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Società

URSULA SBAGLIA MOSSA

LUISA NEGRI - 17/04/2020

Ursula Von der Leyen

Ursula Von der Leyen

“L’Europa è una grande famiglia, la vostra famiglia, e non vi lascerà mai soli. Siamo tutti italiani. Vi siamo vicini, vi seguiamo con rispetto e ammirazione”.

Così si è espressa la presidente della Commissione Europea Ursula Albrecht, più conosciuta con il suo cognome da coniugata Von der Leyen.

Ha confortato il nostro Paese -parlandoci persino nella nostra stessa lingua- quando il contagio del coronavirus ci ha invaso in tutta la sua aggressività.

Forte anche di una laurea in medicina, ottenuta dopo un percorso di studio vario, dall’archeologia all’economia, ha promesso sostegno sanitario -come i presidi necessari per la cura dei malati, ventilatori compresi- e soprattutto misure prossime per sostenere l’economia.

Che poi sia seguita alle parole la delusione, per l’impegno effettivo da parte dell’Europa nei nostri confronti, è cosa evidente.

Lo è anche vedere come esponenti femminili del mondo politico siano pronte ad allinearsi alle consuete, egoistiche scelte pubbliche che privilegiano un mondo più attento alla finanza e alle opportunità economiche contingenti che a una visione solidaristica, umana e illuminata. E non si tratta affatto di corrispondere a richieste di superficiale buonismo. Ma di una visione politica necessaria: se non facciamo passi in avanti su quella via tracciata proprio dai padri fondatori dell’Europa -dove l’Italia è stata fin dall’inizio parte fondamentale- non potremo che regredire miseramente, fino allo svuotamento della stessa.

Alla precedente, ormai nota e imperdonabile ‘gaffe’ della francese Lagarde, che ha gelato i mercati finanziari, è dunque seguita a breve la fredda determinazione della presidente tedesca, impegnata nel proseguire le imposizioni di una politica votata all’intransigenza, perfino in momenti drammatici. E sorda anche per noi, promesse a parte, alle ferme richieste del governo Conte. Una mancanza sottolineata dal pacato Gentiloni che ha ricordato come ogni paese debba in questo momento essere sostenuto, se si vuole che che l’ Europa non vada in pezzi.

Die Welt ha nel frattempo dato di noi una brutta immagine: quella di una Italia esigente, in odore di spaghetti e mafia.

Ma in questo caso, legato al problema coronavirus, l’Italia ha davvero una ‘colpa’ particolare. Di avere la popolazione più vecchia di ogni altra: semplicemente perché ci occupiamo di curarla. Politologi noti, cui non manca il senso critico, hanno pubblicamente dichiarato che abbiamo tanti morti proprio perché assistiamo a lungo i nostri vecchi. “Mentre in America non li curiamo se non in strutture private e dietro pagamento di salatissime assicurazioni”.

Abbiamo visto i malati in Spagna accasciati come sacchi sui pavimenti degli ospedali, in India i segni delle frustate sulle gambe dei disobbedienti, e negli Stati Uniti si è ventilata la pazzesca proposta di seppellire i morti nei parchi pubblici, poi mutata nella realizzazione di orribili fosse comuni. Ecco vorremmo dire ai tedeschi, così entusiasti quando vengono a visitare i panorami e l’arte dei nostri paesi, e alle signore della politica europea, che forse non siamo proprio gli ultimi: le nostre statistiche, probabilmente più sincere di altre, proprio in relazione a quelle dell’alta età dei morti, dimostrano anche che dei vecchi abbiamo rispetto.

E questo è un segno di grande civiltà. Quello che l’Italia ha esportato da sempre in Europa.

Purtroppo gli ospiti delle case di cura hanno pagato un prezzo alto. E qui bisognerà aprire un altro discorso. Che riguarda chi li accoglie e chi ce li porta. Chi gestisce e controlla le strutture pubbliche e private e i familiari che li affidano, a volte senza esigere a loro volta la qualità delle strutture.

Il Coronavirus sta modificando radicalmente il ruolo degli anziani nella società, ha osservato giustamente il Corriere della Sera, lo scorso 14 aprile. E la cosa riguarda tutti quei “…’diversamente giovani’ che a ottant’ anni sono attivissimi, progettano il futuro, viaggiano e si innamorano, curano il proprio aspetto e si dedicano allo sport, alle attività culturali… si costruiscono insomma un ultimo capitolo all’insegna della leggerezza e dell’ottimismo senza pesare sui figli e sui nipoti. Fino a un mese fa la terza e quarta età erano viste dalla pubblicità e dal mercato come un’isola di serenità, oggi sono assediate dalla paura del contagio, della sofferenza e della morte”.

Sì, è vero, i vecchi hanno paura.

Bisogna dire però anche che i vecchi non sempre hanno bisogno e chiedono di essere protetti. La loro vecchiaia non è solo un idillio al giorno d’oggi. Dopo una vita di lavoro, si ritrovano spesso molto più impegnati di quanto vorrebbero, dovendosi occupare di nuovi nuclei familiari. A volte persino volando da una città all’altra, da paese a paese, da continente a continente (conosciamo tutti qualche coppia di nonni ‘transoceanici’).

E allora non è un po’ troppo sentirsi dire ad aprile da Von der Leyen che gli anziani dovranno forse starsene in casa fino a dicembre?

Gli anziani, cioè i Vecchi, sono sicuri che non ci staranno, né meno, né più a lungo di quanto non ci stiano gli altri. Ma usciranno dalle loro case insieme a tutti.

Perché, se non sono certo untori, non sono nemmeno improvvidi cacciatori di virus.

Alla stregua dei nipotini che accudiscono con amore, hanno a loro volta bisogno di respirare aria pulita, di vedere il cielo, di distrarsi, di muovere le gambe, dopo tanta paziente attesa. Non fosse altro che per evitare problemi di respirazione e deambulazione, oltre che di sanità mentale.

Lo sanno i medici, ma anche i comuni mortali. Siamo convinti che lo capiranno al più presto anche i politici d’Europa che dettano le regole.

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