda, e dove era nato un altro medico insigne, Eugenio Medea, allievo del Nobel Camillo Golgi, fu invece purtroppo abbattuta nel ‘69, momento nero dello sfacelo edilizio locale dello scorso secolo, per fare posto alla esteticamente triste sede della Banca d’ Italia.

É rimasta soltanto una targa (quella di Medea è andata perduta) a ricordare questo grande figlio di Varese. Gli dobbiamo noi tutti, ancora oggi, salute e riconoscenza.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login