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Urbi et Orbi

COME DROGO

PAOLO CREMONESI - 20/03/2020

drogoCome il Giovanni Drogo della fortezza Bastiani di Buzzati scruto il nemico invisibile da un piccolo paese della Maremma. Sono qui con moglie, figlia e nipotini asserragliati al confine con la Toscana in una comunità di 300 anime. Intorno solo campi e pecore. La sera l’ululato del vento culla il sonno.
Giornate tutte uguali: la messa di Papa Francesco in tv alle sette, la pulizia della casa, la spesa uno a turno. Poi compiti e giochi con i bimbi. Pomeriggio un film, ancora compiti. Il rosario, un gioco da tavola dopo cena, la tisana prima di andare tutti a letto.
Il paese è deserto. Solo i contadini lavorano nei campi come permesso dal decreto. L’alimentare, la ferramenta e l’edicola aperti sono gli unici punti dove incroci, a distanza, qualche altro essere umano.
Le notizie arrivano dalla radio e dai Tg. Sembrano giungere da altri pianeti. Asettici bollettini, come quelli del tempo di guerra, parlano di contagiati e morti, guariti e infetti, città assediate e frontiere chiuse. Bisogna fare uno sforzo per ricordare che dietro a ogni numero c’è una persona, una famiglia, una storia: un respiro come quello affannoso dei malati inquadrati dalle telecamere.
Il rischio è che l’emergenza tiri una grande linea rossa sulla vita. Come quella dei dodici carcerati deceduti a Modena e Rieti durante le rivolte. Come sono morti? E perché?
Quaresima inedita e sgomenta. Ci eravamo preparati con i nostri digiuni e fioretti, ma invece è arrivato uno tsunami. Ossessionati dal nostro ‘fare’ al cui interno ci mettiamo anche Dio, quest’ anno il Mistero ci chiede di stare davanti a una realtà che nessuno avrebbe scelto. Dov’ero in questi anni quando davo per scontato la libertà di movimento, la salute, la messa, un abbraccio, una cena al ristorante e persino un funerale?
Quaresima paradossale. Per dare il mio contributo alla salvezza non devo fare niente. Non agitarmi, non muovermi, non impostare: devo stare a casa. Il mondo non ha bisogno del mio attivismo. Non gliene frega niente dei miei progetti. Non sa che farsene delle mie capacità. Devo solo obbedire e stare in casa. Immobile per non permette al virus di usarmi come mezzo di trasporto: dal ‘non fare’ può venire un bene.
E poi. Il rapporto con l’altro avviene solo a distanza. Il famoso metro diventa il paradigma di uno sguardo che per coglierne la verità ha bisogno di una lontananza. Niente ingerenze di campo, gambe tese, giudizi e consigli non richiesti. Per entrare in rapporto con ogni donna e uomo devo mantenere la ‘giusta distanza’ come recitava anni fa un bel film di Mazzacurati.
Facciamo incontri su WhatsApp. I bambini giocano in videochiamate. Trepidi ci colleghiamo con i figli sparsi a Milano, Grenoble, Varese. La tecnologia aiuta ma non riempie i grandi squarci di solitudine aperti. Si può solo stare in casa. E pregare molto, questo sì. Davvero non sarà una Quaresima che dimenticheremo facilmente.

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