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Economia

AL PROPRIO POSTO

GIANFRANCO FABI - 30/04/2020

lavoroL’obbligo è quello di guardare avanti. Affrontare con serietà e responsabilità l’uscita dall’emergenza e riscoprire il senso di una nuova normalità. Nuova, ma speriamo non troppo diversa dalla vita quotidiana prima della pandemia.

Nuova, perché il rischio del contagio resterà per mesi e ci costringerà a rapporti sociali caratterizzati dal mantenere le distanze, dal proteggerci con guanti e mascherine, dall’evitare riunioni e assembramenti.

Ma non diversa. Perché ognuno dovrà ritrovare il proprio posto di lavoro, riprendere a fare acquisti, viaggi, vacanze, incontri. Cambierà nei prossimi mesi lo scenario economico. Alcuni settori saranno in difficoltà: pensiamo al trasporto aereo e ai grandi alberghi. Per altri si proporranno nuove opportunità di crescita come nell’ambito sanitario e farmaceutico.

In tutti i paesi le politiche economiche sono chiamate ad un colossale sforzo di cambiamento. L’Europa sembra aver ritrovato un’unità costruttiva di fronte all’esigenza di varare ambiziose quanto necessarie politiche sociali. Il problema di fondo è quello di riavviare le economie dei singoli paesi dopo due mesi di sostanziale chiusura e con la necessità di riprendere il lavoro con nuovi e più stringenti requisiti di sicurezza.

Senza dimenticare la necessità di rimettere in moto tutta la spirale virtuosa dell’economia. Al centro il lavoro, indubbiamente. Ma il lavoro non può essere fine a sé stesso. Il lavoro produce ricchezza in due dimensioni: perché consente di offrire sul mercato beni e servizi e perché garantisce un reddito che permette al lavoratore alla sua famiglia di acquistare a sua volta beni e servizi.

È quindi importante che tutti possano tornare al lavoro, ma anche che in tutti riprenda una sana voglia di vivere che, senza sprechi e pregiudizi, rimetta in moto la spirale positiva dell’economia. Una spirale che parte dal lavoro, passa attraverso la produzione, contribuisce ad aumentare il reddito, sollecita gli acquisti e i consumi in quali a loro volta possono spingere le imprese a mantenere e possibilmente incrementare i posti di lavoro. C’è un grande bisogno che, a fianco degli interventi di supporto dello Stato, resti lo spazio per tutte le iniziative private che rivitalizzino gli scambi economici, che sfruttino le innovazioni, che sappiano trovare nuove strade in uno scenario così diverso dal passato.

L’Italia, purtroppo, avrà qualche problema in più rispetto agli altri paesi ad avviare una traiettoria di crescita. Per alcune condizioni strutturali.

C’è, per esempio, una dinamica demografica negativa: già prima della pandemia più morti che nascite e una fascia crescente di popolazione anziana con un progressivo allungamento della vita media.

C’è una realtà industriale che ha avuto, positivamente, negli ultimi anni, una spinta alla crescita soprattutto grazie alle esportazioni: ma nei prossimi mesi sarà sicuramente più difficile del recente passato proiettarsi sui mercati esteri.

C‘è poi, per molti aspetti, una sconfortante dimensione politica. In una situazione di vera emergenza sarebbe stato non solo auspicabile, ma naturale, che ci fosse unità e solidarietà tra i partiti. Invece sono proseguite polemiche, accuse, scontri ideologi che hanno peraltro indebolito la posizione del Paese nel contesto europeo. E a questo si aggiungono due fattori, come il peso del debito pubblico accumulato negli anni, e l’inciampo di una macchina burocratica e giustizialista che frena le nuove iniziative e gli interventi necessari.

Ragioni in più perché ognuno torni al proprio posto con forza e responsabilità. Senza demonizzare né esaltare la cosiddetta società dei consumi. Magari privilegiando il “made in Italy”, ma ricordando che anche se acquistiamo un’automobile tedesca il 30% delle sue componenti è realizzato in Italia. L’Europa è sempre di più, soprattutto come mercato oltre che come realtà politica, la nostra dimensione naturale. E quindi sarebbe bene che si mettessero da parte nazionalismi altrettanto antistorici, quanto pericolosi.

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