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Attualità

SUIVEUR MITICO

CESARE CHIERICATI - 27/03/2020

????????????????????????????????Al netto di talune presenze strettamente legate al ciclismo, qualche Tre Valli e i mondiali del 2008 targati Renzo Oldani, le apparizioni di Gianni Mura a Varese si contano sulle dita di una mano. Mura è morto il 21 marzo scorso a Senigallia.

Arrivò in città nell’autunno di quell’anno fortunato per il pedale varesino. Appuntamento alla Feltrinelli di Corso Aldo Moro per la presentazione de “La Fiamma Rossa – Storie e strade dei miei Tour”, Minimun fax editore. Un’antologia ragionata, picaresca, piacevolissima delle sue quotidiane cronache gialle, a partire dal 1967, anno del battesimo alla Grande Boucle. Non fu un successo quell’incontro: pochi spettatori in uno spazio angusto, un quasi flop frutto, è probabile, di alcuni disguidi organizzativi. Non la prese bene, era amareggiato, non si spiegava come mai una terra votata alle due ruote come quella varesina avesse voltato inopinatamente le spalle proprio all’appuntamento con lui, seguitissimo peraltro sulle pagine di sport di Repubblica. Andò meglio, molto meglio il 3 ottobre 2012 al Festival del racconto del Premio Chiara in una serata, a Villa Recalcati, dedicata alla bicicletta e al ciclismo, dal titolo promettente: ”Un giorno in bici. Biciclette, ciclisti, doping. Storie, canzoni e letture dal mondo del ciclismo”. Il tutto gestito da Pierfrancesco Pierantozzi, giornalista varesino colonna di Sky, dal musicista Claudio Sanfilippo e al centro della scena lui il mitico Gianni Mura, ispido la sua parte, ma efficace e come sempre abilissimo nel muoversi tra ricordi, aneddoti, personaggi del variegato mondo delle due ruote. Raccontò del suo rientro nell’esagono d’oltralpe, nel ’91, dopo una lontananza durata quasi vent’anni. Diede il cambio a un altro formidabile narratore di ciclisti e di cavalli, Mario Fossati (Gazzetta, Giorno, Repubblica), che aveva deciso di passare la mano perché raccontava scherzando: “Nel gruppo degli inviati nessuno beve più un buon bicchiere di rosso”. Mura raccolse anche quel testimone rinverdendo così la tradizione dei cronisti cultori di cibo che ebbero in Gianni Brera, suo punto di riferimento umano e professionale, l’indiscusso capostipite. Nel giro di pochi anni Gianni si calò con sempre maggiore convinzione nel ruolo di cantore del Tour perché, confessò nella Fiamma rossa,” per me il Tour non era una cosa che si svolge in Francia, o un pezzo di Francia in movimento, ma “la” Francia. Come la voce di Edith Piaf, le Gauloises senza filtro, il pastis, la baguette e forse il sorbetto al cassis. La Francia dei poeti, degli chansonniers, dei giocatori di pétanque sotto i platani, dei campi di girasole a perdita d’occhio, delle chiatte lungo i canali, delle città con una luce speciale (Arles, Tolosa, Bayonne, Agen, Lilla). E Pont Aven, aggiungiamo noi, dove Paul Gaugain si era trasferito prima del suo viaggio senza ritorno a Thaiti nel 1891.

 Una geografia quella francese che sembra ritagliata su misura per la bici, dove la morfologia del territorio è stata razionalmente distribuita da madre natura per cui puoi tranquillamente scegliere di evitare le salite o, al contrario, di farne una scorpacciata come accade sui Pirenei, sulle Alpi e nel Massiccio Centrale. Molto diversa dall’Italia che, fatta salva la pianura Padana e qualche zona costiera dell’Adriatico, impone sempre al povero pedalatore il pedaggio ostile di qualche imprevedibile impennata. Su questo fondale Mura componeva, giorno dopo giorno, l’affresco dei suoi tanti Tour, alcuni migliori degli altri come spiegava ai fedelissimi lettori. Dalla sua scrittura impressionistica e calda emergono i personaggi a lui più cari come il solitario e sfortunatissimo spagnolo Louis Ocana, come il francese Raymond Poulidor che “affascinava per l’assoluta mancanza di fascino”; come Simpson morto di fatica e di doping sul Ventoux, nel 1967, come Jacques Anquétil fra i più grandi di sempre ma snobbato dai connazionali; come Eddy Merckx devastante sempre e comunque, come l’audace e scoppiettante Chiappucci, come l’implacabile Miguel Indurain, come il dolente Pantani che incendiava le strade e la fantasia dei tifosi. Ma nell’affresco di parole ci sono anche – ci mancherebbe – les domestiques ovvero i gregari che puntellano con il loro aiuto la corsa dei capitani, le black legs, le gambe nere, i portatori d’acqua, e poi i tifosi, sempre più numerosi, che si sobbarcano grandi fatiche pur di piazzarsi sulle curve del Tourmalet o dell’Izoard per partecipare al rito magico e fuggitivo di una tappa di montagna.

Mi accorgo di avere esaurito il mio spazio e di aver lasciato in ombra il non meno incisivo Mura del calcio, ci sarà occasione di parlarne magari più avanti a normalità ritrovata dopo la sbornia fatale del coronavirus. Voglio però alla fine dare conto di un Gianni Mura che la sua penna l’aveva messa generosamente a disposizione anche del mensile milanese “Scarp de’ tenis” di chiare ascendenze jannacciane. Si legge nella gerenza:” … giornale di strada noprofit nato da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di scarpe. È un’impresa sociale che dà voce e opportunità di reinserimento a persone senza dimora o emarginate…”. “Le storie di Mura” era il titolo della sua imperdibile rubrica.

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