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Opinioni

PASSARE IL FIUME

LIVIO GHIRINGHELLI - 10/04/2020

guadoLargamente inattesa la tragedia del coronavirus ha colto l’Italia e in primis la Lombardia impreparate. Con lo scoppio della pandemia si è venuta a smentire anche la fiducia nell’onnipotenza della scienza e della tecnica (affermazioni, smentite, correzioni, previsioni in successione e in continua contraddizione hanno contribuito a sfiduciare ogni attesa miracolistica: d’altra parte la scienza si fonda su ipotesi, discussioni, verifiche in un continuo processo evolutivo, non su verità di fede assiomatiche, la scienza è ricerca permanente, dibattito razionale).

Le informazioni scientifiche validate peraltro sono ancora molto sommarie. Anni di tagli nella finanza pubblica hanno dissanguato il servizio sanitario in modo improvvido (due decenni di decurtazioni). Si è così verificato un deficit di almeno 66mila medici, 50mila infermieri, sono venuti meno 758 reparti ospedalieri nel quinquennio. È stato stanziato solo lo 0,2% per la ricerca. Di qui dispositivi di protezione in grande carenza, rarità di tamponi, mascherine, ventilatori.

In un decennio sono scomparsi settantamila posti letto. Per giunta l’autonomia regionale, quando non concepita in modo anarchico rispetto al potere centrale, non ha fatto registrare con questo soddisfacenti consonanze, grande è stata la confusione dei ruoli. Questa la crisi di un sistema sanitario nazionale nato felicemente nel 1948 e vantato per l’eccellenza.

Ci si interroga sulle cause dell’attuale pandemia. Dal punto di vista della globalizzazione stanno l’incontenibile spostamento di massa e lo sviluppo abnorme dei trasporti in un clima di libertà assoluta, fattore ritenuto di solo progresso indiscutibile a prescindere dagli esiti.

Da decenni si manifestano movimenti di capitali, merci, uomini senza conoscere tregua nella società del profitto, del consumismo, della disuguaglianza sempre più accentuata tra le classi. Indiscutibili, anche se non tutte precisabili, le conseguenze del cambiamento climatico, del disastro ecologico, si parla ormai di ecocidio.

Vengono accusati il sistema globale di produzione del cibo, gli allevamenti intensivi, la deforestazione del pianeta, l’urbanizzazione di zone selvagge che avvicina l’uomo ad animali portatori di potenziali patogeni. Si pone in rilievo l’inadeguatezza sul piano mondiale della produzione di antivirali ad ampio spettro, delle terapie innovative, dato anche il rapporto tra gli elevati costi di ricerca e l’altrettanto elevata probabilità di insuccessi. Tutto questo nonostante la lezione delle tante crisi sanitarie di emergenza insorte nel recente passato (v. anche la chiamata in causa dei pipistrelli); quasi una vendetta della natura per le devastazioni inferte all’equilibrio dell’ambiente naturale.

In questo contesto la classe politica non si è manifestata all’altezza del compito, è mancata la coscienza di una responsabilità collettiva, condivisa, unitaria. Spesso, al di là delle apparenze, prevalenza degli interessi di parte e dei giochi di facile imputazione agli avversari di provvedimenti carenti o insufficienti. Giochi al toto rimpasto, corsa più o meno felice alle nomine nelle società partecipate per le cospicue remunerazioni, senso dello Stato latitante.

Ancora evidente il contrasto tra sovranismi e senso autentico dell’europeismo in spirito comunitario e solidaristico. E la rapida trasmissione del virus già covava in Italia in gennaio.

Non tanto al fondo, bensì evidente era la crisi della nostra economia già nell’ultimo trimestre del 2019 (PIL – 0,3%) con il conseguente aumento degli stanziamenti per la cassa integrazione.

Con l’invasione del coronavirus e al seguito dei provvedimenti di contenimento s’aggiunge l’incidenza preoccupante degli effetti sull’export, sul turismo, sui consumi, spaventa la tragedia dei precari e del lavoro a chiamata, si fa chiara la difficoltà di concepire un avvenire minimamente confortante e rassicurante.

Si instaura un clima di vera e propria fobocrazia (dal greco, potere, dominio della paura) a livello psicologico (non solo), vale l’equivalenza stare sani= stare soli, la quotidianità è sospesa. Non sono molte le fughe per irresponsabilità dal sistema decretato di chiusure entro il proprio domicilio. Non è tanto diffusa la convinzione della necessità di una prossima liberazione dai vincoli.

Di contro alla tradizionale figura dell’italiano medio versatile, con troppe risorse d’astuzia e simpatico cinismo, comunque capace di reinvenzioni individuali continue del proprio avvenire, stanno la grande dimostrazione di generoso e anonimo eroismo della classe medica, infermieristica, del volontariato, il piano eccezionale e confortante della chiamata in servizio dei pensionati, il successo del piano straordinario d’assunzioni a rimedio dell’insostenibilità dei turni massacranti, dello stress inumano degli operatori.

Oltre al tentativo fallito di caccia agli untori o del possibile diffondersi della sinofobia (enorme il peso dell’economia cinese entro il quadro mondiale), e alla ricerca della cospirazione e propensione al complottismo, ecco i tantissimi casi di dedizione, d’altruismo, professionale ed eticamente ispirato.

Ci si salva soltanto insieme, proclama commosso papa Francesco, la cui figura e insegnamento si staglia a livello mondiale. La salute è un bene originariamente collettivo. La Chiesa è ormai una delle tante realtà nel mondo laico e la laicità non cancella Dio, mentre svaniscono le pretese teocratiche e la concezione di un magistero che tende a escludere, più che a includere, obbedendo alla lege suprema dell’amore e della misericordia. Nessuna confusione di ruoli.

La ricerca di immunità non deve indurci a tagliare le relazioni, d’obbligo il contatto con la diversità. Urge il ricorso al principio di realtà, bisogna vivere la crisi governandola.

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