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Società

LE DUE C ASSENTI

EDOARDO ZIN - 22/05/2020

cooperazione“Nulla è un male o un bene in sé. Tutto va ricondotto all’orizzonte del dialogo”. Mi sono ricordato di questa espressione di Socrate alcuni giorni fa, quando, intervenendo su un social sul dibattito suscitato dalla liberazione di Silvia Romano, sono stato aggredito con espressioni triviali e arroganti per aver scritto:” Gioia per Laura, impegno per la Verità”.

Ormai il clima di odio e di violenza che si respira in Italia, alimentato da entrambe le ali estremiste, ha soppresso il dialogo per la ricerca della verità, così come desiderava Socrate.

Le cause si conoscono. Da una parte, l’esasperato individualismo ha portato molte persone non pensanti a inseguire e a investire sull’identità narcisistica che ciascuno di noi, chi più e chi meno, porta in sé e lo porta a inseguire tensioni per affermare sé stesso. Tale desiderio si fonda anche sull’identificazione di un nemico che sarebbe all’origine di ogni male. Dall’altra parte, ci sono gruppi i quali intercettano questa bramosia di successo che riescono a sedare con slogans di grande efficacia, alimentando rabbia e frustrazioni, gridando all’invasione dello straniero e spacciando come soluzione i muri da innalzare o le frontiere da sigillare. Sia l’individuo narcisistico che il gruppo identitario usano molto i social e comunicano con le dita ciò che dovrebbero comunicare con la ragione espressa attraverso la parola, perdendo così il ruolo del dialogo. Costoro bollano con insulti chi non è dalla loro stessa parte o chi cerca la verità trovandola nello scambio di opinioni. Diceva Goethe:” Chi è nell’errore compensa con la violenza ciò che gli manca in verità e forza” e Benedetto Croce affermava che “la violenza non è forza, ma debolezza”.

Temo questa ondata di violenza anche verbale. Essa copre col sarcasmo le pagine dei giornali, scivola lentamente nelle scuole col bullismo, varca le soglie delle chiese con le persecuzioni religiose, si insinua nelle famiglie, inquina gli animi col rancore, oscilla nei gruppi politici con l’avversione, diventa vigliaccheria dell’anonimato sui social.

Anche nella vicenda che ha portato alla liberazione di Silvia Aisha, l’Italia si è subito divisa tra i precipitosi giudizi di chi ha espresso sfrenata gioia e di chi ha urlato severa condanna, tra chi ha espresso giudizi armandosi di chiacchiere e chi ha ragionato armandosi di argomenti, tra chi ha sproloquiato parole di rancore e chi ha tentato di ricondurre la vicenda all’orizzonte del dialogo, tra chi ha commentato con urla da stadio e chi con la mitezza dell’intelletto. L’oscillazione tra gli estremi è stata così facile e veloce che alcune persone, travolte in un primo momento dall’ondata di emozione, hanno dovuto ricredersi e correre subito ai ripari cancellando sui social giudizi avventati.

Vorrei anch’io cercare di entrare nel cuore della vicenda senza farmi catturare dalla spirale della supponenza, ma alla luce di antiche esperienze personali e da dichiarazioni resemi in questi giorni da persone esperte in materia.

Sia ben chiaro: non voglio entrare nello specifico caso. Gioisco anch’io per una vita salvata, comprendo lo strazio di due genitori che per diciotto mesi hanno atteso a casa la figlia rapita, posso intendere il dramma vissuto da Silvia Aisha, i suoi patimenti. Davanti alla sua conversione lascio spazio al silenzio. Ma davanti a ciò che è accaduto vorrei ragionare perché in futuro simili fatti non abbiano più a ripetersi.

L’Italia, grazie all’opera appassionata di un sottosegretario agli Esteri con il quale collaborai dal ’64 al ’68, fu tra le prime nazioni che, dopo la Populorum progressio di Paolo VI° e l’eccidio nel Biafra (1966), inaugurò la stagione della cooperazione allo sviluppo. Fu varata una legge con la quale si promuoveva e regolava l’aiuto nei paesi in via di sviluppo e presso il ministero degli Esteri fu istituita una specifica direzione generale. Seppur tra luci ed ombre, la legge italiana fu di esempio per molti Paesi e per l’allora Comunità Europea. Nel 2014 il governo Renzi riformò la legge allora in vigore e di fatto riunì tutti gli enti (ONG, ONLUS, fondazioni, cooperative sociali…) sotto un’unica sigla (“Enti del Terzo Settore”) e tutta la materia fu affidata all’AICS (Agenzia Italiana per la cooperazione allo sviluppo). La legge attende ancora oggi (dopo sei anni!) di essere attuata pienamente con l’emanazione di almeno una dozzina di decreti attuativi. In più, i fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo sono stati sottratti dallo stato per altre forme di assistenzialismo.

A partire da 2014 ci fu un pullulare di associazioni – laiche e d’ispirazione religiosa – che pretendono di salvare i paesi emergenti con estrema faciloneria, senza preparare i volontari alla loro specifica missione che esige personalità mature, estrema competenza, idonea capacità di adattamento. Basti pensare che tali associazioni in Italia più di 330 mila, ma solo 233 sono registrate presso l’AICS!

L’onlus Milele che ha ingaggiato Silvia Shiara non è un’ONG e la giovane, che fortunatamente è rientrata a casa, non è una “cooperante”, ma una ventenne neo-laureata senza precedenti esperienze professionali pertinenti, desiderosa di fare del bene. I cooperanti sono professionisti altamente specializzati e retribuiti, hanno un contratto di lavoro regolarmente stipulato, sono coperti da un’assicurazione internazionale.

Fin qui i fatti su cui ciascuno può ragionare.

In questa vicenda (come in altre, tra cui quelle che si occupano dell’integrazione dei migranti che giungono nel nostro Paese!) mi sembra siano mancati due valori fondamentali che devono animare coloro che si dedicano alla promozione dell’uomo bisognoso di aiuto: la compassione e la competenza.

La compassione – che per i credenti è Carità – ha altre declinazioni: la misericordia, la pietà, la comprensione, l’indulgenza, la tenerezza, la delicatezza. Esse possono manifestarsi sia nell’animare col gioco un gruppo di orfani sia nel tenere la mano ad un moribondo. Per poter “patire-con-gli-altri” è necessario avere un animo forgiato dalla dedizione gratuita che non può essere viziata dal solo desiderio di fare il bene.

Accanto alla compassione occorre avere competenza. Quanti progetti di cooperazione internazionale sono finiti male perché gli obiettivi prefissati assomigliavano a certe nebbie mattutine che svaniscono lentamente a causa di una scarsa preparazione!

Nella cooperazione, misericordia e competenza trovano fondamentali punti di convergenza!

Accanto alla compassione occorre essere competenti. Quanti progetti di cooperazione internazionale sono finiti male perché gli obiettivi prefissati assomigliano a certe nebbie mattutine che svaniscono lentamente a causa di una scarsa preparazione!

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