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Società

GUAI AL “BURN OUT”

MARIO CARLETTI - 10/04/2020

burn-outLa pandemia in corso ha obbligato il genere umano ad adattamenti non solo dal punto di vista fisico, ma anche dal punto di vista psicologico.

L’uomo infatti non è solo composto di ossa muscoli ed organi ma anche da una struttura psicologica tutt’altro che semplice.

Almeno due osservazioni sono abbastanza semplici ed immediate da fare: la prima è che essendo l’uomo un animale assolutamente abitudinario, già il fatto di essere costretto a cambiare queste sue abitudini lo pone in una condizione nuova e di disagio.

La seconda è che avendo vissuto fino al giorno prima in una società che lo ha sempre e pesantemente spinto verso il fare (orari, ritmi, scadenze, vita sociale, fitness, presenzialismo etc etc), di colpo gli è stato detto esattamente il contrario cioè stai immobile.

Quindi sostanzialmente un doppio cambiamento sia di abitudini consolidate, sia di contenuti.

L’uomo è una macchina predisposta dal punto di vista fisiologico a rispondere al cambiamento: abbiamo dei meccanismi ancestrali che ci permettono tramite la produzione di ormoni di rispondere a fattori esterni che viviamo con disagio.

La risposta alla paura è quindi una risposta positiva, uno stress che possiamo definire positivo, buono, gli ormoni aumentano la nostra frequenza cardiaca preparano cervello e muscoli ad una reazione che può essere di fuga o di attacco, di difesa, come un animale che caccia od è cacciato.

Generalmente però dura il tempo necessario per arrivare ad una soluzione qualunque essa sia (positiva o negativa), se invece si protrae senza che vi sia una via soluzione temporalmente nota, lo stress costruttivo, può trasformarsi in negativo, pericoloso per il benessere e la salute.

La paura può trasformarsi in ansia o panico, stati di perenne, disagio, di agitazione.

La fondamentale differenza tra i due stati è che mentre il primo ti permette di avere una lucidità sufficiente per mettere in atto scelte oculate, utili e costruttive, il secondo può portare a comportanti irrazionali, impulsivi, casuali.

La paura quindi ti guida a seguire quello che l’organizzazione riconosciuta ti invita a fare: stare a casa, indossare la mascherina quando serve, lavarsi le mani con maggior frequenza, tenere la distanza di sicurezza etc etc

La seconda invece ti porta ad avere atteggiamenti che non hanno una giustificazione logica: assalto ai supermercati (anche se nessuno ha mai ventilato possibili carenze alimentari), scelte sanitarie individuali e scientificamente non appropriate, sovraffollamento dei treni per cambiare località etc etc).

Noi non siamo fatti per reggere troppo a lungo questi stati, per rimanere quindi nel dubbio, come accennato in precedenza, perché un periodo eccessivamente lungo può portare tra a situazioni di tensione che può addirittura sfociare nell’odio ed ipocondria.

L’ipocondria è una esagerazione dei sintomi per quanto riguarda la nostra condizione di salute: una rinite allergica (tra l’altro anche abbastanza comune visto stagione e clima) può essere scambiata per un attacco virale, al pari di un rialzo febbrile legato invece ad un virus influenzale molto meno pericoloso.

Tensione ed odio possono invece sfociare in atteggiamenti talvolta addirittura aggressivi verso persone che riteniamo possibili portatori (untori) dell’infezione e molto spesso sono individuati in generi di popolazione età, sesso, nazionalità, stato sociale etc che poco hanno a che vedere con il rischio reale.

Nel caso specifico di questa pandemia purtroppo le caratteristiche del contagio sembrano proprio quelle di un film ove tutta la storia poggia su di un vettore che ha in sè tutto quello che maggiormente ci mette a disagio: non si vede, si trasmette per contatto umano/sociale, non si conoscono ancora (perché nuovo e quindi non noti) tempi di immunizzazione, durata della stessa, medicine utili ed efficaci per combatterlo, vaccinazioni et etc

C’è un bel dire che il genere umano ha già superato ostacoli di questo tipo, che ci sarà un domani, che l’uomo ha già combattuto e battuto queste battaglie vincendole eccetera, ma questo corona virus ha i panni perfetti del nemico che ti fa impazzire se non mantieni la barra del timone di te stesso bene in controllo.

Quanto l’uomo ha bisogno di queste risposte lo si evince quotidianamente anche dalle domande che vengono fatte in conferenza stampa alla protezione civile, all’istituto Superiore di Sanità ed ai componenti del Comitato Tecnico Scientifico del Ministero della Sanità (per chi non lo sapesse il comitato tecnico scientifico è un gruppo di professionisti non solo medici che divisi in diverse sezioni forniscono al Ministro della Salute una consulenza tecnica sui temi più disparati della sanità, dai farmaci, alle strumentazioni sanitarie, al doping, all’alimentazione etc etc).

I giornalisti chiedono in realtà quando finirà la paura: quando si riaprirà, quando si tornerà a viaggiare, quando la scuola riaprirà eccetera perché questo serve moltissimo dal punto di vista psicologico perché ci farebbe vedere un traguardo al quale ambire, quanto manca alla fine della maratona.

Il grosso problema (e non invidio coloro che stoicamente sono in primo piano e tutto sommato nemmeno i giornalisti) è che oggi nessuno ha risposte certe perché nessuno lo sa.

Psicologia quindi anche nella comunicazione che dovrebbe essere unica come momento, condivisa come contenuti, chiara come messaggio, precisa come date (traguardi temporali precisi, di una corsa a tappe che non sappiamo quando finirà) perché è un fattore determinante nella gestione/elaborazione della paura e nella prevenzione dell’ansia.

Così come le informazioni della stampa che mirano al sensazionalismo, all’allarmismo, che mettono in evidenza notizie, dati, vocaboli e numeri ad effetto creano grossi danni e determinano reazioni inappropriate almeno in quella parte di popolazione che ha una minor capacità di discriminare.

In questo caso specifico il consiglio è ovviamente quello di affidarsi a fonti di informazioni validate scientificamente e di usare una ipotetica mascherina/filtro non solo per le gocce di saliva che potenzialmente possono trasportare il virus, ma anche per non fare entrare nella nostra testa notizie false e devianti dalla realtà.

La casa, l’ambiente domestico è poi uno dei luoghi più complessi per lo sviluppo di problemi psicologici. Visto le molteplici variabili che andrebbero considerate, età dei soggetti, dimensioni della casa, numero degli occupanti, loro occupazione (studenti, pensionati, lavoratori con o senza stipendio etc), ceto, livello culturale, credo religioso etc etc è molto semplice capire che i cocktails che vanno a comporsi sono davvero infiniti.

Con risultati quindi altrettanto variegati che purtroppo non sempre hanno come esito un sapore ed un gusto ideale. Ogni dinamica andrebbe quindi valutata singolarmente ma se c’è un unico grande e primario consiglio (che diventa obbligo in presenza di minori) è quello di dare alla giornata una organizzazione per orari ed attività. Soprattutto i minori hanno bisogno di certezze: sveglia, ora per andare a dormire, frequenza e cadenza dei pasti, ore dedicate allo studio ed alle altre attività. Agli adulti il compito (questo si se che può essere un momento importante) di avere campo tutta la fantasia, le conoscenze e la voglia che ciascuno di noi ha.

Il grande vantaggio di una giornata organizzata non è solo quello di dare ai ragazzi una sicurezza della quale hanno grande bisogno, ma anche di permettere al loro organismo di rispettare un ritmo circadiano ormonale e metabolico che è la base naturale per una sensazione di benessere generale.

In un panorama quindi molto complesso e difficile, se una scala si vuole fare di chi ha sulle spalle il peso psicologico maggiore, credo che non ci possa essere un dubbio nell’indicare la filiera socio/sanitaria che sta in prima linea. Questo perché è provato da studi fatti su soggetti che hanno dovuto affrontare questa situazione che il peso psicologico che queste persone hanno dovuto subire, non si limita al vissuto ed al quotidiano, ma può avere importanti esiti negativi anche nel futuro della loro vita, ad emergenza terminata. Si tratta della sindrome conosciuta come burn out che letteralmente tradotto dall’inglese significherebbe spegnersi, estinguersi, bruciarsi. Un insieme complesso di sintomi generici quali stanchezza, apatia, nervosismo, insonnia associati anche a somatici quali cefalea, ulcera, disturbi cardiovascolari eccetera.

Una sindrome per la quale sono richiesti interventi terapeutici psicologici e farmacologici mirati e prolungati nel tempo e che certamente vieta al paziente di poter avere una vita personale e sociale serena.

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