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Editoriale

VIRUS 2.0

MASSIMO LODI - 27/03/2020

conteUn presidente del Consiglio autoritario, incapace, tentennatore? Non esente da errori, dubbi, malacomunicazione: siamo d’accordo. Ma chi non avrebbe commesso i primi, condiviso i secondi, incrociato la terza in una situazione imprevedibile, tragica, frastornante? Certo, uno più bravo è sempre possibile immaginarlo, ma qui la realtà è andata oltre ogni immaginazione. Sentenziare con acrimonia nell’emergenza è soltanto peggiorativo, contribuire a limitarla sta anche -se si veste una casacca politica- nell’aiutare il premier a correzioni di tiro. Ma senza usare (per di più a colpi d’incoerenza) la grancassa mediatica, e invece i canali dell’interlocuzione istituzionale. Altrimenti si aggiunge il caos alla confusione e il panico alla paura. Con giovamento popolare, no di sicuro. Con qualche vantaggio di parte, niente affatto. Se la nave affonda, l’equipaggio si affida al capitano, chiunque sia il capitano riservatogli dalla sorte. Si discuterà poi se è stato all’altezza del ruolo. Nel mentre, tocca adoperarsi perché sia rafforzato. Non regge diverso ragionevole atteggiamento: le critiche sono, oltre che legittime, opportune, purché finalizzate con avvedutezza al vantaggio collettivo. E’ sempre attuale Seneca: qui nihil agere videntur, maiora agunt. Coloro che sembrano non agire affatto, in verità compiono azioni più grandi.

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È devastante il conflitto -a volte palese a volte no, pur se bene percepibile- tra governo e regioni. Tra regione e regione. Soprattutto tra governo e Lombardia. La Costituzione, e le normative a corredo, purtroppo lo consentono. Ma non esiste che Roma decida una cosa, Milano un’altra, Venezia un’altra ancora eccetera. Delegare i poteri va bene, non riunirne l’esercizio quando la circostanza l’impone è un vulnus grave della democrazia, invece che il suo contrario. Non è la pulsione verso l’uomo forte, ma la cedevolezza a un’urticante anarchia. Altri Paesi reagiscono peggio del nostro alla mortifera azione della pandemia, però la risposta appare univoca. Per quanto modesti, e a volte imbarazzanti, i loro leader esprimono un’accettata capacità di comando, e nessuno s’ingegna a ostacolarli. Obiezioni migliorative sì, bastoni tra le ruote no. Quando una situazione appare complicata, la rete centro-periferia deve favorirne l’evolversi positivo, non rischiare il fenomeno opposto. L’autonomia è un valore, l’autoreferenzialità un disvalore. Capirlo significa collocarsi in modalità Italia. A tal proposito: essa non può che suggerire, per una Ricostruzione che sarà simile a quella del ‘45, un governo d’unità nazionale. Abbiamo a disposizione, unici al mondo, Mario Draghi. Se assolverà bene al suo compito, traslocherà poi da Palazzo Chigi al Quirinale.

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La politica inclina spesso al vizio, la scienza rinunzia talvolta alla virtù. La politica ha messo in ginocchio la sanità, tagliato fondi, rimosso meriti, ignorato i giovani, favorito gli amici degli amici. La sanità è egualmente riuscita a non andare ko, come dimostra in questi giorni. La scienza sta un po’ di spanne sopra la politica, ma scende sul suo piano quando mette in piazza verdetti contrapposti/acetosi, non comprendendo che essi -ben più di quelli del parolaio di transizione in un talk show- disorientano l’opinione pubblica. Se hanno da dirsene di ogni, gli uomini di scienza se le dicano vis-à-vis e non per mezzo di microfoni, telecamere, social vari. Che senso ha tutto quell’ascoltare, di mattina di pomeriggio di sera di notte, domande per solito banali, spesso alla carlona, mai di sprone a risposte esaustive? Così il campo delle perplessità s’allarga anziché restringersi. La scienza studia, non parla. Mette (come ha messo) l’indiscussa competenza al servizio della politica, cioè dell’insieme della comunità civica, corrispondendo all’idea di sacralità che se n’è fatta il quisque de populo. È però un’azione da svolgere con riservatezza, aborrendo ribalte e clamori.

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E l’informazione? L’informazione pubblica, intendiamo. Abbondandis in abbondandum, direbbe Totò. Di tutto e di più, sui canali radiotelevisivi. E qui sta il male invece che il bene. Programmi traboccanti di notizie, interviste, commenti che si sovrappongono, creando un effetto angoscia di tendenza esponenziale. Opinioni autorevoli si mischiano con bizzarrie farlocche e innescano lo sconcerto di chi vede e sente: il poveretto si straluna non sapendo a che giudizi votarsi, dopo averne subìto un bombardamento. Alternativa? Si sarebbe dovuto fin dal principio mettere il lockdown a questo “liberi tutti” delle (e sulle) reti di Stato e partorire un semplice topino: l’allestimento d’un canale tv e di uno radiofonico dedicati per intero al coronavirus, 24 ore su 24. Pilota unico, notizie in aggiornamento costante, e a contorno il bouquet del dibattere autorevole, abolendo fughe nel variopinto mondo della sentenza un tanto a battuta. Solo giornalismo, niente intrattenimento, mai i due insieme: l’insopportabile infotainment. Purtroppo l’Italia ha sempre rifiutato di copiare dagl’inglesi l’unica cosa meritevole d’esserlo: la Bbc. Ne paghiamo da decenni le conseguenze, e adesso sono a carissimo prezzo. Farci male da soli: ecco cosa sappiamo comunicare bene. Il virus 2.0.

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