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Editoriale

VITA NUOVA

DON GIUSEPPE VEGEZZI - 10/04/2020

don-giuseppe-vegezziAll’inizio della pandemia una domanda frequente che girava tra noi sacerdoti era: “Come sarà questa Pasqua?”. Ora lo sappiamo: un prolungamento del Sabato Santo. Per tutta la quaresima abbiamo vissuto un lungo sabato santo, il giorno del silenzio per eccellenza, il giorno del silenzio di Dio in attesa della vita nuova che rinasce, che ricomincia. Anche quest’anno nonostante tutto la Pasqua è arrivata e il Signore è risorto lo stesso, nonostante il nostro essere chiusi in casa. Ha ragione il nostro Arcivescovo Mario quando dice nel suo messaggio pasquale di speranza: “La nostra Pasqua, vissuta più in casa che in chiesa, è la cena secondo Giovanni: i suoi segni espressivi sono la lavanda dei piedi, la rivelazione intensa agli amici dei pensieri più profondi, la preghiera più accorata al Padre. La nostra Pasqua quest’anno rivive quella sera: «La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”» (Gv 20,19). Incomincia così una storia nuova.”

Forse, lo dico sottovoce, questa Pasqua sarà speciale non solo perché pervasa dal Covid-19 ma soprattutto perché potrà dar vita ad una storia nuova per tutti.

Nuova per le comunità cristiane: mai avremmo pensato di celebrare una Pasqua così, senza popolo i riti più intensi di tutto l’anno liturgico; ai sacerdoti certamente è mancato questo celebrare solenne con la propria comunità ma si sono sbizzarriti nel trovare il modo per far giungere una parola di consolazione, di salvezza e di vita nuova a tutti con i mezzi che la tecnologia ci ha messo tra le mani. Tuttavia è stata l’occasione di riscoprire praticamente la veridicità della formula “chiesa domestica”, finora solo auspicata, blaterata, immaginata: sì, le nostre famiglie cristiane sono piccole chiese domestiche dove il Signore abita, soffre, gioisce e rinnova. Le schede preparate dalla diocesi per il Triduo “fai da te” in famiglia ci dicono che in casi come questi è possibile essere e vivere da cristiani, dai più piccoli agli adulti; mai come in questa occasione, chi ha voluto ha riscoperto la bellezza di condividere la propria fede in famiglia. Di solito la fede è sempre stata ritenuta qualcosa di “mio”, di “personale”, di “intimo” che non deve essere manifestato: la Pasqua 2020 ci ha costretti ad uscire allo scoperto, rimanendo chiusi in casa come i primi discepoli!

Inoltre il lungo Sabato Santo ci ha obbligati anche a vivere più da vicino l’esperienza del Venerdì Sant0, del silenzio di Dio. Quante volte ci siamo chiesti: dov’è Dio in questo momento? Se è un Dio Buono perché tanti morti, perché tanta sofferenza umana nel non stare accanto ai propri cari nel momento del passaggio all’altra vita? Si è letto un po’ di tutto a riguardo.

Mi faccio aiutare dal Cardinale Carlo Maria Martini: nella VI sessione della Cattedra dei non credenti intitolata «Chi è come te fra i muti? L’uomo di fronte al silenzio di Dio» (1992). Nell’intervento conclusivo il Cardinale presenta la croce come icona conclusiva del silenzio di Dio, rilegando insieme tre espressioni che ritornano nel racconto della passione evangelica.

In primo luogo, Gesù taceva davanti alle accuse rivoltegli. «Il sommo sacerdote gli disse: “Non rispondi nulla?  Che cosa testimoniano contro di te?”. Ma Gesù taceva» (Mt 26,62-63). Nella seconda scena compare il grido di Gesù in croce, che in Matteo e Marco costituisce l’unica parola da lui pronunciata sulla croce: «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46).  Infine, il grido di abbandono: «Padre, nelle tue mani consegno (abbandono) il mio spirito» (Lc 23,46).

Martini così concludeva: Tre momenti di Gesù — il silenzio dell’uomo afflitto e perseguitato, il grido dell’abbandonato da Dio, cioè la denuncia del silenzio di Dio, il grido di chi si abbandona al silenzio di Dio Padre —, formano un’unica   icona perché sono contenuti l’uno nell’altro, perché l’uno sviluppa l’altro. Essi richiamano, nel loro insieme, la famosa preghiera dell’ebreo nel ghetto di Varsavia prima di essere bruciato vivo: «Dio ha fatto di tutto per spezzare la mia fede in lui… Ho seguito Dio anche quando mi ha respinto… L’ho amato e lo amo anche se mi ha torturato fino alla morte, mi ha ridotto alla vergogna e alla derisione… Ma io crederò sempre in te e muoio come ho vissuto, in una fede incrollabile in te» (Cf. M.D. Molinié, La lotta di Giacobbe, Brescia 1969, pp. 21-24).

Tornando all’oggi, a questo sabato della storia, dove sotto la croce trasciniamo con noi la nostra impotenza di fronte al flagello invisibile che sta colpendo la società, sorge la richiesta che Dio si faccia presente, batta un colpo, ci liberi dal male oscuro che continua a mietere vittime fra i nostri cari, che venga a consolare il dolore che ci afferra fin nelle midolla e ci getta nello sconforto. Forse come credenti ci troviamo smarriti di fronte a questa “sconfitta di Dio”. Ma da credenti sappiamo che non è così: se Cristo ha vinto la morte, vincerà anche questa apparente non vita che stiamo vivendo; siamo certi che il Risorto, non sappiamo come, ma ci farà rinascere a vita nuova!

Terza ed ultima osservazione: questa Pasqua ci ha fatto riscoprire l’importanza delle relazioni tra noi. Leggevo un articolo su “Avvenire” della scorsa settimana del sociologo Pierpaolo Donati che diceva: “Senza relazioni, il virus non esiste. Il che significa che le relazioni contano, e contano più del denaro. Il Covid–19 ci ha costretti, dunque, a misurare le relazioni. La relazione non è soltanto un veicolo, un canale dentro cui passa qualcosa e che dunque “porta” il virus, così come le tubazioni portano l’acqua. In un certo senso, possiamo dire che “il virus è nella relazione”, è la stessa relazione, quando la relazione non è compresa nella sua portata. Ma nello stesso tempo, la relazione “è il suo rimedio”, se siamo capaci di capirlo. Prendere o meno il virus dipende dalle qualità e proprietà della relazione sociale, nella sfera pubblica come nella famiglia.”

Coinvolgersi e distaccarsi diventa fondamentale per la nostra società: delle relazioni abbiamo assoluto bisogno, ma dobbiamo saper distinguere tra relazioni buone e meno buone. La pandemia ci ha detto che le relazioni sono il collante, la stoffa del sociale, nel lavoro, nella chiesa, in famiglia; le relazioni decidono della qualità della nostra vita e del nostro destino, nel bene e nel male. Per vincere il virus abbiamo dovuto isolarci in famiglia, riscoprendone la bellezza. E riscoprendo le fatiche di questa convivenza continuata e forzata, mettendo sotto stress le stesse relazioni famigliari: alcuni ne usciranno rafforzati nei rapporti, altre un po’ meno.

Dunque anche questa Santa Pasqua del coronavirus ci sarà utile per rinascere nelle relazioni, nel porci le domande esistenziali sulla nostra vita e sulla nostra morte, morte che ha sfiorato tantissimi di noi e ci darà la gioia di essere Chiesa, cioè comunità che celebra il suo Signore, per ora ancora in famiglia, come vera Chiesa domestica che desidera annunciare a tutti e insieme che noi non siamo mai soli perché Lui è Risorto per sempre!

Che cominci una nuova storia per tutti!

Don Giuseppe Vegezzi, Vicario Episcopale di Varese

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