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Chiesa

DONNE DIACONO

SERGIO REDAELLI - 17/04/2020

Francesco ci riprova. Dopo il risultato interlocutorio raggiunto dal gruppo di studio istituito nel 2016, il papa riaccende i riflettori sul diaconato femminile con una nuova Commissione incaricata di approfondire la presenza delle donne-diacono nella Chiesa primitiva e dell’alto medioevo. Un tema che è al tempo stesso antico e attualissimo. Le donne sono state protagoniste della storia della fede cattolica fin dai tempi dei Vangeli ma nella Chiesa odierna, per usare le parole di Francesco, “non sono dove si prendono le decisioni”. I diaconi uomini costituiscono il primo grado del ministero sacerdotale. Sono al servizio del vescovo, accanto ai preti che si occupano del culto.

E le donne? Rappresentano l’ossatura dei servizi delle diocesi, delle conferenze episcopali e delle congregazioni in Vaticano ma svolgono umili funzioni di colf, assistenti e badanti di preti, vescovi e cardinali. Vittime talvolta di abusi di potere: si sa di suore dottori in teologia impiegate ai fornelli o per lavare i piatti, altre che dopo anni di insegnamento – è successo a Roma – aprono e chiudono la chiesa parrocchiale. Fin dai primi tempi del suo pontificato, papa Francesco ha denunciato la “servitù” cui sono spesso soggette le religiose. E negli ultimi sedici anni il numero delle donne attive negli ordini religiosi femminili è calato da 800 a 659 mila, 140 mila in meno.

Un fenomeno allarmante. Per questo il papa torna su un tema che gli è caro, capire come in passato la Chiesa utilizzava in modo permanente le donne-diacono. Oggi il calo delle vocazioni e l’invecchiamento dei preti in Occidente obbligano i diaconi a farsi sempre più carico dell’animazione delle parrocchie nell’ambito della missione e del servizio. E il problema si aggrava nelle terre lontane dove i preti mancano del tutto. Nel recente Sinodo per l’Amazzonia, tenutosi a Roma, si è parlato anche della possibilità di ordinare diaconi le donne “così da valorizzarne la vocazione ecclesiale”.

“Nella storia della Chiesa – spiega monsignor Evaristo Pascoal Spengler, francescano e vescovo prelato di Marajó, in Brasile – la presenza delle donne è stata decisiva. Ci sono stati patriarchi e matriarche, profeti e profetesse, giudici uomini e giudici donne, fino ad arrivare alla più importante figura femminile che è quella di Maria. Dio per la salvezza ha impiegato le donne e dal XII secolo in poi abbiamo avuto più sante canonizzate che santi, oltre a donne dottoresse della Chiesa e consigliere di papi”. Dopo le grida d’aiuto del popolo dell’Amazzonia, sono in molti ad auspicare che l’antico ministero venga reintrodotto.

I risultati della prima Commissione di studio dicono che il diaconato femminile era una realtà sia ad ovest che ad est dell’impero romano, anche se i suoi contorni non sono ben definiti – spiega Mario Politi nel libro La solitudine di Francesco – Esisteva una pluralità di attività: assistere le donne al battesimo per immersione (dove erano interamente o parzialmente nude), assistere il vescovo in alcune attività con i fedeli, leggere il Vangelo e svolgere altre funzioni durante la messa, ma mai all’altare. Nei primi secoli si usava il termine diacono sia per gli uomini che per le donne. Diaconesse, come si chiamarono più tardi, dirigevano comunità religiose o erano mogli di diaconi.

Nonostante le buone intenzioni, però, a sei anni dall’elezione di Bergoglio non si avverte ancora la partecipazione reale e diffusa delle donne cattoliche alle alte sfere della Chiesa. Al temine dei lavori della prima Commissione di studio, Francesco era stato prudente: “La commissione ha lavorato bene – aveva detto – uomini e donne teologi sono arrivati fino a un certo punto tutti d’accordo. Il risultato è un passo avanti, ma si deve approfondire perché io non posso fare un decreto senza un fondamento teologico storico. Se il Signore non ha voluto il ministero sacramentale per le donne, non va. Non si può andare oltre la Rivelazione”.

La nuova Commissione è composta da cinque teologhe donne e sette uomini (mentre nel precedente gruppo erano sei a sei) e c’è chi vede nella riduzione della parità di genere il timore del papa e di tanti uomini della Chiesa che il diaconato femminile apra la strada al sacerdozio femminile. È vero che Gesù Cristo non ha chiamato alcuna donna a far parte dei dodici apostoli – fanno notare i sostenitori del sacerdozio femminile – ma le ragioni che “obbligarono” Gesù a non inviare delle donne “come pecore in mezzo ai lupi” oggi non esistono più. Oggi non c’è ragione per escludere le donne dal sacerdozio. Se il Papa lo dichiarasse apertamente, nella Chiesa sarebbe la rivoluzione.

Ecco: il punto dolente è che parlare di diaconato femminile significa toccare il tasto del sacerdozio femminile. Benedetto XVI riformò a suo tempo alcuni passi del codice di diritto canonico specificando che solo i preti e i vescovi appartengono alla sfera del sacerdozio, mentre i diaconi appartengono al ministero, cioè al servizio. Il diaconato femminile non entrerebbe in contraddizione con il “no” categorico al sacerdozio femminile, pronunciato da Giovanni Paolo II nel 1994 con la lettera apostolica Ordinatio Sacerdotalis. Un divieto “confermato” da Francesco con un articolo sull’Osservatore Romano a firma del prefetto della congregazione per la dottrina della fede.

La questione è aperta e combattuta. Anche il cardinale Carlo Maria Martini era favorevole all’accesso delle donne al diaconato. Ma le teologhe riformiste temono che Francesco, pressato dai nemici su vari fronti e accusato di sovvertire la dottrina tradizionale della Chiesa, non voglia o non possa fare un balzo avanti. Insomma, se un’innovazione mette a rischio il lavoro che sta facendo, bisognerà aspettare.

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