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Apologie Paradossali

SCATTO

COSTANTE PORTATADINO - 30/04/2020

papa(S) Un quotidiano nazionale proprio titola l’editoriale del 28 aprile: “L’anticorpo che manca si chiama fiducia”. Ci vedo un altro tentativo di aggrapparsi alla sfuggente serenità. Ma chi merita fiducia? La Politica, lo Stato, la Regione, il Sindaco? Oppure la Scienza, il Virologo (comprerò senz’altro l’album delle figurine Panini:‘I virologi’, le loro lotte sono più divertenti di una partita di calcio e più ‘sceneggiate’ di un incontro di wrestling), l’Epidemiologo, il Clinico Pneumologo, il Rianimatore, l’Infermiera (mia eroina), il medico di base come quello di Orzinuovi che gira tra i pazienti in tuta spaziale, vero alieno, ben più che eroe?

Forse le giornaliste d’assalto che prima sparano a zero sulla Regione Lombardia, poi vanno a leggere lo studio dell’Ispi sulla mortalità invisibile in Europa e ne pubblicano il riassunto sul giornalone nazionale come se fosse una loro scoperta (nella mia ignoranza l’avevo letto il giorno prima…) per dire che i principali occultatori di deceduti non sono gli italiani, (quindi non i Lombardi, accusati poco prima di ogni nefandezza sanitaria) ma gli Olandesi e i Britannici, diplomati censori dell’irresponsabilità genetica dei sud-europei?

(C) Ho sempre sostenuto che i veri conti si faranno a vicenda conclusa, davanti a dati solidi e normalizzati, purtroppo a posteriori, quando oggi ci sarebbe bisogno almeno di un inizio di certezza. Infatti mi è venuta voglia di tornare all’idea iniziale di difendere con un’apologia paradossale uno sfortunato politico che abbia sparato una cavolata per eccesso di zelo. In questo caso si tratta del ministro Boccia, competente per i rapporti Stato-Regioni, ma digiuno di epistemologia, che in un’intervista invocava: “Chiedo alla comunità scientifica, senza polemica, di darci certezze inconfutabili e non tre o quattro opzioni per ogni tema. Pretendiamo chiarezza, altrimenti non c’è scienza”, con il risultato di venire sbertucciato sui social da centinaia di sedicenti filosofi della scienza, che gli citavano addosso Einstein, Popper e quanti altri, a valanga.

Chiarissimo l’errore di metodo del ministro e giusta l’osservazione dei critici più acuti: ma se bastasse una incontrovertibile certezza scientifica per stabilire il meglio in ogni campo dell’agire umano, che ci starebbero a fare i politici?

È chiaro che quando una teoria scientifica è confermata dagli esperimenti e dal consenso unanime degli scienziati, non c’è più spazio per una decisione politica: nessuno si sognerebbe di stabilire per legge che la terra sia piatta o immobile al centro dell’universo, ma è normale e del tutto accettabile ‘scientificamente’ che al politico siano proposte diverse opzioni circa il modo di prevenire l’epidemia di un virus sconosciuto. In ogni caso rimane compito del politico valutare i pro e i contro dell’applicazione di determinati provvedimenti, per esempio quando e come riaprire le scuole o i negozi.

Insisto tuttavia, a difendere Boccia, perché anche il politico più competente ha bisogno, se non di certezze inconfutabili, almeno di poter contare sui consigli, nello specifico di un problema, di uno specialista degno fiducia.

(S) Hai detto bene; di uno, ma se senti che c’è un altro che ha un parere diverso, allora si crea una commissione e poi un’altra e un’altra ancora; qualcuno sostiene di aver contato almeno quattrocento ‘esperti’ esterni arruolati dalle istituzioni senza contare le migliaia di alti dirigenti già in servizio attivo nei ministeri, negli Istituti superiori di… nei Centri Nazionali di…, negli Enti di …, per non dire nelle Università. E se invece ne trovi uno o due al massimo che ti danno affidamento, che è già una fortuna, devi anche avere qualche dose ulteriore di fortuna per affrontare il caso concreto.

(O) Già Napoleone preferiva i generali più fortunati a quelli più competenti: se Salvini ne adottasse il metodo, sceglierebbe sicuramente Zaia, piuttosto che Fontana. Il governatore veneto ha avuto dalla sua una indubbia capacità decisionale, ma anche una buona dose di fortuna.

(S) Si direbbe che difendi Fontana per partito preso!

(O) Niente affatto, nemmeno difendo il suo partito. Ma se fosse il sistema sanitario lombardo nel suo complesso e per colpa loro ad aver ‘appestato l’Italia’, come si è espresso all’unanimità il giornalismo d’inchiesta, come si spiegherebbe la grande differenza di contagiosità tra alcune province lombarde e le altre, tra le quali massimamente fortunata, non credo più meritevole, la nostra?

(C) Si spiega in altro modo, badando ai veicoli di contagio, persone sì, ma persone che viaggiano a bordo di veicoli reali. Ecco uno studio dell’Università Vita-Salute: hanno analizzato i tassi di mortalità per coronavirus dall’inizio dell’epidemia fino al 17 aprile scorso nelle province di Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Val d’Aosta. Dallo studio emerge che la provincia con il più alto tasso di mortalità cumulativa sia Piacenza (258,5 morti x 100.000 abitanti), seguita da Bergamo (255,9) e Lodi (247,8), cui seguono Cremona (247,4) e Brescia (170,9). L’hanno chiamata l’epidemia della A21, perché le province più colpite sono quelle lungo l’asse autostradale che da Torino arriva a Piacenza e si allunga fino a Cremona e Brescia. Aggiungo, non è un caso e nemmeno un demerito della sanità emiliana che Piacenza sia in testa alla classifica: è il punto d’incrocio con l’autostrada del Sole. 

(S) Dunque ci sono gli untori: i camionisti!

(C) Ma va! È solo l’esempio di come lavorano tutte le scienze che hanno una base prevalentemente sperimentale: prima o poi i fatti smentiscono le congetture, se si ascolta la realtà e non il pregiudizio. Purtroppo però mentre nella scienza le smentite valgono e la teoria vera si afferma, nell’informazione prevale sempre il primo passaggio, specialmente se corrisponde al pregiudizio dominante, scava un solco difficilmente colmabile nell’opinione pubblica.

(O) Ma torniamo al punto del nostro discorso, a chi affidarci se la scienza arriva troppo tardi e passa attraverso congetture e confutazioni, spesso dopo aver suscitato illusioni e talvolta provocato danni, e la politica a sua volta non sa a chi affidarsi? Poi, non stavamo parlando della ripartenza? Tu ci parli di quello che è successo, adesso è facile, noi cercavamo a chi affidarci per il futuro.

(C) Affidiamoci a chi non ha paura del cambiamento e non coltiva pregiudizi ideologici e false sicurezze.

Ma i primi ad avere questo atteggiamento dobbiamo essere noi stessi, lontani dalla faciloneria, dal lasciar prevalere gli interessi immediati, quali che siano, economici o familiari o sentimentali, persino religiosi; ma lontani anche dalla paura del ‘nemico’: nemico virus, nemico straniero, nemico concorrente economico, nemico chiunque manifesti esigenze diverse dalle mie.

In questo quadro collocherei anche il fermento, troppo variegato e contraddittorio del mondo cattolico e della Chiesa stessa in Italia, prima allineato supinamente al Governo, ora quasi ribelle. Per fortuna è stato chiaro il Papa: prudente nel richiamare ad evitare rischi di contagio, ma attento ad ammonire pastori e popolo cristiano contro un altro rischio, la riduzione della vita cristiana a culto individuale e a discorso ‘spirituale’, garantiti dalla partecipazione a distanza attraverso i media audiovisivi.

In un omelia che prendeva spunto dal Vangelo dei discepoli di Emmaus, riportando il dialogo con un vescovo, Bergoglio ha aggiunto: «“Stia attento a non viralizzare la Chiesa, a non viralizzare i sacramenti, a non viralizzare il popolo di Dio. La Chiesa, i sacramenti, il popolo di Dio sono concreti. È vero che in questo momento dobbiamo fare questa familiarità con il Signore in questo modo, ma per uscire dal tunnel, non per rimanerci. E questa è la familiarità degli apostoli: non gnostica, non viralizzata, non egoistica per ognuno di loro, ma una familiarità concreta, nel popolo. La familiarità con il Signore nella vita quotidiana, la familiarità con il Signore nei sacramenti, in mezzo al popolo di Dio”.

Colpisce il neologismo “viralizzare”, che non mi sento autorizzato a intendere soltanto come “virtualizzare”, immaginando una improprietà linguistica del suo italiano, ma mi sento spinto a considerare il richiamo come inteso a dare ogni possibile concretezza alla familiarità col Signore, a non renderla impalpabile come un virus, ma a viverla nel popolo e attraverso i sacramenti, di cui l’eucarestia, celebrata nella messa è il fondamento.

(S)Accettiamo questa situazione, ma per uscire dal tunnel.

Quindi non facciamoci un problema di quante messe, con quante persone, a quale distanza. In realtà non sarebbe accettabile una specie di interdetto laico, gettato dallo Stato sull’intera Chiesa italiana, ma è la Chiesa stessa che deve trovare vie alternative o almeno inusuali per uscire dal tunnel, mantenendo o addirittura aumentando la familiarità col Signore, nonostante le circostanze.

(C) Io penso che questo valga per la religione, ma, analogamente, per tutta la vita civile, anzi a maggior ragione. Ci vuole uno scatto di moralità vera, che unisca il popolo, non di moralismo che invece lo divide, come insegna ogni degenerazione della moralità in moralismo che abbia avuto peso nella storia, principalmente in occasione delle sedicenti rivoluzioni. Soprattutto in politica, in quella che oserei chiamare ‘grande politica’, quella che non pensa al prossimo sondaggio o alla prossima parzialissima elezione locale come ad un traguardo, nella politica delle nazioni e delle istituzioni internazionali, questo dare un fondamento sicuro è diventato una necessità inderogabile.

A riprova voglio portare una testimonianza originale, non cattolica e diffusa da un giornale laico come il solito Corriere. Elena Tebano, nella Rassegna Stampa la introduce così: “Juli Zeh, 45 anni, è una delle più interessanti scrittrici tedesche contemporanee. Con i suoi romanzi esamina le contraddizioni della nostra società e quelle delle persone che la formano: ha la grande capacità di mostrare le ragioni di chi ha torto e i disastri causati dalla migliori intenzioni”.

 Il passo della scrittrice che ritengo importante è questo:

“La stessa incapacità di riconoscere il male per mancanza di un linguaggio comune avviene quando scompare un sistema di riferimento condiviso”.

Per questo a Zeh interessa «cosa succede a una società che ha completamente perso la sua base morale collettiva, la religione, perché essa non ha più una funzione di sostegno statale o sociale. La società finisce inevitabilmente con solo il sistema giuridico, perché la sovrastruttura religiosamente autorizzata non esiste più.

Che cos’è il bene e che cos’è il male? Quando questa fondazione scomparirà, cosa rimarrà? Solo l’individuo, che da solo è a mio avviso assolutamente incapace di prendere decisioni morali». E questo nonostante sia convinta che «noi esseri umani siamo esseri moralmente predisposti, che nasciamo con un senso della moralità, la capacità di distinguere tra giusto e sbagliato».

Il punto è: «Da dove prendiamo i nostri criteri per il bene e il male? Questa è una domanda fondamentale”.

(O) Questa domanda … ma chi è in grado di rispondere?

(C) Nessuno, da solo, come dice la scrittrice. Il linguaggio comune mi sembra essere il presupposto per il bene comune. Dobbiamo dare fiducia solo a chi lo cerca e impegnare noi stessi in questa ricerca.

La prova universale, veramente universale, a cui siamo sottoposti ormai nel pieno del cambiamento d’epoca profetizzato da Papa Francesco, non sarà resistere al virus o al crollo del PIL o allo shock petrolifero o all’ISIS o al cambiamento climatico, ma trovare o meglio ritrovare questo linguaggio comune tra Politica, Religione, Scienza, Tecnica, Economia, Lavoro, Educazione e dico solo i primi aspetti della Vita sul pianeta che mi vengono in mente, a cui riconosco grande e pari dignità, a cui metto la maiuscola come elementi imprescindibili della dignità della Persona.

(S) Sebastiano Conformi (C) Costante (O) Onirio Desti

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