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Attualità

FUTURO IN MASCHERINA

DAVIDE GALIMBERTI - 27/03/2020

mascherineFFP1, FFP2 e FFP3. Mascherine da sala operatoria, oppure anche “artigianali”, realizzate per proteggere i nostri cari da semplici e innocui starnuti, che di semplice, oggi, hanno ben poco. Sigle, specifiche, nomi che abbiamo imparato a conoscere in queste settimane e che, probabilmente, non ci scorderemo mai più. Dettagli tecnici di prodotti che fino a poco tempo fa erano per i soli addetti ai lavori.

In molti da diversi giorni andiamo ripetendo che “questi giorni ci cambieranno per sempre”. Ecco, una delle “rivoluzioni” – per così dire – più tangibili portate dal coronavirus potrebbe proprio passare da questi piccoli accessori in stoffa, tessuto e materiali plastici. L’ultimo baluardo tra noi, i nostri naso e bocca, e tutto il mondo che ci circonda. Abbiamo imparato a utilizzare le mascherine in questi giorni di emergenza e, con buona probabilità, continueremo a farlo anche quando quest’ultima sarà finita. Le mascherine, infatti, non sono solo un dispositivo di sicurezza per questa fase emergenziale, ma saranno un accessorio che contraddistinguerà anche dal punto di vista visivo i prossimi mesi.

Se le mascherine sono oggi uno strumento di protezione dagli altri, domani, usciti dalla fase acuta, saranno quell’accessorio che non verrà più percepito come oggetto di distacco sociale, ma, al contrario, di integrazione. Ci consentiranno infatti di riprendere i contatti sociali che ora abbiamo giustamente interrotto. Le vedremo nei nostri locali pubblici e nei nostri teatri, quando torneranno pieni di gente. Vedremo mascherine nelle fabbriche, nelle biblioteche, sui mezzi pubblici, persino alle funzioni religiose e in tutti i luoghi di contatto tra le persone. Ma non ci dovremo far spaventare: non saranno un ricordo grigio di questi momenti difficili, né un retaggio delle imposizioni dettagliate nei vari decreti che si stanno susseguendo. Saranno, piuttosto, un segno di attenzione in più, verso noi stessi e verso tutte quelle persone cui vogliamo bene. Saranno, insomma, un “agevolatore” verso la normalità.

Quando per decreto o per ordinanza ci diranno che potremo tornare alla nostra solita quotidianità, probabilmente, non ci crederemo fino in fondo. Avremo bisogno di qualcuno o di qualcosa che ci porti lentamente alla normalità, a riprendere a frequentare luoghi pubblici, negozi, piazze… Questo qualcosa, oltre alla voglia di riappropriarci appunto della socialità e della condivisione, sarà la mascherina. Magari con colori e tagli diversi e magari griffata, ma pur sempre lei.

Il coronavirus, dicevamo, ci cambierà “in meglio”. Ci renderà più uniti, più forti, più capaci di stare insieme. Aspetti che vedo già ora nella Varese di quei tanti volontari che stanno aiutando gli anziani e le persone in difficoltà, portando loro spesa e farmaci. Nella città dei tanti sanitari che hanno deciso di rimettere il camice dopo essere andati in pensione. Sempre, ovviamente, con le fidate mascherine.

Come amministrazione, negli scorsi giorni, ne abbiamo recuperate ventimila, subito distribuite agli ospedali, alla Protezione civile, alle case di riposo e ai centri che ospitano le persone più fragili.

Quando, tra qualche mese, rivedremo le mascherine indossate da chi studierà o lavorerà accanto a noi, mi piacerebbe pensare che i nostri ricordi vadano alla Varese che “fa per gli altri” nel momento di massima difficoltà. Quella dei piccoli gesti, delle piccole grandi attenzioni che continueremo ad avere. Anche quando tutto questo sarà finito.

Davide Galimberti, Sindaco di Varese

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