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Libriamo

IL “RIBELLE”

DEDO ROSSI - 20/03/2020

“Ribelle” di Aristide Marchetti

“Ribelle” di Aristide Marchetti

A casa sua a Laveno, mentre lo intervistavo per “Il Giornale”, l’onorevole Aristide Marchetti era un fiume in piena. Parlava dei problemi dei frontalieri, tema molto caldo in quegli anni. Era il 1974 o il 1975, non ricordo bene. Era un fiume in piena, dicevo: preciso, puntuale, documentato. Se non era certo di un riferimento anche marginale, si alzava, cercava un fascicolo nella sua libreria andando a colpo sicuro, e precisava il dettaglio o il nome al momento sfuggito.

Era un uomo solido, solido nelle idee intendo. E soprattutto concreto. La sua è una vita da raccontare, per poter comprendere il suo percorso umano e politico e la stima che lo circondava.

Nato nel 1920 a Laveno, sottotenente di fanteria nei Balcani nel 1942, dopo l’8 settembre1943 aveva scelto la strada partigiana delle montagne oltre il lago, con i gruppi di Filippo Beltrami e di Alfredo Di Dio, con il nome di battaglia di “Aris”. Religioso, sceglie “da cattolico” la via della lotta armata di liberazione.

È di quegli anni la stesura del diario dal titolo “Ribelle” che verrà pubblicato nel 1947 e poi ripubblicato nel 2012 dall’editore Ulrico Hoepli con il sottotitolo “Nell’Ossola insorta”. Marchetti voleva che di quei giorni potesse restare la sua sofferta e dolente testimonianza, anche per sottolineare nella lotta partigiana la presenza non esclusiva delle formazioni comuniste.

Il suo diario è considerato “uno dei resoconti più attenti sulla storia delle formazioni “azzurre” ossolane”, come scrive Marino Viganò nel presentare a nuova edizione del libro. Prosegue Viganò: “Parte della storiografia della Resistenza ha ignorato a proposito quella di orientamento moderato, l’ha cancellata esprimendo, ancora di recente, giudizi quantomeno arbitrari sulla combattività ed efficienza delle formazioni “azzurre”, soprattutto sulla loro attitudine, sottintendendo presunti compromessi con fascisti e nazisti al fine di contrastare un “avversario ideologico”: i “garibaldini” della Valsesia, del Cusio e della Val d’Ossola”.

Di queste tematiche in passato gli storici hanno discusso molto. Ma tornando a di Marchetti, Enrico Massara (nome di battaglia “Toti”) uno dei fondatori della divisione “Valtoce”, ha dichiarato: “L’Aristide era una persona limpida, aperta, era espansivo, eravamo insieme a far la vita del partigiano”. E ha proseguito: “Marchetti e Bettini erano pieni di spirito, tutt’e due molto cattolici, legati alla chiesa, molto religiosi. Ne facevano quasi una bandiera. Legati ad Alfredo Di Dio, provenivano dall’Azione Cattolica. Bettini si adattava di più ai comunisti: Marchetti e Bettini non erano comunisti ma non c’era animosità. I comunisti invece ci facevano dispetti, ci chiamavano “l’opera pia”, con sufficienza”.

Nel libro di Marchetti, “Ribelle”, troviamo in dettaglio avvenimenti, battaglie, strategie ma soprattutto le paure, le angosce e insieme le speranze di quei giorni del 1943 e 1944, fino all’espatrio in Svizzera dove era poi stato internato nei campi per ufficiali di Murren e per partigiani di Herzogenbuchsee.

Amico di Enrico Mattei (personaggio di primo piano nell’Italia della ricostruzione, presidente dell’ENI) e di Eugenio Cefis (figura geniale ma controversa di imprenditore), Marchetti nel dopoguerra si era avvicinato subito alla politica, accanto al suo impegno professionale come dirigente d’azienda, diventando una figura di prestigio della Democrazia Cristiana: sindaco di Laveno dal 1951, presidente della Provincia di Varese dal 1956, deputato dal 1968, senatore dal 1975 al 1980. Come deputato e senatore, aveva presentato 114 progetti di legge (11 come primo firmatario), molti con tematiche legate al territorio, come il problema dei rapporti di lavoro italo-svizzeri o il finanziamento degli enti locali.

La sua militanza nella Democrazia Cristiana non era stata priva di problemi. La rivista “La Base” (di cui Marchetti era stato artefice) aveva aperto un dibattito all’interno della DC, costituendo anche un gruppo chiamato appunto “Base”, facendo riferimento a personaggi come Mattei e Marcora e altri che venivano per semplicità definiti democristiani di sinistra. “Apertura a destra o a sinistra?” aveva scritto Marchetti anticipando un tema che sarà centrale nel decennio successivo. Non era passato inosservato. Per queste idee era arrivata, a firma Fanfani, l’espulsione dal partito.

A questo proposito aveva scritto Aristide Marchetti in un suo intervento al Centro Studi Marcora: “L’annuncio dell’espulsione mi venne presentato a Milano sul quotidiano cattolico “L’Italia” con un articolo di apertura della prima pagina a firma del direttore monsignor Pisoni, dal titolo “Cavallo di Troia”, un cavallo di Troia comunista nella cittadella democratica”. E proseguendo: “Con Fanfani le ostilità si erano chiuse piuttosto in fretta. Cacciato dalla segreteria del partito e dalla Presidenza del Consiglio dopo la ribellione dei dorotei, Fanfani cominciò il giro d’Italia per dire le sue ragioni. Venne anche nella mia provincia di Varese e nel cinema teatro di Tradate, davanti a sei-settecento persone, poté alla fine del suo discorso chiedere scusa per un errore politico suo: contro di me e contro “La Base”. Proprio Fanfani finì per fare il primo governo di centrosinistra, voluto da Aldo Moro, dieci anni dopo la nascita de “La Base”.

L’amicizia nata sulle montagne durante la lotta partigiana aveva unito a Marchetti, come dicevamo, personaggi di grande rilievo come Mattei e Cefis, personaggi di indubbie capacità ma soprattutto Cefis, al centro di grandi polemiche, tanto che lo stesso Marchetti al Centro Studi Marcora sentirà la necessità di chiarire come questi rapporti fossero di amicizia e di condivisione di ideali e non altro. Dice Marchetti: “Mattei e Cefis sono uomini di rilievo nella storia di quegli anni. Con loro non ci siamo mai messi sull’attenti, Marcora, io e gli altri. Non erano “padrini” e noi non eravamo “picciotti”. (…) Mattei era un padre, da noi rispettato e amato non tanto per il potere prima come comandante generale dei partigiani cristiani poi come capo di un grosso Ente di Stato, ma per la sua passione, l’idea fissa e la volontà accanita nelle lotte comuni. Pretendevamo però il pieno rispetto (…) Con Cefis avevamo condiviso, Marcora ed io, prima l’esperienza bellica e poi l’esperienza partigiana, lui nostro comandante dopo la morte di Alfredo Di Dio”.

Una storia da ripercorrere quella di Marchetti, quindi. La riedizione del libro “Ribelle” permette di cogliere come la vicenda partigiana e il suo impegno politico, fino alla morte a Laveno il 9 dicembre 1994, siano legate ad un unico filo, al “sogno” di un impegno cristiano concreto.

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